India, uno sguardo e qualche riflessione

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Da qualche giorno, la nostra attenzione, di solito rivolta alla situazione sanitaria italiana che sembra dare speranze per una futura soluzione, è attratta da uno Stato lontano ma che le TV e i giornali di tutto il mondo stanno portando alla nostra attenzione per una terribile recrudescenza della pandemia.

Il paese di cui parlo è l’India, stato del continente asiatico e la più popolosa democrazia del mondo. L’India ha quasi un miliardo e mezzo di abitanti e un notevole tasso di crescita della popolazione, si contano ogni giorno da tre a quattromila morti mentre si denuncia la mancanza di vaccini per una popolazione così numerosa.

I cimiteri non hanno più posto per accogliere i morti che vengono trasportati nei campi e lì bruciati davanti alla disperata impotenza dei parenti che, ho visto, li abbracciano senza mascherina prima dell’ultimo saluto; i medici non hanno tutte le necessarie protezioni e mancano ossigeno e medicine.

L’India ha una civiltà millenaria, il territorio vastissimo era anticamente abitato da popoli guidati da capi regionali locali; nel secolo VIII fu conquistato dai musulmani; nel secolo XVIII fu colonizzata dal Regno Unito e solo dopo la seconda guerra mondiale, nel 1947, ottenne l’indipendenza fortemente voluta da Gandhi che aveva sollecitato una resistenza non – violenta contro gli inglesi.

Già prima della Grande Guerra, in India c’erano stati movimenti indipendentisti sembrava però che tali istanze si fossero spente quando, durante il conflitto gli inglesi avevano pubblicamente apprezzato il comportamento leale degli indiani e in conseguenza di ciò avevano promesso un allentamento dei vincoli coloniali. Finita la guerra ciò non avvenne, anzi, una protesta locale fu repressa sanguinosamente.

In questo clima la maggioranza della popolazione induista iniziò a seguire la predicazione di Mohandas Karamchand Gandhi componente del Congresso nazionale indiano. Gandhi chiamato Mahatma (la grande anima) chiese agli indiani di non rispondere alla violenza degli inglesi con azioni violente ma con la resistenza passiva esercitata nel non obbedire a leggi ingiuste, non collaborare con i dominatori e boicottare i prodotti europei. Questo portò ad una difesa delle attività locali soprattutto agricoltura e artigianato.

Nel territorio indiano sono presenti molte religioni le due prevalenti sono l’induismo e l’islamismo. Con l’indipendenza, il territorio vastissimo fu diviso tra l’India in cui prevaleva l’induismo e il Pakistan a maggioranza islamica.

Iniziò allora una migrazione religiosa determinata dall’insofferenza e dall’odio religioso: oltre 7 milioni di musulmani lasciarono l’India per trasferirsi in Pakistan e circa 10 milioni di indù si trasferirono dal Pakistan in India.

L’esodo di queste persone avvenne in condizioni difficili, la fame, le epidemie, i massacri opera degli avversari politici e religiosi provocarono circa un milione di morti. Da un fanatico religioso fu ucciso nel 1948 anche Gandhi, i suoi successori cercarono di seguire la sua politica ma l’India non riuscì ad uscire da una condizione di difficoltà economiche e sociali, di guerre locali e di stratificazioni sociali.

Anche le relazioni politiche e religiose furono spesso funestate dalla violenza che colpì Indirā Gāndhi, primo ministro indiano, figlia di Nehrù, collaboratore e poi successore del Mahatma Gandhi, uccisa da guardie sikh (una delle tante religioni presenti nel paese). Lo stessa sorte toccò al figlio Rajiv Gandhi ucciso da un tamil (il tamil è un popolo della vasta area).

Nell’India prima dell’indipendenza, esistevano le caste che benché siano state abolite permangono nella società creando forti squilibri.

Il sistema delle caste è determinato dall’appartenenza religiosa e dal ruolo sociale, sono molto articolate e vedono in posizione preminente i “brahamani” (sacerdoti), nel punto più basso troviamo gli “intoccabili” che sono gli esclusi dalla società tradizionale ed oggi sono circa trecentomila.

