Il giovedì grasso mi riporta lontano nel tempo, all’età della spensieratezza.
Era un giorno speciale per la mia nonna paterna che abitava con me e la mia famiglia.
Mi sembra di vederla adesso: di primo mattino occupava già l’angolo cottura con grembiule e capelli legati, tutta affaccendata a sistemare la legna del camino e la “pignata” per cucinare i fagioli.
Il menù era fisso: riso ripieno di tutto e di più.
Ricordo ancora il trattamento speciale che mi veniva riservato dal momento che la pietanza destinata a me veniva preparata a parte perché non tolleravo alcuni ingredienti.
Era molto tenera con me.
Il secondo piatto era ricco: salsiccia e arrosto di maiale alla brace con contorno di rape e una spruzzatina di limone.
I nostri vestiti si impregnavano, inevitabilmente, di fumo e di quell’odore che si diffondeva nell’aria quando si buttavano le scorze di mandarini, i “marzuali”, nella brace viva.
Certe volte mi assale la nostalgia di queste fragranze che hanno contribuito a rendere più bella la mia infanzia.
Per me e la mia famiglia il giovedì grasso era un momento importante in cui ci si preparava al grande digiuno quaresimale.
Si attendeva il mercoledì delle ceneri per partecipare alla celebrazione religiosa, anche perchè lo si viveva come un momento spirituale che ci portava a riflettere sulla fragilità della natura umana, sulla necessità di mortificare la carne per avere cura dello spirito.
Oggi a casa mia, come un tempo, si cucina riso ripieno, nel rispetto delle antiche usanze, ma è una pietanza che non ha lo stesso sapore di quella che preparava mia nonna.
Però manca quel tocco magico che il tempo ha portato via con sé per sempre.
Sono molto legata alle tradizioni che hanno fatto sempre da sottofondo alla mia vita. Le considero un grande tesoro, un patrimonio da conservare gelosamente perché ci ricordano quel senso di appartenenza e identitá da cui non possiamo mai prendere le distanze se vogliamo comprendere meglio il nostro posto nel mondo.
Piera Messinese
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