Il Professore Remuzzi è un medico, è uno scienziato di fama internazionale, è Direttore dell’Istituto Mario Negri, è autore di più di1440 pubblicazioni su Riviste Internazionali e di 16 libri.
Professore, grazie per aver accettato di essere nuovamente intervistato da me a distanza di un anno (clicca sul link qui sotto per leggere la mia intervista del 5 luglio 2020):
https://screpmagazine.com/giuseppe-remuzzi-la-scienza-al-servizio-dellumanita/
Entriamo nel vivo dell’intervista.
La prima domanda è particolarmente attuale in questi ultimi giorni: il mix di vaccini o la cosiddetta vaccinazione eterologa funziona?
La validità della campagna eterologa è confermata da studi clinici in Spagna, Germania e Gran Bretagna.
Le ricerche fatte fino ad ora confermano che il mix di vaccini non solo funziona, ma garantisce una migliore copertura.
Fare la prima dose con un vaccino e la seconda con un altro, non è cosa di oggi: due vaccini diversi sono stati sperimentati per la prima volta a Parigi 34 anni fa e si è capito subito che l’idea era buona. Adesso chi lavora sull’HIV segue la strada della vaccinazione eterologa e lo stesso si fa per Ebola, tubercolosi etc. Lo si è fatto anche per Sars-Cov-2: Sputnik è di fatto una vaccinazione eterologa visto che l’adenovirus della prima dose è diverso da quello della seconda. Prima di arrivare all’uomo i ricercatori hanno provato tutte le combinazioni possibili negli animali per concludere che l’eterologa consente al sistema immune di riconoscere e neutralizzare l’intruso (il virus) in regioni diverse e ciò aumenta l’efficacia della vaccinazione. Per Sars-Cov-2 la combinazione dei 2 vaccini sfrutta le peculiarità di entrambi: AstraZeneca genera linfociti T (killer) che attaccano le cellule infettate dal virus per poi distruggerle; i vaccini a mRna, invece, provocano soprattutto una risposta anticorpale.
Professore, in merito alla terapia domiciliare per la cura precoce dei soggetti contagiati dal Covid, ho letto che l’istituto Mario Negri sta lavorando ad un protocollo terapeutico. Di cosa si tratta?
La cura contro il Covid – 19 inizia a casa quando il virus si sta replicando nel nostro organismo senza che noi ce ne accorgiamo. I primi 10 giorni sono cruciali per fermare il virus. La prima cosa da fare è incontrare il proprio medico. << Home are you in yorself?>>, chiedeva Stuart Cameron, grande nefrologo e grandissimo medico ai suoi pazienti. Sarebbe << Come ti senti dentro te stesso?>>: a un medico bravo basta questo per capire come vanno le cose. Poi certo, ci sono i farmaci, anche se sulle cure a casa gli studi controllati (quelli che hanno valore scientifico) sono davvero pochi. Ecco perché è sbagliato criticare le indicazioni del Ministero e dell’Aifa nella gestione domiciliare dei pazienti da infezione con Sars – Cov -2 perché senza studi impeccabili e pubblicati, le istituzioni non possono fare di più.
Adesso però qualche studio si incomincia a intravedere. Il più importante è appena stato pubblicato sul Lancet da ricercatori di Oxford: due << puff>> al giorno di un preparato usato comunemente per l’asma – contiene Budesonide, un cortisonico – che, se utilizzato entro 7 giorni dall’inizio dei sintomi, riduce dell’80% la necessità di ricorrere all’ospedale. Un altro studio che sarà presto pubblicato dimostra come antinfiammatori molto comuni e diversi dal cortisone (aspirina, nimesulide etc), se presi sin dai primi sintomi, prima di sapere se il tampone sarà positivo o no, riducono la necessità di ricorrere all’ospedale.
90 pazienti sono stati trattati con il protocollo suddetto e altri 90 pazienti sono stati trattati con tachipirina e vigile attesa. La differenza è molto forte in termini di necessità di ricoveri ospedalieri: 2 pazienti contro 30. Adesso stiamo facendo un altro studio per confermare questi dati. C’è un piccolo lavoro di cui nessuno parla. È basato sull’impiego di uno sciroppo della tosse che contiene Bromexina che inibisce l’enzima (Tmprss2) che consente alla proteina Spike di legarsi al suo recettore. È importante anche l’Ivermectina, un antiparassitario che di solito si impiega negli animali. C’è però una formulazione galenica che è stata usata nell’uomo. I risultati non sono un granché, ma c’era qualche problema di dosaggio; aspettiamo una parola definitiva da uno studio in corso all’ospedale di Negrar fatto con la dose giusta. E ci sono altre buone idee e ne dico una: il Metotrexato, un farmaco anticancro che potrebbe uccidere il virus come fa con le cellule tumorali; ci sono già autorizzazioni, protocolli, voglia di studiare questo farmaco, ma costa poco o niente, come tutto quello di cui vi ho parlato finora, non sono cose per la grande industria. Servirebbe un investimento pubblico o qualche persona generosa che abbia voglia di aiutare questi medici che hanno già tutto pronto per avviare questi studi.
