L’augurio della pace nel mondo viene considerato come qualcosa di banale, di “stupido” da augurare, perché è qualcosa di impossibile da realizzare.
È davvero così?
La pace tra le nazioni è un ideale inutile?
Voglio far proprio come augurio per il 2020 appena iniziato quanto sostenuto da Kant nel saggio “Per la Pace Perpetua”.
Scritto nel 1795, si tratta di uno degli scritti più suggestivi del filosofo di Konigsberg.
Non siamo di fronte ad una banale utopia politica; si tratta di un’opera di filosofia del diritto, che pone in primo piano il problema concreto di come ottenere la pace tra gli Stati.
Il saggio assume la forma (inedita per l’epoca) di un trattato internazionale, composto da 6 articoli preliminari e da 3 articoli definitivi.
Vediamoli nel dettaglio
- Nessun trattato di pace può ritenersi tale, se è siglato colla tacita riserva i pretesti per una guerra futura.
- Nessuno Stato indipendente può essere acquistato da parte di un altro per successione ereditaria, per via di scambio, compera, o donazione.
- Gli eserciti permanenti devono, con il tempo, interamente scomparire.
- Non si devono contrarre debiti pubblici in vista di un’azione bellica da compiere all’estero.
- Nessuno Stato deve intromettersi con la forza nella costituzione e nel governo di un altro stato.
- Nessuno Stato in guerra con un altro deve permettere atti ostili che renderebbero impossibile la reciproca fiducia nella pace futura.
Gli articoli definitivi enunciano tre condizioni fondamentali:
- La costituzione di ogni Stato deve essere repubblicana.
- Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di liberi stati.
- Il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni di un’universale ospitalità.
Come ciascun può ben vedere dalla lettura degli articoli, il grande filosofo tedesco sembra profetizzare la nascita degli organismi internazionali del XX secolo, che ben conosciamo, quali l’ONU e, soprattutto, l’Unione Europea.
Kant non è un ingenuo utopista: egli instaura un parallelismo tra i rapporti che intercorrono tra gli Stati e i rapporti che intercorrono tra gli individui. Egli sostiene che, come nel passato, la natura ha indotto gli uomini a edificare la società civile per toglierli da una condizione di libertà illimitata e distruttiva, così in futuro, la natura li indurrà ad uscire dalla condizione di lotta e di barbarie che ha sempre caratterizzato i rapporti internazionali per dare origine ad un ordine giuridico mondiale fondato sulla collaborazione e sulla pace tra i popoli.
Il processo delineato da Kant non è, però, necessario: lo stato di pace non è un semplice stato di natura, ma è uno stato legale ed è affidato alla razionalità umana; per cui si configura come un compito da perseguire.
Penso che le esigenze di Kant siano anche le nostre.
La pace non un è un ideale, ma un compito da perseguire!
Compito che la nostra Costituzione ha fatto proprio!
Nell’articolo 11, i padri costituenti fanno proprio il pacifismo kantiano, individuando nel «ripudio della guerra» il mezzo della risoluzione delle controversie internazionali.
Dell’impostazione kantiana la nostra Costituzione accoglie anche il collegamento della questione della pace con quella dell’ospitalità per lo straniero.
Nell’articolo 10 si legge:
lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto all’asilo nel territorio della Repubblica.
Ritengo che l’idea kantiana di una federazione mondiale di popoli liberi, così come quella dell’ospitalità verso gli stranieri che chiedono asilo, sia davvero (come sostengono molti storici e politologi) l’unica vera alternativa all’uso della violenza nei rapporti internazionali.
Buon anno!
Sapere aude!
Splendida epitome ed attualissima, direi palpitante, pregiatissimo prof. Cheloni.
Philosophie des Rechts o Rechtsphilosophie, in senso stretto, è “filosofia del diritto”, scaturita dopo la crisi del diritto naturale; in senso ampio (legal philosophy o philosophy of law): diritto naturale, Rechtsphilosophie, jurisprudence, teoria generale ed, anche, sociologia del diritto.
Prima per jurisprudence ed Allgemeine (in virtù della linguistica) e, poi (per le altre materie) utilizzando oggetti e metodi di esse tutte, oggi, riunite nella interpretazione e nel ragionamento giuridico, le scuole analitiche italiana ed argentina, Dworkin, il neocostituzionalismo ed il postpositivismo dibattono sulla giustizia e sui rapporti tra morale e diritto.
Kantismo, idealismo, ermeneutica, postmodernismo…ciascuna filosofia generale tenta d’implementare il diritto.
Gustav Hugo, Hegel…ma Immanuel KANT, meglio d’altri, denota le origini del Rechtsphilosophie.
Farà tesoro dell’eredità kantiana il giurista Kelsen, che distingue fra mondo della natura o dell’essere (ted. Sein), e mondo della cultura o del dover essere (ted. Sollen). Come gli illuministi, Rawls, Habermas la ragione
dovrebbe essere legislatrice, con libera coesistenza delle volontà di tutti.
Così come proponeva il giusrazionalista volontarista Pufendorf, anticipando la distinzione del giuspositivismo fra diritto e morale.
L’obbligatorietà presupposta dal giuspositivismo tecnico (criticato dopo Auschwitz come ideologico) non sarà accettata da giuspositivisti come Ross ed il nostro Norberto Bobbio: giuspositivisti metodologici (interessati alla solo conoscenza, e non anche all’obbedienza del diritto positivo).
Accettando quest’ultimi il principio di Kant: l’obbligatorietà del diritto positivo non può dipendere dallo stesso diritto positivo, sia per ragioni logiche sia per quelle etiche.
Al giurista interessa che cosa sia di diritto (lat. quid juris?), cioè – secondo dottrina del diritto – i suoi compiti, che cosa prescrivono le leggi di un determinato paese. Al filosofo, invece, interessa che cosa sia il diritto (lat. quid jus?). Quest’ultimo si occuperà del diritto in quanto tale, del concetto o della definizione del diritto, non sono suo compito i singoli diritti positivi dei vari Paesi.
La filosofia del diritto non si occupa solo del concetto di diritto, bensì anche dell’idea del diritto, cioè della giustizia.
Perciò dev’essere pure la filosofia generale, e non la sola dottrina giuridica, ad indicare quale diritto possa considerarsi giusto, e dunque debba essere obbedito.
Nell’opera kantiana ” Per la pace perpetua ” si ha un modello dei diversi ruoli del giurista e del filosofo, paradigma ancora oggi per la teoria della giustizia internazionale e, quindi, per il perseguimento della Pace.
Michele DI GIUSEPPE