Auguste Renoir (parte quindicesima)

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Auguste Renoir (parte quattordicesima)

AUGUSTE RENOIR (parte quindicesima)
“Colazione in riva al fiume”
Olio su tela 54 x 65 cm,
Art Institute, Chicago.

“Colazione in riva al fiume” risale al 1875.

Il dipinto si può considerare come una versione anticipata de “La colazione dei canottieri”, che vi descrivero’ nell’ultima parte.

“COLAZIONE IN RIVA AL FIUME”

L’opera è ambientata nella veranda aperta di un locale sulla riva della Senna.

Renoir dipinge tre persone, una donna e due uomini.

Seduti sotto un pergolato pranzano conversando amichevolmente.

Le due figure maschili sono vestite sportivamente e si stanno probabilmente riposando dopo una faticosa gara di canoa.

L’uomo sulla destra è intento a fumare un sigaro ed ha un’aria stranamente pensosa, quasi indifferente.

Sulla sinistra, il personaggio che guarda attentamente la donna è De Lauradour, grande amico di Renoir.

La donna al tavolo con loro è avvolta in un lungo abito blu, colore preferito e abituale nelle modelle di Renoir, ed ha un atteggiamento composto ed educato.

Essendo raffigurata di spalle, non è chiaro se il suo sguardo sia rivolto verso l’ambiente dinanzi a lei oppure se stia conversando con Lauradour.

Sullo sfondo si intravedono piccole imbarcazioni in movimento.

Visto gli indumenti dei personaggi, probabilmente è una giornata primaverile soleggiata.

Attraverso i fori del pergolato la luce filtra tra le foglie sulla terrazza del ristorante e si diffonde nell’ambiente.

Qui la luce si staglia sugli abiti, la tovaglia e i volti, trasmettendo tutta l’atmosfera e la piacevolezza di una calda e rigogliosa giornata.

L’ arcata, al centro del dipinto, offre a noi spettatori un confronto tra due situazioni luministiche opposte: quella interna con una luce dolce e densa di colore e quella esterna, chiarissima e quasi accecante.

CONCLUDENDO:

Sulla tavola è raffigurata una “natura morta”.

Nella bottiglia di vino e nei bicchieri, Renoir, con sapienti pennellate bianche, conferisce ai vetri una brillante cristallinità.

Bruno Vergani

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