Poi ci sono gli anticorpi monoclonali. Vanno fatti molto presto anche loro, in pazienti con malattia lieve o moderata e li raccomandano sia l’Nih che l’Aifa. Fare gli anticorpi monoclonali a casa sarebbe bello, ma in pratica non si può, vanno dati in flebo e durante l’infusione possono esserci disturbi anche importanti, per quanto abbastanza rari. Quindi servono presidi dedicati, perlomeno fin quando non si potranno somministrare intramuscolo.
La fondazione toscana “Life Sciences” con Rino Rappuoli sta dando un contributo importante a queste ricerche: hanno messo a punto un anticorpo apparentemente molto potente ed efficace anche contro le varianti (perlomeno in laboratorio) e non è nemmeno escluso che possa funzionare anche nelle fasi avanzate della malattia. Adesso si tratta di aspettare i risultati degli studi fatti sui volontari. Per i monoclonali c’è e ci sarà sempre il problema del prezzo: costano tanto, forse troppo.
Perché la maggior parte delle persone infettate da coronavirus ha sintomi lievi e dopo qualche giorno guarisce. E perché altri hanno disturbi più importanti tanto da finire in ospedale, qualcuno in rianimazione e, purtroppo, molti ci rimettono la vita?
La risposta potrebbe essere tutta nel Dna.
Ci sono due regioni del genoma umano che aumenterebbero il rischio di ammalarsi di Covid in modo grave. Una di queste regioni, sul cromosoma 9 ha a che fare con i gruppi sanguigni; secondo Andre Franke in un lavoro pubblicato a giugno sul New England Journal of Medicine il gruppo A si assocerebbe a una malattia più severa. Ma ciò si sapeva da diversi mesi grazie ad alcuni ricercatori. Secondo altri studi quelli di gruppo O avrebbero meno rischi rispetto ad A e AB; chissà che non siano i loro stessi anticorpi anti – A e anti – B a proteggerli. È la regione sul cromosoma 9 che ha a che fare con i gruppi sanguigni. Ma esiste un’altra regione del nostro genoma che sarebbe chiamata in causa con la suscettibilità al Covid 19: si trova sul cromosoma 3 ed ospita 6 geni. Uno di questi o più di uno condiziona le diverse manifestazioni della malattia.
La letalità Covid deriva dai Neanderthal.
Dopo gli studi sui gruppi sanguigni, una ricerca prova a dimostrare che la mortalità legata al Coronavirus discende da una variante cromosomica ereditata dai Neanderthal.
Morire o guarire di Covid. La scienza cerca di spiegare perché la risposta dell’organismo al contagio da Coronavirus dipende dal Dna. E ha origini antichissime. L’aplotipo di rischio (variante del DNA ndr) non può che essere entrato nel genoma dell’uomo moderno attraverso incroci con l’uomo di Neanderthal.
La regione del nostro genoma che si trova sul cromosoma 3 è particolarmente interessante. Dopo aver studiato piu’ di 3000 pazienti e 900.000 controlli c’è la conferma che il gruppo sanguigno ha un certo ruolo, ma marginale, mentre è proprio la regione sul cromosoma 3 quella associata alla severità della malattia e al rischio di morirne.
A questa conclusione sono arrivati Hugo Zeberg e Svante Pääbo – che lavorano al Max Planck Institute in Germania e al Karolinska Institute a Stoccolma.
La cosa inaspettata e in un certo senso sensazionale di questa ricerca peraltro appena pubblicata su Nature è che delle 13 varianti che costituiscono l’aplotipo di rischio 11 (tutte presenti in forma omozigote, cioè su entrambe le copie del cromosoma 3 sono arrivate alla popolazione moderna dai Neanderthal.
Hugo Zeberg ha raccontato che quando si è accorto che il segmento di DNA di interesse, quello che si associa al Covid più grave, era identico a quello che c’è nella stessa posizione nel genoma di Neanderthal, ha rischiato di cadere dalla sedia.
