Che cos’è il MES?

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La paura del nome non fa che incrementare la paura della cosa stessa”…

Hermione, in Harry Potter II

Il 30 novembre 2020 sono state approvate dall’ Eurogruppo le riforme sul funzionamento del MES, ossia le condizioni di attivazione del fondo salva-stati originario per finanziare i Paesi sull’orlo della bancarotta.

… appunto cos’è esattamente il MES?

Il Meccanismo Europeo di Stabilità nasce nel 2012 con l’obiettivo di dare sostegno ai Paesi membri dell’Ue in caso di profonde crisi e di probabile default, emettendo prestiti sulla base di condizioni piuttosto rigide.

Volto a mantenere la stabilità finanziaria dell’Eurozona, esso è regolato dalla legislazione internazionale e, come organizzazione, ha una propria sede a Lussemburgo.

Il MES è gestito da un Consiglio dei Governatori, costituito a sua volta dai ministri delle finanze dell’Eurozona; da un Consiglio di Amministrazione; da un Direttore Generale, nella persona di Klaus Regling; dal commissario europeo  UE degli Affari economico-monetari, ossia Ursula Von der Leyen; dal Presidente della BCE (Banca commerciale europea) attualmente Christine Lagarde; e a volte dal FMI (Fondo monetario internazionale).

La cattiva fama del Mes è legata alla crisi della Grecia quando furono imposte condizioni draconiane al governo ellenico in cambio del salvataggio finanziario: condizionalità negoziate dalla cosiddetta Troika – formata, come detto sopra, dalla Bce, dalla Commissione Ue e dal Fondo monetario internazionale – e caratterizzate da misure impopolari con forti tagli della spesa pubblica. 

I criteri di azione sono definiti dall’ art. 3 del suo trattato istitutivo.

L’organizzazione raccoglie fondi destinati a sostenere gli Stati che in un determinato momento possono trovarsi in grande difficoltà.

Il Fondo è finanziato dai singoli Stati aderenti in base ad una ripartizione percentuale e attualmente dispone di 80 miliardi di euro versati.

La Germania, contribuisce per il 27,1%, con un capitale versato di 27 miliardi di euro, seguita dalla Francia con il 20,3% ed un capitale di 20 mld, e dall’ Italia con il 17,9% e un capitale versato di 14,3 miliardi di euro.

L’ammontare massimo autorizzato è di 700 miliardi di euro: i restanti 620 miliardi possono essere raccolti sui mercati finanziari attraverso l’emissione di obbligazioni proprie (cd bond).

L’azione del Fondo salva-stati si suddivide in tre fasi distinte:

  1. Lo Stato membro in difficoltà avanza una richiesta di assistenza al Presidente del Consiglio dei governatori del MES.
  2. L’organizzazione chiede alla Commissione UE di valutare e definire lo stato di salute e il fabbisogno finanziario del Paese richiedente. Insieme alla BCE, l’esecutivo europeo analizza se la crisi dello Stato in difficoltà può influenzare l’Eurozona.
  3. Nell’arco di 7 giorni il Consiglio del MES decide di agire per aiutare lo Stato membro.

Ma i prestiti del MES non sono concessi senza condizione. Il paese richiedente deve sottoscrivere innanzitutto una lettera di intenti o protocollo di intesa, che viene negoziato dal Paese interessato e dalla Commissione Europea a nome del Mes.

Generalmente sono richieste riforme specifiche volte ad eliminare o mitigare la crisi del Paese richiedente. Tali interventi consistono generalmente in:

  • Riforme fiscali, con tagli alla spesa pubblica per ridurre i costi della pubblica amministrazione e migliorarne l’efficienza. Nel contempo aumentare le entrate attraverso privatizzazioni o consolidamenti fiscali.
  • Riforme strutturali, attraverso misure volte alla crescita economica, dell’occupazione, e della competitività.
  • Riforme finanziarie, ossia misure necessarie a rafforzare e se necessario a ricapitalizzare le banche.

