A “Speciale Letteratura” ospite Lucia Accoto, critico letterario

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A LIBRI, ARTE E QUANT’ALTRO ARRICCHISCA L’ANIMA

L’ospite di oggi è Lucia Accoto, Critico letterario su @rai1official
Recensore professionista, giornalista e scrittrice.

Le sue recensioni sono un viaggio alla scoperta

di nuovi fantastici mondi,

pagina dopo pagina porta via con sé l’anima delle parole,

le riscrive e dona ai futuri viandanti nuove strade

su cui camminare liberamente.

M.P.

Un vasto mondo si apre nel suo sguardo. Occhi che vedono oltre il visibile e sanno trasmutare parole in emozioni, coglierne il senso e svelarne i segreti più reconditi.  

Mi imbatto nell’ ospite di oggi tramite Instagram, spesso foriero d’incontri inaspettati e preziosi.  Di lei mi colpisce subito il suo stile, la sua innata eleganza che traspare insieme alla sua essenza.

Moltissimi la conoscono tramite le sue recensioni e la sua presenza in programmi culturali come “Mille e un libro – Scrittori in Tv” programma condotto da Gigi Marzullo su Rai uno.  

Leggendo alcune sue recensioni e pensieri si avverte tutta la sua passione: lei non analizza solo un libro, ma conduce il lettore, tramite le sue emozioni e esperienza, a conoscerne il senso più vero. Dote rara saper valicare l’apparente parola e giungere al cuore del libro, dove l’autore nel suo profondo ha lasciato sé stesso e il suo intento… che spesso, per poca attenzione nella lettura, non viene del tutto compreso. 

Leggere appare un’operazione semplice, scontata, appresa sui banchi di scuola, ma non è del tutto vero che chi legge, sa leggere… E l’ospite di oggi lo sa sicuramente fare! Nel senso più alto e vero del termine. 

Mi colpiscono queste parole che ha rilasciato in un’intervista qualche anno fa, «Le mie gambe, la mia voce sono diventate immobili, rigide, marmo. Scollegata e rallentata nei movimenti ho passato quest’ultimo anno e mezzo a letto. Quando stai male vivi in una dimensione di vuoto, di stallo nel vuoto. Sputi anche l’anima in bagno, tutti i giorni, e preghi Iddio che passi in fretta. Non ho letto e scritto, tranne una volta sola. Mi mancava leggere, accendere il computer o tenere una penna in mano, ho dovuto aspettare». 

Lucia Accoto è un esempio di resilienza, di come l’amore e la passione per ciò che si fa ci possa fare rialzare dopo brutte cadute e riprendere il nostro volo.

Una donna passionale, forte, combattiva, coraggiosa, con un percorso personale per nulla semplice, ma che sa lottare!  In lei un arcobaleno di luce avvolge la sua aurea e in quel suo sguardo v’è tutto l’amore per la vita; e chi ama davvero la vita: Vince!  

 Conosciamola meglio.

 Innanzitutto la ringrazio di essere qui, e parto col chiederle: rammenta la sua prima lettura da bambina, quale fu e cosa l’affascinò?

Piccole donne è il primo libro che ho letto. Frequentavo le elementari. Mi appassionavo alle storie e volevo conoscere le parole, che poi creano un mondo nel quale scopri più di quanto si possa immaginare. Del romanzo di Louisa May Alcott respirai la forza della determinazione e l’audacia, necessaria, per realizzare i propri sogni anche a costo di sembrare sui generis, diversa. Piccole donne è stato un libro rivelatore, una scoperta. E la ringrazio dell’invito.

È nato in lei prima l’amore per la lettura o per la scrittura?

Lettura e scrittura sono andate sempre a braccetto, per me. Le ho amate entrambe, sin da bambina. Scrivere mi ha sempre permesso di entrare in una dimensione intimistica, ovattata, fatta di libertà. Leggere, invece, mi ha fatto comprendere la rotondità delle parole, l’importanza delle pause, la bellezza dello stile e delle storie. Tutto questo, lo comprendi anche da bambina quando qualcosa ha un fascino che ti ammalia. 

