“Amara terra mia, amara e bella”

184602

L’essilio, che m’è dato, onor mi tegno
Dante

Era il 1842 quando al pittore di Livorno, Enrico Pollastrini, alcuni illustri concittadini commissionarono un dipinto dedicato a un fatto accaduto realmente nel 1555.

I fatti risalgono all’esodo dei senesi dopo la presa della città, da parte dell’Imperatore Carlo V° d’Asburgo.

Il dipinto che fu finito dopo 14 anni, passa attraverso diversi momenti della sua realizzazione, disegni, bozzetti, fino a giungere nel 1856 al grande dipinto Gli esuli di Siena, andato purtroppo poi distrutto nel 1944.

Nonostante il dipinto sia della metà dell’Ottocento, si accosta a quelli classici del Cinquecento.

L’opera mostra sullo sfondo una città turrita, le torri sono più che visibili sullo sfondo, cioè Siena.

Alcune persone, in procinto di lasciare quei luoghi natii per sfuggire alla tirannia, sono col capo basso o hanno i volti seminascosti. Nel quadro sono rappresentati anche dei bambini.

Ma riflettendo, non dobbiamo dimenticare che noi italiani siamo sempre stati degli esuli, siamo andati via dai nostri luoghi di nascita per diversi motivi.

Molti di noi hanno dei parenti ad esempio in America, proprio per questo motivo.

Andati via dalle regioni di nascita per trovare fortuna altrove.

Anche il mio bisnonno, il papà della mia nonna paterna, andò in America agli inizi del Novecento con i figli maschi, lasciando le figlie femmine con la mamma.

E di questo fenomeno dell’esilio dalla terra natìa, parla la canzone di Domenico Modugno: “Amara terra mia”, che fu un grande successo della metà degli anni ’70.

Si lascia la propria terra, spesso la famiglia, con l’entusiasmo di trovare una “terra promessa”, ma dopo i primi periodi si sente che così non è. E anche ciò che di negativo ha la propria terra ci manca, mancano le sue “spine” e le sue” rose”.

Amara terra mia è una canzone che parla di gente che va in “esilio”, in cerca di lavoro lontana dalla propria terra.

Erano quegli gli anni in cui il fenomeno coinvolgeva l’Italia in senso contrario a quanto osserviamo ora.

Il brano canta del dolore di abbandonare la propria terra, della struggente consapevolezza che lasciare il proprio paese, è come abbandonare un amore.

Forse non è tra i brani più noti di Modugno, ma a mio avviso è uno dei più belli in assoluto.
Perché parla di distacco, di lontananza, racconta la sofferenza di chi è stato costretto ad andare via e celebra la voglia di tornare.

È un sentimento molto simile all’amore, quando si verifica un distacco dalla propria amata.

… addio addio amore, io vado via, amara terra mia, amara e bella…

Sembra quasi che si possa scorgere una perfetta fusione tra l’amore verso una persona e verso le proprie radici.
La terra diviene così quella “metà” da cui non ci si riesce a separare e che fa di un essere umano un’entità completa.

Il brano è una rielaborazione della canzone abruzzese nata nei primi anni del 1900 come canto di lavoro delle raccoglitrici di olive della zona della Maiella.

Il brano è conosciuto come “Addije, addije amore”.

La canzone Amara, terra mia è stata la sigla finale dello sceneggiato Rai Nessuno deve sapere nel 1972. Ed io ricordo questo sceneggiato in modo confuso, ero una bimba di 9 anni all’epoca, ma conservo in mente la sigla.

Ho avuto modo di rivedere lo sceneggiato su YouTube ed é stato emozionante. Fu il primo sceneggiato televisivo a parlare di ndrangheta. Nessuno deve sapere fu girato nella provincia di Crotone, tra Isola Capo Rizzuto, Le Castella, Santa Severina e Scandale sul tema della ndrangheta, il suo controllo sulle opere pubbliche e l’inesorabile catena di assassinii e ritorsioni ad esso legate. Protagonista un ingegnere milanese.

E di esilio ha tanto scritto Pablo Neruda.

L’esilio

L’esilio è rotondo:
un cerchio, un anello:
i tuoi piedi lo girano, attraversi la terra,
non è la tua terra,
ti sveglia la luce, e non è la tua luce,
la notte giunge: mancano le tue stelle,
trovi fratelli: ma non è il tuo sangue.

Sei come un fantasma che si vergogna
di non amare di più quelli che t’amano tanto,
e ancora è così strano che ti manchino
le spine ostili della tua patria,
il roco abbandono del tuo popolo,
le amare cose che ti attendono
e che ti latreranno dalla porta.

Angela Amendola 

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

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