La legge Pica

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“Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle provincie infette”

Il 15 agosto del 1863, Vittorio Emanuele II di Savoia, firmò la legge Pica. Con la legge n. 1409, il governo instaurò nei territori dell’ex Regno delle due Sicilie, la legge marziale. La fedeltà al re Borbone, venne punita dai tribunali militari con fucilazioni sommarie, ai lavori forzati e con l’ergastolo. La legge, dopo varie proroghe, rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865, ma essa, non raggiunse mai lo scopo prefissato vista la feroce opposizione delle bande armate, i briganti, che durò per il decennio che va dal 1860 al 1870.

“Recita il sito ufficiale dell’Arma dei Carabinieri: “La legge Pica permise la repressione senza limiti di qualunque resistenza: si trattava, in pratica, dell’applicazione dello stato d’assedio interno. Senza bisogno di un processo si potevano mettere per un anno agli arresti domiciliari i vagabondi, le persone senza occupazione fissa, i sospetti fiancheggiatori di camorristi e briganti. Nelle province dichiarate infestate da briganti ogni banda armata di più di tre persone, complici inclusi, poteva essere giudicata da una corte marziale. Naturalmente alla sospensione dei diritti costituzionali si accompagnarono misure come la punizione collettiva per i delitti dei singoli e le rappresaglie contro i villaggi “.

Durante la seduta parlamentare datata 29 aprile 1862, il senatore Giuseppe Ferrari, chiosava:

«Non potete negare che intere famiglie vengono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono, in quelle province, degli uomini assolti dai giudici e che sono ancora in carcere. Si è introdotta una nuova legge in base alla quale ogni uomo preso con le armi in pugno viene fucilato. Questa si chiama guerra barbarica, guerra senza quartiere. Se la vostra coscienza non vi dice che state sguazzando nel sangue, non so più come esprimermi».

Il deputato siciliano Vito d’Ondes Reggio, in data 5 dicembre 1863, presentò un’interpellanza parlamentare chiedendo spiegazioni riguardo alle modalità, tipiche di una “profilassi di tipo coloniale”.

Vani furono i tentativi di alcuni parlamentari che chiedevano la modifica degli aspetti incostituzionali del progetto di legge. Molti generali si erano distinti per ferocia inaudita, uno fra questi, il generale Alberto La Marmora, comandante dell’esercito nelle provincie meridionali, il quale, ordinava:

 “che coloro i quali venivano catturati con l’accusa di brigantaggio, fossero essi sospettati di essere ribelli o parenti di ribelli, potevano essere passati per le armi dall’esercito, senza formalità di alcun genere”.

Nel 1864, Vincenzo Padula, scrisse:

“Il brigantaggio è un gran male, ma male più grande è la sua repressione. Il tempo che si dà la caccia ai briganti è una vera pasqua per gli ufficiali, civili e militari; e l’immoralità dei mezzi, onde quella caccia deve governarsi per necessità, ha corrotto e imbruttito. Si arrestano le famiglie dei briganti, ed i più lontani congiunti; e le madri, le spose, le sorelle e le figlie loro, servono a saziare la libidine, ora di chi comanda, ora di chi esegue quegli arresti”.

Negli anni tra il 1861 e il 1865, fu imposta la censura militare, secondo le parole del Padula: “che copriva di fatto le operazioni sporche di tipo coloniale”.

In poche parole, nei territori oggetto di operazioni militari, era proibito circolare sia ai giornalisti italiani e stranieri e anche agli stessi parlamentari. Nelle redazioni arrivavano solo notizie filtrate, lasciate sfuggire con maestria. Voci di corridoio, come diremmo oggi.

I renitenti alla leva divennero perseguibili ma non solo loro, lo furono i parenti e persino i loro concittadini. Nella pratica avvenne l’occupazione militare di paesi e città. Era il concetto di “responsabilità collettiva” che dava il diritto di rappresaglia, anche per un solo renitente, costringendo, innocenti cittadini a rivelare, sotto coercizione, il nascondiglio di chi aveva deciso di disubbidire. Il servizio di leva, aveva una durata di cinque anni e obbligava padri di famiglia, giovani e lavoratori, spesso unico sostegno familiare, ad indossare la divisa militare.

Questo gettò le terre meridionali nella più completa miseria e secondo la legge Pica, nelle case non potevano esserci provviste alimentari nelle quantità superiori al consumo giornaliero, anche questo valeva l’accusa di brigantaggio e fucilazione senza processo. Altri divieti erano quello di esercitare il mestiere del barcaiolo o possedere una barca. Infine, un divieto che aveva dell’assurdo, era quello di vangare il terreno dopo il tramonto. Il tutto, giustificato come prevenzione e/o lotta al brigantaggio.

 

 

 

 

 

 

 

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