Quale libro, secondo lei, dovrebbe essere assolutamente letto da tutti e perché?

Firdaus, Storia di una donna egiziana. Un romanzo sociale e drammatico scritto da Nawal al-Sa’dawi. In Egitto il libro ha suscitato grande scalpore ed è stato censurato. Una donna, Firdaus, in carcere attende impassibile il momento dell’impiccagione.  È stata costretta alla prostituzione e per difendere il suo diritto alla vita ha ucciso il suo aguzzino. La vita di una donna, anche nelle società più evolute culturalmente, è considerata meno di niente. Anzi, solo possesso, una proprietà.

Lo scrittore israeliano Aharon Appelfeld (1932-2018) sulla scrittura diceva: “La scrittura non è magia ma, evidentemente, può diventare la porta d’ingresso per quel mondo che sta nascosto dentro di noi. La parola scritta ha la forza di accendere la fantasia e illuminare l’interiorità”. Una sua considerazione?

La scrittura è vita, silenzi e respiri. È sentimento. Scrivere è una pazzia d’amore. Ti squassa l’anima, ti chiama o ti respinge. Diventerai, così, tempesta, maremoto emotivo. La scrittura è uno spazio aperto. Scrivere richiede un intimo sodalizio con la solitudine, fuori dal chiasso, dal ciricì. Per scrivere bisogna diventare naufraghi, finire sotto la pioggia battente dei pensieri, anche di quelli che non conosceranno l’approdo. Annacquare l’inchiostro con la banalità è una mescita che spetterebbe ai mediocri. È necessario saper dire le cose e soprattutto avere qualcosa da dire. Scrivere è anche fare a cazzotti con la paura di non farcela, di essere foglia e vento. La scrittura è anche una danza. Le parole, lo stile, le storie, devono impadronirsi del lettore. Eppure, lo scrittore, più che gli altri, deve convincere sé stesso.

Se potesse viaggiare nel tempo, quale autore vorrebbe incontrare e soprattutto cosa gli chiederebbe?

Alexandre Dumas. È il padre del romanzo storico ed io amo questo genere letterario. Il conte di Montecristo, nella sua struttura, non difetta in nulla. Ha tutto quello che serve per renderlo prezioso, importante ed un capolavoro. A Dumas avrei rivolto tante di quelle domande che, sono certa, mi avrebbe allontanato per disturbo della quiete personale.

C’è un libro ai giorni nostri, secondo lei, sopravalutato?

Di quelli che ho letto, e sono tantissimi, non ho trovato ancora quello sopravvalutato. Sono sincera.

Ma oggi nell’era dell’apparenza per eccellenza, i bravi autori arrivano ancora ad avere la giusta visibilità? O vengono scavalcati da quelli fittizi che dalla loro parte hanno già una grande notorietà, per motivi quasi mai inerenti al talento, che fa gola agli editori e alle loro tasche.

I bravi autori, quelli emergenti, spesso restano nell’ombra. Quelli noti, altrettanto bravi, hanno la forza del loro nome o delle loro case editrici. Ma la concorrenza e le proposte editoriali sono tante e tali che ritagliarsi uno spazio, originale, è sempre più difficile. Anche i nomi più conosciuti hanno le loro criticità nel mare grande dell’editoria. In entrambi i casi, scrittori emergenti e noti, la comunicazione, nel promuovere il proprio libro, non è semplice. Non basta pubblicare sui social un post al giorno per ricordare di acquistare il libro scritto ed appena uscito. Questa è una solfa che stanca e annoia. Occorrono criterio, stile e strategia comunicativa.

Leggere appare un’operazione semplice, scontata, appresa sui banchi di scuola, ma non è del tutto vero che chi legge, sa leggere? Una sua considerazione.