E che ci fa quell’aplotipo nei Neanderthal? Una volta forse li proteggeva dalle infezioni, adesso però che ci si trova di fronte a un virus nuovo, vien fuori l’altra faccia della medaglia, un eccesso di risposta immune non solo non ci protegge, ma ci espone a una malattia più severa. Di sicuro quando i nostri antenati hanno incontrato i Neanderthal non pensavano minimamente che l’accoppiarsi fra loro ci avrebbe fatto morire 50.000 anni dopo!’.
L’aplotipo di rischio non può che essere entrato nel genoma dell’uomo moderno attraverso incroci con l’uomo di Neanderthal. Questo giustifica anche che lo stesso aplotipo sia frequente in Asia, particolarmente del sud (30%), meno negli europei (8%), ancora meno negli americani considerando nord e sud America insieme (4%) mentre nell`Asia dell`est la frequenza di questo aplotipo è molto bassa.
In Africa l’aplotipo di Neanderthal che si associa ai casi più gravi di Covid-19 non c’è affatto e guarda caso COVID-19 in Africa ha fatto morire meno persone che in qualunque altra parte del mondo.
L’aplotipo di rischio è molto frequente in Bangladesh. Ebbene da uno studio recente del governo inglese viene fuori che chi risiede nel Regno Unito, ma origina dal Bangladesh ha un rischio di morire di Covid doppio rispetto a quello della popolazione.
Se tutto quello che abbiamo detto fosse vero si potrebbe persino pensare che da questa regione del nostro DNA dipenda l’evoluzione della pandemia nel mondo. Ammettiamo che i portatori dell’aplotipo che viene da Neanderthal, siano di fatto quelli che sviluppano Covid grave e che muoiono più facilmente: a un certo punto, quel blocco di DNA sparirà per selezione negativa. A quel punto lì Covid-19 non sarà piu’ una malattia così grave e la letalità sarà sempre più bassa.
Si apre, allora, una grande prospettiva di ricerca: resta da capire per quale ragione quella porzione di cromosoma 3 che viene da Neanderthal ci espone al rischio di manifestazioni gravi di Covid-19.
Zeberg e Pääbo hanno provato a chiedersi quante potrebbero essere state finora le vittime del cromosoma di Neanderthal. Forse 100.000 al mondo e potrebbero essere proprio quelli che non si sa perché muoiono: non sono ottantenni o più non hanno le famose malattie associate (diabete, malattie del cuore, malattie respiratorie croniche), insomma sarebbe difficile spiegare perché muoiono se non fosse una predisposizione genetica.
E ancora la presenza di questo aplotipo nei Neanderthal avrà avuto qualcosa a che fare con la loro suscettibilità a contrarre malattie virali o batteriche eventualmente più di quanto non sia successo all`Homo Sapiens? Non abbiamo una risposta nemmeno a questa domanda ma è un’altra ipotesi che apre prospettive di ricerca inimmaginabili fino a qualche mese fa.
Qual è l’identikit di questa variante delta? È davvero così pericolosa?
La delta è una variante che si diffonde molto più rapidamente di quelle già conosciute.
Dà una malattia grave? Non siamo sicuri. Alcune informazioni suggeriscono che la malattia colpisce i più giovani e che si tratti di una malattia delle alte vie respiratorie piuttosto che polmonari. Ma di ciò non siamo ancora sicuri al 100%. Però le prime evidenze che abbiamo suggeriscono ciò.
Mentre con le altre varianti poteva essere sufficiente una sola dose per una immunità duratura, almeno per un certo periodo di tempo. Poi si sarebbe dovuta fare certamente una seconda dose. La variante delta diventa sensibile al vaccino quando si fanno due dosi.
Quindi le domande che dobbiamo porci sono le seguenti:
– Dobbiamo avere paura se abbiamo completato il ciclo vaccinale? La risposta è no.
– Dobbiamo avere paura se non abbiamo completato il ciclo vaccinale? La risposta è no se stiamo attenti con le misure di protezione individuale, soprattutto in ambienti chiusi e anche all’esterno se ci ritroviamo vicini l’uno all’altro.
Dobbiamo avere paura se non siamo vaccinati e non rispettiamo le regole? La risposta è sì.
Professore, si sente parlare con relativa frequenza del test sierologico e, spesso e volentieri, ci si sente insicuri nel commentare i risultati dello stesso. Nello specifico accade che alcuni soggetti che hanno superato il Covid, abbiano una quota anticorpale dell’ordine di qualche decina e altri, invece, una cospicua quota, indipendentemente dal decorso severo o o meno della patologia. Questi risultati come vanno interpretati?
Si dovrebbero fare due dosi di vaccino eventualmente ritardando la seconda dose dopo 45 settimane, si è visto che si ottiene il massimo effetto del vaccino, aumenta sensibilmente il livello degli anticorpi. Anche la risposta delle cellule T è migliorata.