Intoccabili sono coloro che svolgono i lavori più umili come la manipolazione dei cadaveri, la pulizia di fogne e latrine o pulizie in genere. Tali lavori sono considerati impuri dalla religione perciò questi poveri schiavi non devono essere toccati e non percepiscono salario ma un pezzo di pane e un pugno di grano, talvolta qualche moneta. Molti politici, anche Gandhi si sono battuti per la reale abolizione delle caste ma senza grandi successi, solo recentemente si è deciso di riservare agli intoccabili una percentuale di posti negli uffici pubblici.

Nonostante questi problemi, l’India è tra le maggiori economie del mondo che cresce del 7% all’anno e si stanno affermando velocemente settori altamente specializzati come quello informatico e quello tecnico.

Il gran numero di abitanti costituisce un bacino inesauribile di forza lavoro e di consumatori, nel 1991 l’economia ha avuto un balzo in avanti grazie all’abbattimento di barriere doganali e alla semplificazione di norme che regolano i commerci. Questo ha determinato un allungamento della vita, da 50 a 69 anni, una riduzione della mortalità infantile anche se muoiono ancora 34 bambini su mille.

Anche l’impegno nella cultura ha dato i suoi frutti, l’alfabetizzazione è passata dal 61% della popolazione al 76% degli uomini al 54% per le donne, anche i laureati sono circa 2,5 milioni di giovani.

I numeri, come spesso succede, non rivelano tutta la realtà, le differenze di genere nella società indiana e il permanere delle caste di cui dicevo prima fanno sì che i vantaggi vadano solo ad una piccola parte della popolazione, le statistiche dicono al 10%, mentre il resto della popolazione, per lo più dedito all’agricoltura, vive in condizioni di estrema povertà, anche perché, in un’economia di mercato, sono stati tolti tutti i sussidi statali a vantaggio dei più poveri.

Anche se il virus è democratico, colpisce tutti indiscriminatamente, credo che proprio tra le classi più povere, quelle che non possono comprare mascherine e disinfettanti, colpisca di più e pieghi con più facilità persone denutrite e impossibilitate a mantenere igiene e distanze tra le persone.

Il mondo ricco e altamente industrializzato si è mosso solo quando il dramma di questo popolo è stato sotto gli occhi di tutti. Indifferenza, difficoltà organizzative, forse, ma come può il mondo rimanere insensibile di fronte a tali tragedie? E’ possibile che sia la tv a rendere note tali tragedie e che i governi si muovano solo allora?

E’ terribile pensare che la loro e la nostra vita sia sotto scacco per colpa di un essere microscopico che ci dà continuamente la misura della nostra fragilità e della nostra miseria.

A volte mi chiedo che senso abbia andare sulla Luna, su Marte e in altri luoghi quando la Terra, l’unico luogo che abbiamo per poter vivere, viene continuamente ferita e offesa, dove la mancanza di beni essenziali come l’acqua, privazione che in India è drammatica, abbia provocato molti conflitti nel Novecento per il controllo di un fiume, per la costruzione di una diga e altro.

Mi torna in mente il mio caro disincantato filosofo che già molti secoli fa, ragionava sull’umana miseria, Michel de Montaigne nei Saggi:

<< La più calamitosa e fragile di tutte le creature è l’uomo, e al tempo stesso la più orgogliosa. Essa si sente e si vede qui, in mezzo allo sterco del mondo attaccata e inchiodata alla peggiore, alla più morta e putrida parte dell’universo, all’ultimo piano della casa e al più lontano dalla volta celeste, insieme agli animali della peggiore condizione e con l’immaginazione va ponendosi al di sopra del cerchio della luna e mettendosi il cielo sotto i piedi >>.

Molte sfide ci aspettano per costruire il futuro, potremo, anzi dovremo vincere tante battaglie e dipenderà da noi, da quanto vorremo che le cose cambino, da quanto vorremo un mondo più giusto e di uguali, da quanto riusciremo ad essere tenaci e capaci di fare.

Per riuscirci sarà necessario individuare, isolare e d emarginare quanti speculano sulle miserie altrui per un misero interesse personale.

Gabriella Colistra

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

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