La signora del castello

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Tanto tempo fa, un eccentrico signore, fece costruire un enorme castello.  All’esterno c’erano lunghissime guglie e alte torri svettavano verso il cielo. All’interno invece, c’erano grandi sale coi muri finemente decorati e in ogni sala, un camino sempre acceso. Il sole filtrava dalle finestre e illuminava il bianchissimo pavimento in marmo. Arredata  con mobili di pregio e bellissimi lampadari pendevano dai soffitti. Il maggiordomo ogni sera accendeva le candele di tutti i lampadari per sconfiggere il buio della notte. Il signore tuttavia, era molto triste perché la sua unica figlia, non aveva intenzione di maritarsi. La sua preoccupazione era che  alla sua morte, la giovane sarebbe rimasta da sola. Molti pretendenti si affacciavano all’ingresso del palazzo ma andavano via sempre delusi e sconsolati. Non c’era nessuno che riuscisse a conquistare il cuore della bella castellana. Nessun nobile, giovane o meno  giovane, ricco o decaduto, bello o meno bello, riusciva a trovare la via giusta ed entrare nelle sue grazie. Ma a parte questo, padre e figlia erano molto legati. Avevano molti interessi in comune. Nelle fredde sere invernali, passavano il tempo giocando a scacchi o leggendo i libri della loro immensa biblioteca. D’estate invece, amavano uscire a cavallo per ammirare la natura circostante, beandosi del canto degli uccelli e godere del caldo sole estivo. Un triste giorno però, Fiordaliso, la figlia del signore, si ammalò. Nessun medico riusciva a capire quale fosse la sua malattia. Il padre faceva arrivare medici da ogni dove, per studiare il caso e guarirla, ma inutilmente. Il signore era disperato vedendo la figlia spegnersi ogni giorno di più e si stava quasi abituando all’idea di perderla per sempre. Si sentiva impotente e cosciente del fatto che avrebbe speso fino all’ultimo soldo del suo immenso patrimonio, pur di salvarla. La voce della giovane morente si sparse per tutto lo stato e anche fuori dai confini, così un giorno, a cavallo di un mulo, si presentò un omino strano, coperto di abiti strani e che parlava con un accento strano. Prometteva la guarigione di Fiordaliso, ma per ottenerla c’era una condizione: il signore avrebbe dovuto barattare la propria vita in cambio di quella della figlia. Il suo immenso amore, lo portò ad accettare lo scambio senza riserve. Il suo unico cruccio era di sapere la figlia guarita ma completamente sola, senza un uomo accanto, pronto a proteggerla. Fiordaliso, dopo il patto tra i due uomini, migliorava giorno dopo giorno, fino a guarire completamente. A guarigione avvenuta, l’omino si presentò per riscuotere il suo credito e così, il signore, un mattino non si svegliò, cadde in un sonno profondo che lo condusse alla morte senza sofferenza. Fiordaliso pianse la morte del padre con lacrime amare. Il vecchio maggiordomo, tentava di consolarla con parole paterne, preparando per lei lauti pasti e dolciumi vari, accendendo tutte le luci del palazzo, come sempre. Ma tutto era inutile, la giovane si chiuse in se stessa e non uscì più dalla sua stanza che in breve, divenne la sua prigione. Dopo qualche tempo, anche il maggiordomo passò a miglior vita ma questo invece di spingere la giovane nel baratro, la spronò. Non avendo nessuno che si occupasse di lei, dovette darsi da fare per riprendere in mano le redini della sua vita, consapevole del fatto che il padre avrebbe voluto questo da lei. Assunse nuova servitù e le luci del castello furono riaccese e con esse, anche i caminetti ripresero a scaldare le stanze. Con l’aiuto di due cameriere, rinfrescò i suoi bellissimi abiti che da tempo giacevano in fondo ad un armadio e si fece acconciare i capelli, seguendo la moda del tempo e indossò il suo sorriso più bello. Sparì la polvere da mobili e tende e la musica del pianoforte, risuonava per tutto il castello. Fiordaliso, ovviamente, non era più giovanissima. Piccole rughe le giravano intorno agli occhi ad ogni sorriso ma non era motivo di cruccio. Un giorno, mentre passeggiava nei giardini del palazzo, incontrò lo stesso omino che aveva preso accordi con il padre ma lei non lo aveva mai conosciuto. Lo vide mendicare un po’ di cibo ed era vestito di poveri stracci, così lo accolse, lo sfamò e gli diede degli abiti nuovi. Non solo, Fiordaliso gli diede la possibilità di lavorare per lei e vivere comodamente in un alloggio, nella dependance del castello. L’omino accettò il lavoro con gioia. Ma se l’omino si era presentato da Fiordaliso, quasi sicuramente c’era una ragione ben diversa da quella di ottenere un tozzo di pane. In realtà si trattava di un mago buono che impietositosi, aveva raccolto la preoccupazione di un padre verso la figlia che sarebbe rimasta irrimediabilmente da sola. Tutto sembrava scorrere serenamente e Fiordaliso, non sospettava nulla. Un pomeriggio, uscì per i campi, come soleva fare spesso, e con somma sorpresa, vide un uomo sconosciuto che portava in braccio una bimba addormentata. Riccioli biondi le coprivano il visino abbandonato sulla spalla del padre. Fiordaliso volle chiedere all’uomo chi fosse e dov’era la madre della bimba. L’uomo, mestamente le rispose che la madre della bambina, sua moglie, era morta e lui era un nobile che, a causa di un re despota, aveva perduto tutti i suoi beni. Vagava in cerca di un posto dove vivere, per sé e per la figlia che aveva già patito fame e freddo. A questo racconto, Fiordaliso si impietosì e invitò l’uomo al suo castello, affinchè si rifocillasse e facesse dormire la piccola in un letto caldo e comodo. L’uomo si presentò come il Marchese di Villalba e disse che la figlia si chiamava Marialuce! Arrivati al castello, il Marchese e l’omino-mago, si scambiarono un’occhiata complice ma la donna non se ne accorse. Il Marchese aveva modi gentili ed educati e la piccola Marialuce, ben presto si affezionò a Fiordaliso che iniziava ad apprezzare quell’odor di famiglia, che quasi aveva dimenticato.

