Intervista a Nicodemo Gentile

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In quarantena i femminicidi e i casi di violenza non si sono interrotti anzi in molti casi il fenomeno è continuato indisturbato a causa della forzata coabitazione con i propri carnefici.

Se ne parla ogni giorno e i casi per fortuna vengono denunciati sempre di più.  Sono decine i casi di cronaca nera che in questi anni hanno fatto conoscere il fenomeno del femminicidio e della violenza psicologica, innescando a volte grandi polemiche nei salotti televisivi e sui giornali.

Chi si è occupato di molti di questi casi con grande impegno, è l’avvocato Nicodemo Gentile, che ha presenziato ai più importanti processi di rilevanza nazionale e internazionale, tra i quali i processi per gli omicidi di Meredith Kercher, di Melania Rea ed il delitto della contessa dell’Olgiata.

In qualità di difensore di parte civile ha invece celebrato i processi per gli omicidi di Sarah Scazzi, dei due fidanzati di Pordenone Trifone e Teresa, di Roberta Ragusa, di Guerrina Piscaglia e altri.

È conteso come ospite dai maggiori programmi televisivi che si occupano di crimini e cronaca nera come “Quarto Grado” e “Chi l’ha visto“.

Accanto al suo lavoro nelle aule dei tribunali, l’avvocato Gentile porta avanti da anni una campagna per sensibilizzare i più giovani e condividere le sue esperienze, confrontarsi con i giovani delle scuole e con tutte quelli che affollano i suoi seminari, le sue conferenze e le presentazione dei suoi libri.

Il suo ultimo libro, pubblicato pochi mesi fa, si intitola «Il Padrone, storia di una manipolazione, storia di una tragedia» e racconta una vicenda che ha sconvolto tutti, il caso di Sara Di Pietrantonio uccisa e data alle fiamme dall’ex fidanzato Vincenzo Paduano, la notte del 29 maggio 2016 nel quartiere romano della Magliana.

Nicodemo Gentile è iscritto all’Albo degli Avvocati dell’Ordine di Perugia, è penalista ed esperto in Diritto dell’Immigrazione.

È nato a Cirò in provincia di Crotone. Ama definirsi un avvocato di strada, perché la sua carriera professionale è iniziata assistendo le persone delle comunità straniere che vivono a Perugia, città dove Gentile vive.

Qualche mese fa per lui è arrivato un nuovo prestigioso incarico, quello di Presidente dell’Associazione Penelope Italia, Associazione nata dalla volontà di famiglie che hanno sperimentato il dolore di avere un congiunto sparito nel nulla.

Nicodemo Gentile oltre avvocato è anche un bravissimo scrittore.

I suoi tre libri, che ho letto anche io, sono scritti in un modo molto coinvolgente, le vicende umane e processuali vengono narrate e accompagnate da riflessioni dell’autore.

Nel libro “Nella terra del niente – Storie di scomparse, storie di famiglie“, troviamo molte storie e tra queste quella di Roberta Ragusa, la bellissima mamma dagli occhi blu, c’è la storia di Guerrina Piscaglia innamorata e uccisa da padre Graziano, c’è la storia della professoressa Irene Critinzio. E poi ci sono storie meno note di scomparsi, persone che non sono state più ritrovate né da vive né da morte, come la signora delle marmellate, storia che mi ha tanto commossa.

Lo scrittore penalista dona voce a tutto questo. E ci riesce benissimo. Nelle ultime settimane anche lui ha fatto dirette fb con ospiti per continuare a tenere vivo l’interesse per alcuni casi ancora insoluti come quello di Emanuela Orlandi o di Maria Chindamo.

Riesco a raggiungerlo per un’intervista solo telefonicamente, visto il periodo poco facile agli incontri e spostamenti. Sono tante le domande che vorrei fargli sui casi da lui seguiti ma sono certa che ad alcune, per il segreto istruttorio, non potrà rispondere.

Grazie Avvocato per avere accettato nonostante i suoi impegni.

Dopo tanti eventi tragici e preceduti da numerose segnalazioni da parte delle vittime rimaste inascoltate, si continua a non vigilare adeguatamente nei casi di stalking.

Le è mai capitato nella valutazione legale di un evento tragico, analizzando la psicologia della vittima, di rivalutare la reattività dell’omicida giustificabile, nonostante la provocatorietà della vittima pur condannando l’evento?

Un atto di violenza non è mai giustificabile, né attenuabile. Nell’ultimo anno sui giornali abbiamo letto di sentenze per episodi di femminicidio nelle quali si è tirata in ballo una presunta reazione emotiva e la relativa intensità, ai fini di un’attenuazione della pena. Si è fatto riferimento ad una “tempesta emotiva”, ad un sentimento “molto intenso, non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile”. In realtà, nessuna reazione emotiva, nessun sentimento, pur intenso, può giustificare o attenuare la gravità di una violenza fisica o psicologica, men che meno di un femminicidio.

La lentezza della giustizia fa sí che da un pugno preso il convenuto o la parte offesa, se certo, riceva un buffetto, qual è la formula secondo Lei per velocizzare la giustizia?

Ricordo che avevo ancora tutti i capelli quando si denunciava da più parti l’intollerabile lentezza della nostra Giustizia. Per portare i tempi dei processi a una “durata ragionevole”occorre un investimento significativo, che il governo dovrebbe impegnarsi a fare, in personale e in strutture. Ma occorrono soprattutto riforme che consentano di velocizzare le procedure, per cui misure serie e opportunamente studiate per ridurre la burocrazia e i passaggi, e per definire tempi certi e responsabilità nelle diverse fasi processuali.

