“A tu per tu con…” Marilena Abbatepaolo

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Marilena Abbatepaolo

ovvero

La sordità ai tempi del Coronavirus

Ho raggiunto via messenger Marilena Abbatepaolo, poeta e dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo “La Giustiniana” di Roma, dove attualmente vive, per chiederle, senza troppi giri di parole, del disagio vissuto dai sordi in questo periodo di emergenza COVID-19.

Prima di Roma aveva prestato servizio presso il Liceo “Simone-Morea” di Conversano (BA) e aveva ricoperto ruoli politici nel Comune di Polignano a Mare, come Assessore alla Cultura, Consigliere Comunale e Presidente della Commissione Cultura.

Ho conosciuto Marilena nel settembre del 2018 quando in veste di Presidente della Commissione Cultura del Comune di Polignano a Mare partecipò alla presentazione del mio libro “Inchiostro d’anima”.

Nacque un’amicizia che nel corso di questi due anni trascorsi sì è sempre più consolidata.

Ed ora eccola in questa breve intervista ma emblematica e significativa raccontare l’incubo di un sordo nell’incubo del coronavirus.

Abbatepaolo: Sono diventata sorda a sedici anni, all’incirca.

Ho sempre cercato di rimuovere i ricordi di quell’anno.

Li ho respinti in fondo ma da qualche parte dentro di me le ferite sono rimaste.

Mio padre mi dice sempre che se un problema non lo affronti è come un pallone che lanci solo più in là, poi te lo ritrovi tra i piedi.

Così è stato nella mia vita.

Con il tempo ho imparato a guardare la mia sordità diritta negli occhi e piano piano ho imparato a volerle bene.

Fiore: Perché?

Abbatepaolo: Perché la mia sordità mi ha insegnato a sentire.

Proprio così!

Quando sentivo ero sorda; ora che sono sorda, sento.

Per esempio, la musica degli alberi, la vibrazione infinita della luce: ogni cosa suona attorno a me ed io la sento.

Fiore: E hai scoperto che esiste un modo di sentire suoni…

Abbatepaolo:che mai avrei potuto con le mie orecchie.

Anche oggi, in questo tempo fermo e immobile, guardo fuori dalla mia finestra, vedo le foglie degli alberi e ascolto il loro suono.

Stanno suonando. Sono in pace.

E allora mi dico che, nonostante tutto, nonostante il dolore, noi ce la faremo.

E’ qualcosa che sento dentro. Profondamente.

Te lo scrivo, perché è la prima cosa che voglio dire e affermare in queste poche battute.

La prima, importante.

Non mi piacciono le lamentele. Mi piace rimboccarmi le maniche e crederci.

Fiore: una forza incredibile la tua…

Abbatepaolo: Non pensare sia facile.

I momenti di scoramento vengono, eccome!

L’altro giorno sono stata al supermercato. E’ stato un inferno. Mi sono sentita così impotente. Mascherine che parlavano. Con chi? Non lo so.

Io leggo le bocche e, capite bene, con le mascherine non posso più farlo.

La cassiera si ostinava a dirmi della raccolta dei punti in scadenza (mi pare di avere intuito questo), delle pentole, non so che altro.

Io l’ho guardata. Giuro che mi sono innervosita. Ho tirato fuori dalla borsa un foglietto su cui avevo scritto a penna: SONO SORDA. SE VUOI PARLARMI, SCRIVI QUI.

Fiore: E lei?

Abbatepaolo: Lei mi ha fissata. Ho sentito la sua fragilità; in fondo, lei lì, alla cassa, è in prima linea a rischiare.

L’ho sentita dentro quella sua fragilità, identica alla mia.

Non ha detto altro.

Io ho continuato a voce: “Voglio solo pagare e andare a casa”.

Sono tornata dopo tre ore dal supermercato. Una tortura infinita!

Cercavo di non incrociare sguardi per evitare le parole che non avrei potuto leggere e ho sperato di non incontrare polizia perché sarebbe stato l’ennesimo equivoco.

Fiore: E giunta a casa?

Abbatepaolo: Tornata a casa, ho pensato al pallone di cui sempre mi parlava papà. Eccolo, dopo tanti anni, sotto i miei piedi.

Ma poi mi sono ricordata di Kafka. ‘Di giorno non si vedono le stelle’.

Ma ci sono! Questo lo aggiungo io. Ci sono.

E allora bisogna rimboccarsi le maniche.

Sai cosa servirebbe?

Fiore: Immagino ma dillo tu…

Abbatepaolo: Servirebbero tante mascherine trasparenti.

Per carità, a norma, ma trasparenti, in modo da poter leggere le labbra e, perché no, magari farebbero bene a tutti noi, sordi o udenti, perché ci permetterebbero di vedere il sorriso.

Ci permetterebbero di conservare quell’umanità che stiamo rischiando di perdere. Non so se è un sogno il mio.

So però che non telefonavo alle persone che amo da una ventina di anni.

L’altro giorno l’ho fatto.

In questo tempo fermo e sospeso, dove la parola COVID-19 si aggira come un fantasma che ti sembra stare ovunque e in chiunque, pronto a sorprenderti, ecco, io ho ricevuto un dono.

Una applicazione che mi ha permesso di telefonare.

E’ stato come tornare bambina, quando con mia sorella avevamo un telefono giallo di plastica e passavamo le ore a fare telefonate.

Ho provato la stessa identica e genuina gioia.

Fiore: E non è stato un sogno!

Abbatepaolo: Assolutamente no, questo non è stato un sogno.

E chissà anche le mascherine trasparenti potranno non esserlo.

Magari, questo virus riuscirà a renderci tutti più uguali, più vicini, più umani.

Magari finalmente riusciremo a riconoscerci, a sentire, a sentirci.

Sì, sentire davvero quello che siamo, la nota che suoniamo, e quanto è meravigliosa questa Terra che ci ospita e ci accoglie.

Che, come una madre, ci nutre.

Fiore: Scusami, ma qualcuno si è posto il problema dei sordi a scuola?

Abbatepaolo: Attendo risposte… per ora posso solo dirti che Ashley Lawrence, studentessa del Kentucky, Stati Uniti, sta cucendo insieme a sua madre delle mascherine con una parte trasparente per lasciar vedere la bocca.

L’obiettivo è aiutare la comunità dei sordi e degli ipoudenti.

Speriamo arrivino anche in Italia.

 

Nel frattempo pochi giorni fa, esattamente il 28 marzo, da un istituto per sordi di Messina è partita la richiesta, ora all’esame del Ministero dello Sviluppo Economico, di produrre dispositivi di protezione specifici per chi ha bisogno di leggere il movimento delle labbra.

Una settimana prima, il 20 marzo, Carla Ciotti, Presidente dell’Associazione Il Quadrifoglio di Ravenna, ha emesso un comunicato in cui ha puntualizzato i problemi di comunicazione che i sordi stanno vivendo in questo momento di emergenza.

Speriamo che quanto prima possa essere risolto anche questo handicap, soprattutto se saremo tutti costretti a girare in mascherine all’indomani della ripresa.

… a cura di Vincenzo Fiore

 

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Vincenzo Fiore
Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

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