Ma cosa prevede, di preciso, la riforma del MES di cui si parla in questi giorni? Innanzitutto, bisogna precisare il provvedimento non ha nulla a che vedere con il cosiddetto “Mes sanitario”, varato la scorsa primavera come misura anti-pandemia e che potrebbe garantire alla sanità italiana prestiti per circa 36 miliardi di euro a condizioni agevolate.

La riforma del MES riguarda altri due aspetti: il “backstop” bancario e nuove condizioni per accedere ai prestiti del Fondo.

Si tratta sostanzialmente di un allargamento delle competenze, “una pietra miliare per rendere la nostra unione monetaria più forte”, l’ha definita lo stesso direttore del fondo Klaus Regling.

Con la modifica del trattato, i soldi del Mes potranno finanziare non solo direttamente gli Stati, ma anche il Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund – SRF), una sorta di rete di protezione per le banche a rischio.

Si tratta del common backstop, che interviene solo nel caso in cui l’SRF abbia scarsa liquidità ed è a considerata dai ministri delle Finanze una novità fondamentale, perché rende più sicuro il sistema creditizio dei paesi aderenti all’euro. 

Se i membri dell’Eurogruppo considerano il backstop un passo importante in vista di un’unione bancaria, i critici della riforma invece sostengono che il fondo “salva-Stati” si sia così trasformato in un “salva-banche”.

Per ottenere i prestiti sarà possibile usufruire di linee di credito precauzionali, senza concordare misure economiche con il fondo.

Ma solo i Paesi membri che soddisfano alcuni requisiti possono accedere a tali linee di credito.

I Paesi che rispettano il famoso Patto di stabilità, ossia i parametri definiti dal trattato di Maastricht: rapporto deficit/Pil inferiore al 3%, rapporto debito/Pil al 60% o in riduzione di 1/20 annuo all’anno della parte superiore al 60%, assenza di vulnerabilità e squilibri nel settore finanziario.

L’Italia, così come altri nove Paesi, non rientra in questi parametri e potrebbe ricevere i prestiti soltanto sottoscrivendo un memorandum d’intesa, cioè un accordo soggetto a riforme per uscire dalla situazione di crisi economica.

Il problema più controverso del MES è quello dell’eventuale ristrutturazione del debito pubblico del Paese che chiede aiuto. L’articolo 12 del Trattato infatti stabilisce che può essere presa una “forma adeguata e proporzionata di partecipazione del settore privato”.

Ma che cosa comporta la ristrutturazione del debito pubblico?

Il debito pubblico verrebbe ridotto ma a scapito del valore dei titoli di Stato, che per una loro parte non sarebbero più rimborsabili. Si tratterrebbe di una svalutazione del valore di questi titoli. Questo comporta una serie di problemi, primo fra tutto l’aumento dei tassi d’interesse sui Titoli di Stato perché così chi li compra si tutela rispetto alla possibile perdita di valore. E quindi quello che il Paese in difficoltà guadagna tagliando il debito lo perde in maggiori interessi.

In conclusione la riforma del MES sembra comunque abbracciare con entusiasmo le richieste del populismo: diritto di parola degli Stati membri sulle condizionalità e l’erogazione dei fondi; protezione dello stato in difficoltà contro azioni speculative; protezione dei piccoli risparmiatori; obbligo di piena responsabilità delle banche in caso di politiche rischiose.

Eppure, l’ombra del MES continua a spaventare.

“Si tratta di un timore effettivamente legato al Meccanismo di Stabilità in sé, oppure al fatto che, se approvata, la riforma renderebbe vuoto uno strumento di propaganda fino ad ora agitato da molte frange nel Parlamento?” afferma Giacomo Quaia del Sole 24 ore.

Ma perché il MES fa tanta paura?

“La paura del nome non fa che incrementare la paura della cosa stessa”, recitava il personaggio di Hermione, in riferimento al temibile Voldemort della saga di Harry Potter. 

E, forse, come concetto, è effettivamente vero:

il solo pronunciare il nome di qualcosa che spaventa la rende in un certo senso più reale, oltre a farla percepire più imminente”…

“Occhi” di Maria Orlando

 

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