Comunque, rispondere alla sua domanda non è semplice.
Ci sono persone che per vari motivi non hanno buona risposta anticorpale, dipendente dall’età, dalle condizioni del loro sistema immunitario.
Bisogna poi anche vedere che tipo di vaccino è stato fatto.
AstraZeneca è meno efficace nel produrre anticorpi rispetto a quanto non lo sia di generare cellule T che sono capaci di uccidere il virus. Pfizer e Moderna, vaccini a mRna sono più efficaci nel produrre anticorpi.
Vale la stessa cosa per i guariti da Covid.
Ma diciamo che è quasi la stessa cosa.
La risposta anticorpale al vaccino sembra più importante di quanto non lo sia la malattia. Ciò varia da soggetto a soggetto. Ma non è nulla di certo.
Chi è guarito dal Covid quanto deve aspettare prima di fare il vaccino?
Bisogna aspettare almeno 6 mesi.
Ci sono soggetti che, pur essendo stati a stretto contatto con contagiati, non hanno contratto il Covid? Perché?
Ci sono persone che hanno una immunità naturale perché sono protetti. Tutto ciò perché nella loro vita hanno incontrato qualcosa di simile a questo virus ed hanno delle cellule memoria che si ricordano di aver visto qualcosa di simile. Quindi, non appena entrano in contatto con il virus, producono immediatamente anticorpi che li neutralizzano.
Ma ci può essere una predisposizione genetica ad essere protetti. Ci sono i geni ereditati da Neanderthal che esercitano anche una funzione di protezione.
Il vaccino può indurre reazioni allergiche oppure l’esordio di patologie autoimmuni?
Il vaccino può indurre in rarissimi casi reazioni allergiche, ma solo a componenti del vaccino. Ma ciò non deve scoraggiare le persone. Vaccinarsi è fondamentale. Solo chi è allergico a componenti del vaccino come il polietilenglicole non dovrebbe fare questo vaccino. Le persone allergiche devono fare presente al medico vaccinatore che provvederà a fare una terapia con il cortisone o altro farmaco prima di fare il vaccino. Ma, in generale, le allergie che non sono specifiche per componenti del vaccino, non rappresentano una controindicazione.
È importante vaccinare i bambini e gli adolescenti in questo particolare momento storico in cui la variante delta si fa minacciosa?
Gli adolescenti sì, anche se per il momento la priorità devono essere i soggetti a rischio di malattia grave, di ricovero in ospedale, di morte. Gli adolescenti, se si ammalano, sviluppano una malattia lieve.
Comunque, i giovani reagiscono al vaccino con una quantità di anticorpi maggiore rispetto alle persone più grandi. Adesso si stanno facendo degli studi per utilizzare il farmaco nei giovani in modo da aggiustare il dosaggio affinché non risulti troppo alto. I giovani hanno una risposta immune molto più vivace che dura più a lungo. In questi giorni è uscito uno studio che sottolinea il fatto che la risposta immunitaria nei giovani è molto più importante che negli adulti.
Dopo il vaccino per quanto tempo si rimane immuni al Covid?
Questa è una buona domanda a cui non c’è una risposta sicura.
Se uno ha avuto il Covid e poi viene vaccinato, potrebbe essere immune per sempre. Anche se non esiste certezza di ciò.
Dopo essere guarito dal Covid si può avere una reinfezione?
È possibile, ma è un evento molto raro.
Gli attuali vaccini sono efficaci contro la variante delta?
Sappiamo che Pfizer è efficace contro la variante delta se si fanno due dosi. AstraZeneca è efficace con due dosi, ma un po’ di meno.
Di più non sappiamo perché non abbiamo avuto la possibilità di testare per esempio Moderna rispetto a questi vaccini. L’ultimo lavoro suggerisce che Moderna avrebbe la capacità di proteggere contro la variante delta in modo importante, ma sono dati molto preliminari.
Quando ritorneremo ad una vita normale?
Il governo americano lo ha chiesto a 723 epidemiologi. La maggior parte di loro ha risposto: <<Dovremmo prestare attenzione ancora per molto tempo. Il virus continuerà a circolare anche se presto o tardi finirà per diventare uno dei tanti coronavirus come quelli del raffreddore.
E quando sarà? Qualcuno ha risposto tre anni, per altri ce ne vorranno 5>>.
Professore, la nostra interessantissima chiacchierata finisce qui.
Il direttore Giuseppe De Nicola, la redazione tutta di ScrepMagazine la ringraziano per la sua disponibilità, gentilezza, cortesia.
Grazie, ancora Professore.
Le auguro una buona estate!
Piera Messinese
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