Un mattino però, si svegliò e non trovò più padre e figlia, sembrava quasi che si fossero volatilizzati e nel palazzo, non esisteva alcuna traccia del loro passaggio e Fiordaliso non sapeva darsi pace. Li cercò ovunque, in ogni stanza, in ogni anfratto, nei boschi, per le vie desolate ma inutilmente. Divenne triste e si richiuse nel suo dolore, nello stesso identico modo di quando morì suo padre. Non uscì più, non volle più vedere nessuno. Neanche il mago riusciva a svegliarla da quel torpore in cui era precipitata, ma allo stesso tempo, il mago non voleva assolutamente rivelarle la verità sul marchese. Passarono gli anni e le sue tempie si imbiancarono. Era diventata una vecchina triste e sola. I villani l’avevano soprannominata: “la Signora del castello”, a causa dell’aura misteriosa che girava intorno a lei. In tanti provavano a capire, a disquisire, a fare congetture sui motivi che avevano spinto la signora a rinchiudersi nel suo maniero. A dire il vero, il mago si sentiva responsabile di tutto quel dolore che involontariamente, aveva causato. Dopo aver riflettuto a lungo, decise di rivelare la verità a Fiordaliso, così, preso il coraggio a piene mani, le raccontò tutto, iniziando dalla sua malattia e del padre che aveva barattato la propria vita, pur di salvarla. Con l’arrivo del marchese e di sua figlia, aveva voluto farle capire quanto potesse diventare bella la sua vita, diventando moglie e madre ma il marchese, resosi conto che Fiordaliso non si sarebbe mai innamorata di lui, decise di andarsene alla chetichella, senza sapere che quella delusione, avrebbe fatto soffrire così tanto la donna. A questo racconto, Fiordaliso, si rese conto di aver sprecato la propria vita e di aver reso vano il sacrificio del padre di tanti anni prima. Ormai però, era troppo tardi per porre rimedio, la sua pelle era piena di rughe e i capelli tutti bianchi, segno del tempo che, senza pietà, era trascorso su di lei e la cosa peggiore era che, il tempo a sua disposizione stava per scadere. Vedendo quanto fosse dispiaciuta Fiordaliso per aver sprecato la sua opportunità, il mago decise di andare indietro fin dove era possibile, cancellando il passato. Passò una mano sul viso della donna e le rughe d’incanto, scomparvero lasciando al loro posto, una pelle fresca e levigata. Poi toccò i capelli che da bianchi, tornarono biondi e brillanti. La sua schiena si raddrizzò e le gambe ripresero a camminare senza fatica. Aveva ritrovato bellezza, giovinezza e soprattutto, tempo! Ora le restava solo di vivere la sua vita come una qualsiasi giovane donna. Uscì a cavallo per godersi il sole mattutino che era sempre rimasto fermo ad aspettarla. Sorrise alla vita futura che l’attendeva. Inoltrandosi nella boscaglia, cavalcando a più non posso, sfiorando i rami degli alberi, cantando e ancora sorridendo, vide un uomo che le veniva incontro. Aveva in braccio una bimbetta coi riccioli biondi, addormentata teneramente sulla sua spalla…

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