Tutto è iniziato nella cucina di Nonna Elvira…

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Fa parte della “natura umana” chiedersi “perché” e tentare di dare una o più risposte.

A volte tutto avviene “velocemente”, una sorta di “pensiero, ragionamento lampo” che attraversa la mente e in modo irrazionale diventa poi emozioni.

Positive se abbiamo avuto la sensazione che “ne valga la pena” oppure che possiamo condizionare gli eventi, negative se ci sentiamo in un vicolo cieco.

Ad esempio, ci siamo chiesti “perché” mettere un neonato israeliano nel forno e farlo morire bruciato davanti ai genitori mentre si violenta la madre e il padre osserva impotente per poi alla fine ammazzarli tutti.

Bimbo ebreo, forno…la storia ritorna…

Lo stesso accade oggi per molte altre cose.

Ad iniziare da pandemie e dai frequenti disastri ambientali che anche in questi giorni interessano il nostro Paese fino alle tante crisi in atto, femminicidi, nascite in calo, migranti che muoiono in mare, migranti che molestano ragazze, matrimonio ormai “tradizione antica”, adolescenti silenziosi con gli occhi sul cellulare che ti passano davanti in modo maleducato e prepotente senza nemmeno chiedere permesso, italiani che scappano per non pagare il conto del ristorante…e chi ne ha più ne metta.

Perché? E soprattutto siamo ancora in tempo per “fare qualcosa”?

Per la verità si sentono anche “buone notizie” ma, onestamente, quelle peggiori, quelle cioè che mettono in discussione l’esistenza della convivenza sociale come attualmente organizzata e strutturata, sono più numerose e di certo più importanti.

In questo panorama la religione non riesce più a svolgere alcuna funzione sociale ed alcune di esse, le più radicali, di fatto, si trasformano in alibi per imporre un nuovo ordine a vantaggio di “un finto clero”.

Lo stesso Putin invade l’Ucraina “agitando lo spettro del nazismo”… forse gli servivano le ricchezze di quel Paese ad iniziare dal grano.

Da un lato si ammazzano gli ebrei (se non ricordo male roba da nazisti), dall’altro si invade un paese presunto nazista…magari sostenendo pure Hamas…qualcosa non torna.

In questo contesto così complicato e problematico, con i media che “ricercano sempre” la notizia sensazionale in modo da colpire in “tre minuti tre” l’emotività dell’ascoltatore, in tanti rimangono “nel vicolo cieco” e le emozioni che ne derivano non possono che essere di tristezza, inutilità, depressione, rabbia…ovvero “tutta roba negativa”.

Il cristianesimo insegna ad avere speranza.

La speranza è l’attesa fiduciosa, più o meno giustificata, di un evento gradito o favorevole, in senso soggettivo, purtroppo spesso illusoria “O speranze, speranze, ameni inganni della mia prima età!” (Leopardi).

Avere speranza può indurre atteggiamenti baldanzosi nei confronti della vita, stati d’animo d’incoraggiante o consolante fiducia, convinzione fiduciosa od ottimistica, ambizioni e progetti proiettati nel futuro.

Ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza.” (Sciascia), ovvero finché vivo posso nutrire prospettive favorevoli e positive.

Già. Per dirla alla Sciascia finché sono vivo posso agire! Ma come?

Da soli non si va da nessuna parte” ha affermato Claudio Fiore, nipote di Borsellino, parlando ai ragazzi durante una delle tante iniziative a trent’anni dalla strage di Capaci invitandoli all’attivismo concreto, quotidiano e deciso contro ogni cultura della violenza.

Ed allora se qualcosa si può ancora fare, nutrendo speranze, occorre farlo insieme, in tanti e questo non solo quando si corre a spalare fango dopo l’ennesima alluvione, ma in modo preventivo.

La “Società Civile”, quelli che pensano “che ancora non tutto è perduto” devono trovare modi e tempi per unirsi, per collaborare, per esprimere nuove idee, nuova politica, una nuova economia, nuovi modi di vivere e convivere nel rispetto della dignità umana e dell’ambiente.

Vorrei chiudere con un esempio, fermo restando che la chiave per ogni svolta rimane sempre la politica e la competenza di chi governa.

La nostra prima sede è stata la cucina di nonna Elvira“.

A Serramanna, in Sardegna, cinque ragazzi hanno voluto venire incontro alle difficoltà delle piccole imprese locali e con i loro studi e la loro formazione universitaria hanno dato vita a una moneta complementare, il Sardex.

Da quei giorni nel 2008, duri come ogni inizio, ad oggi sono più di 10.000 le imprese iscritte in tutta Italia.

https://www.sardexpay.net/la-nostra-storia/

Ed onestamente non si capisce come mai il bitcoin sì, il Sardex (o equivalenti) no…

Con nuove idee, la speranza di ognuno può trasformarsi nella meta di tanti SE UNITI attorno ad un progetto comune.

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid02sRtrpvvDLxcdcEnsMXhLc8yAqcxn79esrvStuTehJaAJSuRBxCmxywJ9o6yXyEHBl&id=100023202048107

Non opinioni urlate ma concrete visioni condivise.

Pino De Nicola

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