L’avvocato si sa è un professionista che, benché a volte conscio della colpevolezza, difende il cliente per limitare gli eccessi della Legge. A Lei è capitato che per motivi di coscienza ha rifiutato qualche incarico?

La rinuncia al mandato è un diritto dell’avvocato, ma è anche vero che esiste un altro sacrosanto diritto, in cui io credo fervidamente, che è quello della difesa.

No, non ho mai rifiutato per motivi di coscienza, perché è con coscienza e dignità che ho sempre impostato ogni mia difesa, anche la più difficile dal punto di vista morale e umano.

Tra tutti i casi da Lei trattati, qual è quello che l’ha coinvolto di più?

Ce ne sono tanti: l’avvocato, come un inviato di guerra, si trova spesso sul fronte del processo a misurarsi con storie di vita, di amore, di morte, e tante di esse lasciano il segno, un marchio a fuoco capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano, chi per un verso e chi per un altro. Non riesco a dirle che una storia mi ha coinvolto più di un’altra, mi sembrerebbe di fare un torto a una vittima, a una famiglia superstite, e anche a me stesso. Posso invece dirle che ogni storia mi ha coinvolto in maniera diversa, toccando corde e intensità diverse.

Melania, Sara, Meredith, Roberta, Guerrina, Maria, Annamaria, Sara Dipietrantonio, e molte altre, c’è un tratto che accomuna tutte queste vittime? Lo stesso si può dire dei loro carnefici?

L’unico tratto che accomuna queste vittime è il fatto di essere tutte donne morte in circostanze violenze. Ma le cause e le motivazioni che ci sono dietro alle loro morti sono molteplici. Così come diverso, per ciascuna storia, è il ruolo dei carnefici.

Ha avuto momenti di sconforto nelle ricerche delle persone in un primo tempo scomparse?

Spesso ci si sente impotenti e tante volte –di fatto –lo si è. Ma non ho mai ceduto allo sconforto, non fa parte della mia storia né personale, né professionale.

Nel libro Laggiù tra il ferro, i detenuti, come Salvatore Parolisi, Manuel Winston Reyes, Angela Biurikova, Carmelo Musumeci, descrivono non solo la storia giudiziaria ma la vita come la vivono ora, chi tra questi le ispira “compassione”?

Nei secoli, la parola compassione ha preso forma sul concetto di pietà: una pietà che è quasi disprezzo, un sentimento di pena che va dall’alto in basso. Se la intendeva in questo senso, le rispondo fermamente che non l’ho mai provata, per nessuno di loro. Ma se allude al significato originale della parola – che deriva dal latino cum patior = soffro con – ossia alla compassione quale partecipazione alla sofferenza dell’altro, allora posso risponderle che ciascuno di loro, in diverse circostanze, mi ha ispirato compassione.

Nel suo libro “Nella terra del niente”, le persone scomparse sono di ogni ceto sociale, dal Nord al Sud, lavoratori e disoccupati, mamme e single. Sparire senza lasciare traccia è una tragedia” bianca”, perché lascia i parenti a volte per anni, sospesi, senza un corpo da piangere . Di quelle descritte nel libro alcune non sono scomparse delle quali si è sentito molto in TV. Una scomparsa fra tutte è quella della signora delle marmellate. Si hanno novità sulla scomparsa della signora della marmellata?

Sono ormai trascorsi quattro anni e purtroppo nessuna novità.

Nelle indagini sulla morte della Miss Campania, Annamaria Sorrentino c’è una domanda che vorrei porle. Secondo lei perché nessuno dei presenti si è intromesso nell’alterco tra Annamaria e il marito?

In realtà non sarebbe proprio così, ma si tratta di un caso coperto ancora dal segreto d’indagine, pertanto attendiamo gli eventi.

Nei secoli passati la privacy non esisteva, le condanne si è seguivano in piazza pubblicamente e le persone avevano cognizione dell’identità dei delinquenti. Non sarebbe giusto, secondo Lei, che la persona comune abbia il diritto di conoscere chi gli sta accanto, chi viaggia in treno, con chi gioca il proprio figlio, rendendo pubblica l’identità dei malfattori?

Non ne vedo l’utilità e non credo che questo risolverebbe il problema in termini di sicurezza sociale. Alcuni stati come l’Inghilterra hanno reso pubblico l’elenco dei pedofili in modo tale che la persona comune possa sapere. In Italia no. Perché?

L’identità delle persone accusate di pedofilia può non essere resa nota per una serie di ragioni. Anzitutto, a tutela di inchieste che a volte non sono chiuse e che potrebbero coinvolgere altri soggetti. In secondo luogo, a tutela dei familiari (coniugi, genitori, fratelli, figli) delle persone coinvolte, i quali, dalla divulgazione del nome del parente pedofilo, potrebbero subire conseguenze negative nella loro vita sociale. Da politici, da cittadini e da padri di famiglia dobbiamo sicuramente tenere alta la guardia contro chi abusa, direttamente o indirettamente, dei nostri figli; tutti, ciascuno di noi per nostra competenza. Questa è la migliore tutela. Sapere nome e cognome forse non è così necessario.

Concludo con una domanda: sapremo mai dov’è Maria Chindamo?

Posso solo sperare di sì.

Con l’augurio che presto molte vittime abbiano giustizia la saluto, la ringrazio, a presto Avvocato.

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