“Il potere del cane” di Jane Campion, una parabola western psicologica

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Centrato su negazioni, analisi dell’inconscio represso, insani legami familiari, Il potere del cane (premiato a Venezia per la regia) della regista premio Oscar Jane Campion, è un amaro affresco sulla fine di un’era (il vecchio West e i suoi valori machisti) e sull’ambiguità dell’animo umano.

Phil Burbank (Benedict Cumberbatch) è un cowboy crudele, omofobo e misogino. L’uomo gestisce nel Montana  il ranch più grande di tutta la vallata assieme al fratello George ( Jesse Plemons), impacciato e di buon cuore. Quando George sposa Rose (Kirsten Dunst), una vedova del luogo, Phil intraprende contro la donna un’implacabile guerra privata. Nel mirino anche il sensibile e in apparenza fragile fratello di Rose, Peter (Kodi Smit-McPhee).

Già con Lezioni di piano, la Campion ci aveva inoltrati nel sentiero delle passioni umane e della loro affermazione. Se nel capolavoro con Holly Hunter a farla da padrone è la passione carnale dichiarata, qui la regista gioca sulla negazione e sul reprimere le parti più nascoste dell’animo.

I personaggi più importanti del film soffrono del ‘non esprimere’ e del dover tacere il loro vero Io.

Centrale la figura di Phil (un bravissimo Benedict Cumberbatch), maschera di rude cowboy dall’animo e indole intellettuale, che vive schiavo di un ideale che non c’è più. L’uomo si ostina a celare se stesso dietro un mantello di virilità distorta, costringendosi nell’assumere un atteggiamento di chiusura nei confronti del Nuovo.

Il suo odio eclatante mostra qualcosa di intimo e profondo, un privato che traspare soltanto tra le acque del fiume e fra i ricordi di un passato ormai lontano.

Phil desidera che il tempo lasci ogni cosa immutato, che tutto resti inerte nella sua quotidianità divisa con il fratello George e gli amici del branco. George vuole invece andare avanti, progredire socialmente, trovare qualcuno che colmi il vuoto di una solitudine divenuta insopportabile, placare la sua ansia di diventare grande.

Come finisce Il potere del cane? L'interpretazione del finale

Paralleli alla dimensione maschile dei fratelli Burbank ci sono Rose e Peter, con la loro realtà interiore fatta di insicurezze e fragilità, il loro ormai equilibrato rapporto a due, la loro intesa forte e ben salda. Il passaggio nella dimensione di Phil rappresenterà la perdita dell’equilibrio per Rose mentre per Peter sarà il momento della vera crescita e dell’acquisizione di una sorprendente sicurezza in se stesso e nelle sue capacità.

Nel percorso di formazione del ragazzo, Phil diviene mentore e carnefice, in un gioco di maschere e ambiguità che inquieta e che lascia molto di non detto e chiarito.

Senza anticipare troppo di una storia fatta di segreti e di inconfessati pensieri, possiamo comunque affermare che il finale del film apre a tante interpretazioni, svelando parte dei numerosi quesiti sollevati, ma lasciando al tempo stesso intatto il velo di mistero gettato sulla vicenda fin dall’inizio.

Certo, molto altro si sarebbe potuto rappresentare nel film da un romanzo grandioso come quello  del 1967 di Thomas Savage, ( dal titolo omonimo) ma non si può negare la potenza della pellicola nel lasciare nell’animo , dopo la visione, una sottile sensazione di disagio che turba e che ti accompagna anche dopo qualche giorno.

Ottimi gli interpreti con un Benedict Cumberbatch (La teoria del tutto) mai così bravo.

Lezioni di piano la musica espressione di pensiero

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

4 COMMENTS

  1. […] Il carismatico allevatore Phil Burbank incute paura e rispetto. Quando il fratello George porta la nuova moglie e il figlio di lei a vivere al ranch di famiglia, Phil li tormenta. Molto di lui in realtà si cela dietro una maschera. Il dramma quasi shakesperiano della Campion si fa forza di un cast convincente e di una storia ricca di riflessioni ( dal romanzo di T. Sauvage). Leone d’argento per la regia a Venezia. Il potere del cane  di Jane Campion, una parabola western psicologica […]

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