Leggere è fondamentale per non finire nella torba della mediocrità. Tutti sappiamo leggere e scrivere. C’è chi ha una lettura spedita e una scrittura incerta, chi padroneggia benissimo entrambe, chi non conosce né l’una e né l’altra, in senso anaffettivo della cosa, chi legge tanto però non è detto che sappia scrivere. Saper leggere è una storia a parte. Significa donarsi alla scrittura, assorbirla. Capire il ritmo, cercare il non detto, entrare nell’anima della storia e nelle retrovie del pensiero dello scrittore.

Se dovesse definirsi con una sola parola quale sarebbe e perché?

Stilosa. Ho stile, nella scrittura e nella personalità. Posso dirlo senza essere, in questo, vanitosa o arrogante.

 Sul suo Libro “Mena” (Il Raggio Verde, 2014) dicono: “Libro incentrato sul rapporto con la scrittura, sul valore delle parole che la giornalista e scrittrice salentina ha riscoperto imparando nuovamente a parlare attraverso le labbra della gente…” Le va di parlarcene?

 

“Mena” è uno dei libri che ho scritto per la casa editrice Il Raggio Verde. Mena in salentino è un imperativo, significa sbrigati. È anche il nome di mia nonna, deceduta lo scorso anno all’età di 102 anni. Nel libro, una raccolta di racconti, ho ritrovato le parole sparse, disseminate, perse. Le ho accarezzate, amate e lasciate. Ogni goccia di esse è la vita, lo strazio, il tormento. Le ho volute, cercate, spogliate. Le ho allineate, ordinate, scompaginate. Mi hanno succhiato il sangue, mi hanno tolto il sonno e aggiustato le ore. Sono rimasta impigliata tra le parole silenziose. Le ho lette a caso su volti sconosciuti per incrociare e riconoscere le mie.

Un sogno nel cassetto?

Continuare a fare quello che faccio. Il lavoro di critico letterario e di recensore professionista è già un sogno che ho realizzato, portarlo avanti non è mai scontato.

In un mondo in cui l’intelligenza artificiale avanza pericolosamente, dove l’uomo non sa nemmeno più scrivere a mano… Occorre puntare sugli autori del passato per dare buoni esempi ai nostri giovani, o ci sono ancora valide alternative?

Serve la storia letteraria, ma va affiancata alla modernità. I giovani vanno stimolati nella formazione culturale e loro guardano il presente. Si appassionano poco al passato. Se si offrisse loro una rosa di proposte letterarie, moderne e storiche, guarderebbero in modo diverso e nuovo anche i libri. Occorre la cultura della lettura. Senza di essa, c’è poca speranza anche per la scrittura.

Lettura e scrittura sono vita, per me. Sono il tutto dentro ad un altro tutto che nasce ogni giorno e come ogni alba è sorpresa ed incognita. Mi aggancio a questo suo pensiero che condivido pienamente e le chiedo: come il domani anche la Fede è un’incognita.  Che rapporto ha con la Fede, la spiritualità?

La fede, per me, è importante. È un punto fermo a cui so di poter trovare forza, respiro e serenità.

Nel suo percorso c’è lo spettro di un brutto male che lei con forza combatte. Un messaggio a tutte le persone che stanno attraversando un momento buio.

Il tumore non sono ancora riuscita a debellarlo. Ecco, la fede mi aiuta a sopportare. Il lavoro, invece, ad andare avanti. Ho recuperato forza, fortunatamente, e mi sono buttata a capofitto nella lettura e nella scrittura. Tenersi impegnati è fondamentale, se si ha energia. È l’unico modo per non arrendersi, per sentirsi vivi e non difettosi per un tumore, oppure per qualsiasi altra patologia, che ha fatto presa sul fisico e nella mente. 

Ringraziando Lucia Accoto per avermi concesso questa intervista.

Ricordo ai nostri amici lettori il suo account Instagram:

Intervista a cura di Monica Pasero

 

 

 

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