Un film e un mio brutto ricordo

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Ieri durante il blackout dei social, ho visto un film, La corsa dell’innocente, del regista Carlo Carlei, regista di fama mondiale, mio concittadino.

Un bambino, in fuga da alcuni malavitosi che gli danno la caccia dopo avergli sterminato il resto della famiglia davanti agli occhi.

Occhi innocenti quelli di Vito, inconsapevoli della realtà in cui i suoi stessi familiari si muovevano, erano tutti membri dell’Anonima Sequestri e responsabili di un rapimento di un bambino.

Sono quattro i comuni Cerchiara di Calabria, Castrovillari, Civita e Morano Calabro situati alle falde del Pollino, che fanno da sfondo alle sfortunate vicissitudini che accadono al piccolo Vito e ai membri della sua famiglia.

I luoghi delle riprese del film avevano il compito di accentuare la solarità e l’incontaminazione dei paesaggi agresti.

Le ampie distese di grano, le masserie diroccate, le vie deserte dei piccoli borghi, sono il simbolo di un sud triste e lasciato a se stesso.

E viene anche rappresentata sullo schermo un’industria chimica totalmente abbandonata, precisamente la SIR (Società Italiana Resine) di Rovelli, una “cattedrale nel deserto” situata nel territorio lametino.

Il film mi ha fatto ripensare a una vicenda successa quando ero ancora una bambina, ad un fatto che sconvolse tutta la nostra cittadina.

Una famiglia che, in quegli anni viveva in un quartiere popolare, aveva tenuto prigioniera in casa, una ragazza che era stata rapita e che del suo rapimento avevano parlato i giornali e la TV per settimane.

I fatti risalgono al 1975, quando una 18enne, Cristina Mazzotti fu rapita mentre si trovava insieme ai suoi amici. Le vicende del rapimento furono particolarmente seguite dai media, commossero l’Italia intera e restò impresso nella mia mente . Fu un rapimento anomalo in cui una banda del Nord coinvolse bande legate alla “ndrangheta” calabrese.

La ragazza, fu “prelevata” senza usare violenza, lei non si ribellò e non oppose resistenza per evitare di coinvolgere gli amici presenti nella macchina in cui si trovava nel momento in cui fu rapita. La gestione del rapimento della ragazza, finì proprio a Lamezia Terme, nelle mani di Antonino Giacobbe, indiziato per un altro rapimento avvenuto in Calabria e per essere il mandante (poi assolto al processo) dell’omicidio di Francesco Ferlaino a Lamezia, uno dei primi magistrati antimafia, omicidio che avvenne due giorni dopo il sequestro della Mazzotti.

Responsabile della custodia in Lombardia fu un pregiudicato coinvolto in un giro di tir rubati e di traffico di armi.

Il suo nome era perfino emerso fra gli estremisti di destra collegati all’inchiesta sulla strage di piazza Fontana nel 1969.

Era lui che dava sonniferi alla giovane e che le intimava di scrivere lettere angoscianti ai genitori affinché pagassero subito il riscatto. Genitori che, ipotecando la casa, affrettarono il pagamento del riscatto, pari a un miliardo e 500 milioni di lire.

La ragazza fu tenuta in uno spazio umido, scavato nel terreno di un garage a Castelletto Ticino, è lì che era stata portata dopo Lamezia Terme.

Cristina non poteva nemmeno alzarsi in piedi, aveva il fisico debilitato così tanto che un mese dopo il rapimento, finì in fin di vita.

Non è chiaro come avvenne il decesso, si sa che avvenne il giorno prima del pagamento del riscatto dai familiari che non sapevano ancora della tragica conclusione.

La ragazza non aveva mai visto in volto i suoi carcerieri, per cui non c’era ragione di ucciderla.

Gli inquirenti però avanzarono l’ipotesi che fosse stata uccisa a bastonate, in una discarica vicina alla prigionia.

E lì, in effetti, fu trovato i corpo.

I sequestratori sono stati arrestati tutti, tra essi anche gente che conoscevo perché lametini.

Mi chiedo ancora oggi se si possa morire a 18 anni, senza colpa, crudelmente,

solo per denaro…

… e poi finire gettata in una discarica, tra carrozzine rotte e sacchi della spazzatura, come ulteriore oltraggio.

Vergogna!

Angela Amendola

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