Alain Delon è morto da due giorni, è stato uno shock per molti e anche per me. Ero una ragazzina di 12 anni quando iniziai a seguire le sue “avventure o disavventure amorose”, sui giornali, uno fra tutti Sorrisi e Canzoni TV che compravo la domenica ogni qual volta lo vedevo ritratto in copertina.
Era il mio attore preferito, ricordo che scrissi tantissime lettere ad un programma che andava in onda di domenica su Rai Uno, “Tanto piacere “condotto da Claudio Lippi, per essere invitato in trasmissione cosa che successe per le migliaia di richieste che arrivarono in Rai.
Ed eccomi qui,dopo quasi 50 anni a scrivere qualcosa sulla sua morte e su di lui. Mi sono chiesta se si sia spento all’improvviso per un peggioramento della salute, o sia riuscito nel suo intento di farsi praticare l’eutanasia. Era quello che voleva e lo affermava da anni, invocava la morte perché non accettava il passare del tempo e la vecchiaia che gli ha portato non pochi problemi di salute,come a tutti del resto.
Non si riconosceva più guardandosi allo specchio,non era più la nostra faccia d’ angelo, e non si accettava. Sì, perché il fascino può diventare un peso, può portare un uomo o una donna a divenirne prigioniero. Alain, colpito da malattie fisiche gravi, da anni nel buio della depressione, sfiancato da diverse faide familiari, ci ha impartito una eccellente interpretazione da Oscar di quella commedia chiamata Vita, narrando il declino di un uomo, non più un dio, che pareva intramontabile.
Nel 2005, dopo la separazione da Rosalie van Breemen, Delon rese noto di soffrire di depressione e di aver più volte pensato di farla finita.
Tuttavia, la sua lotta contro la malattia non si fermò qui. Nel 2019, un mese dopo aver ricevuto la Palma d’oro onoraria al Festival di Cannes, venne colto da un ictus, seguito da un’emorragia cerebrale. Questi eventi segnarono profondamente l’attore, portandolo a riflettere sulla vita e sulla morte. Era fisicamente debole e in uno stato di esaurimento fisico e psicologico, tanto che il rischio di suicidio tornò ad essere alto.
La diagnosi del cancro, in particolare di un linfoma a evoluzione lenta nei polmoni, lo spinse ancora di più verso la solitudine e la riflessione sulla fine della sua esistenza. Nonostante tutto, aveva una compagna, mandata via poi dai figli, al suo fianco che lo aiutava a combattere il demone della depressione.
La storia di Alain Delon ci ricorda che anche le icone del cinema affrontano sfide personali e fragilità umane.
“Invecchiare fa schifo. Non puoi farci niente, l’età si fa sentire. Non riconosci la faccia, perdi la vista… Per questo ho chiesto a mio figlio Anthony, di organizzare la mia eutanasia per quando sarò pronto”.
È con frasi come queste che ha raccontato in modo più che cinico, l’autunno della sua vita. Lui ha narrato la sua infermità, ha dissacrato la vecchiaia , al contrario da chi la esalta, come un prolungamento infinito della giovinezza.
È stato audace nel dire che non c’è nulla di poetico nel non vedere più, nell’avere bisogno di qualcuno per alzarsi in piedi, per andare in bagno. Il suo “la vecchiaia fa schifo” ,è un grido di verità che zittisce e ridicolizza chi vuole fare credere che l’invecchiamento ormai pieno di fascino, assai di moda sui social media, popolati da settantenni, ottantenni muscolosi,atletici, tonici, impegnati a fare flessioni ad ogni ora del giorno tra una conquista amorosa e l’altra.
Alain Delon ha tolto questa concezione di vecchiaia diventata un mito, ricordando che né lo sport, né la medicina, e nemmeno la bellezza possono cancellare il momento del decadimento, che arriva per tutti. In un tempo nel quale l’immagine diventata sempre più digitale è cristallizzata ed artefatta, lo vediamo tutti come migliaia di individui sono congelati in pose avvenenti e ritoccate su Instagram, lui ha invece ben spiegato quanto sia volatile ed effimera la bellezza e quanto sia pericoloso farne un modus vivendi.
Angela Amendola