Ci svela qualche curiosità in più,
lo scrittore, Riccardo Mainetti.
“La vita o si vive o si scrive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola.”
Luigi Pirandello
Oggi questo spazio lo dedico ad un Premio Nobel per la letteratura. Drammaturgo, poeta, scrittore Siciliano. Vissuto nel XIX secolo che ha saputo rivoluzionare il Teatro, il romanzo e la novella portando nel mondo teatrale una ventata d’innovazione. Sto parlando di Luigi Pirandello uno degli scrittori più importanti della letteratura italiana. Pirandello scrisse e mise in scena testi originali, fino ad allora mai proposti, ottenendo un grandioso successo sia durante la sua vita che dopo la sua morte; è ancora oggi uno degli autori più letti e amati dal pubblico. Potrei riportarvi la sua intera biografia(che vi invito a leggere a questo link https://library.weschool.com/lezione/sintesi-luigi-pirandello-vita-opere-romanzi-teatro-6129.html), ma lascio la parola ad un grande appassionato di questo scrittore a cui ha dedicato un saggio: “Io e Pirandello”. E oggi mi leverà, e credo anche a voi, qualche curiosità in più su questo colosso della letteratura italiana.
Innanzitutto ti ringrazio Riccardo della tua disponibilità, e ti chiedo: perché hai voluto dedicare un saggio proprio a lui, Luigi Pirandello?
Prego carissima Monica! Grazie a te per questa nuova vetrina e per tutta l’attenzione che dedichi a me e al mio lavoro. Quello tra me e Luigi Pirandello è un amore nato in quinta superiore. Pirandello, assieme con Carlo Cassola, è l’autore che portai all’esame di maturità e mi permise di conquistarmi il diploma.
Cosa ti attrae di più della sua scrittura?
Di lui, oltre alla scrittura che, in varie occasioni alterna italiano e dialetto siciliano, mi hanno attratto le tematiche profonde e attuali: la differenza tra come appariamo a noi stessi e come appariamo alle altre persone e il problema della comprensione o, per meglio dire, dell’incomprensione tra le persone ingenerata dal diverso modo in cui esse possono intendere la stessa parola o la stessa frase, specialmente. Oltre a quello che è un altro tema cardine dell’opera pirandelliana vale a dire la pazzia.
Tra le sue tante opere. “Il figlio cambiato” destò l’interesse di un altro grande scrittore, Andrea Camilleri che volle romanzare questa novella. Un tuo pensiero sulla versione Pirandelliana e quella del Colosso Camilleri.
La favola del figlio cambiato è una storia di paese che si tramanda da molte generazioni ormai, possiamo dire che è una storia che risale alla notte dei tempi. Pirandello, il quale si sentiva a sua volta un figlio cambiato, l’ha fatta propria adottandola come tema per una delle sue “Novelle per un anno”. Andrea Camilleri, facendo leva proprio sul fatto che Pirandello si sentiva un figlio cambiato, ha deciso di intitolare la propria biografia dedicata al Genio di Girgenti proprio “Biografia del figlio cambiato”.
Luigi Pirandello, a quanto scrivi nel tuo saggio, “Io e Pirandello” era giunto ad una grande consapevolezza di sé. Come, secondo te, l’ha raggiunta?
Credo che a quella consapevolezza, una consapevolezza amara se intesa come consapevolezza circa le altre persone, Pirandello sia giunto vivendo e sperimentando quanto queste persone, fossero (e, ahimè, tuttora siano) portate a mostrarsi agli altri come essi vogliono che siano anziché mostrarsi per quel che sono realmente. Una frase di Pirandello che amo molto e che ritengo centrata circa questa problematica recita “Imparerai a tue spese che nel lungo cammino della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”
Le tre donne di Pirandello. Analizziamo insieme a te il rapporto che ebbe con la figlia Lietta, la moglie Maria Antonietta Portulano e l’attrice Marta Abba.
Nell’esame dei rapporti intessuti da Pirandello con le tre donne principali della sua vita adulta partirei dal rapporto difficoltoso e drammatico con la moglie, Maria Antonietta Portulano, figlia bella ma umbratile del socio in affari del padre, che Pirandello sposò, in un matrimonio combinato dai genitori, matrimonio col quale il padre di Pirandello contava di risolvere i problemi economici. I due giovani si sposarono, prima in comune e in seguito con rito religioso, il 27 gennaio 1894 e in seguito si trasferirono a Roma, dove con il passare degli anni la famiglia si ampliò con la nascita dei tre figli della coppia: Stefano, Rosalia (Lietta) e Filippo. Il carattere, già di per sé umbratile, come s’è detto, della moglie, la lontananza dalla propria terra natale e le fatiche dovute all’accudimento dei tre figli, cominciarono a far denotare i primi segnali di instabilità nella moglie. Un ulteriore aggravamento si ebbe nel 1903 quando dalla Sicilia arrivò la notizia che la zolfatara nella quale il padre di Pirandello aveva investito tutti i propri averi, compresa la dote della nuora e che fino a quel momento aveva consentito di incassare una rendita, si era allagata a seguito di un’alluvione. Questa notizia contribuì ad accentuare i problemi psichici della signora Pirandello, la quale, appresa la notizia, si mise a letto dove rimase per sei mesi. Ulteriori colpi alla stabilità psichica di Maria Antonietta Portulano vennero, prima, dalla notizia della morte del padre, Calogero Portulano e, in seguito dalla notizia della cattura dei due figli maschi partiti soldati nella Grande Guerra. La signora Pirandello prese ad accusare il marito sia della prigionia dei figli che, cosa ancora peggiore, di rapporti incestuosi con la figlia Lietta, all’epoca ventenne, la quale, a seguito di tali accuse, tentò di togliersi la vita, fortunatamente fallendo nel proprio intento. Questo fatto spinse ancor di più Pirandello verso la decisione di far ricoverare la moglie in una clinica per malattie mentali sulla Nomentana. Vi è da dire che studi recenti hanno portato a scoprire che la moglie di Pirandello, al netto dei problemi psicologici, non nuovi nella sua famiglia, visse, durante il matrimonio con Pirandello, un disagio psicologico. Tant’è vero che Pirandello stesso ebbe a scrivere all’amico Ugo Ojetti, nel 1914: “Ho una moglie, caro Ugo, da molti anni pazza. E la pazzia di mia moglie sono io…” con questo andando a confermare e corroborare quanto detto da Balzac, ossia: “Dio preservi le donne dallo sposare un uomo che scrive libri!” Il ricovero della moglie portò Lietta, la figlia prediletta di Pirandello, a divenire il rapporto affettivo fondamentale di Pirandello. Questo, fino al 1921 quando Lietta sposò Manuel Aguirre, addetto militare alla legazione cilena in Italia. Il matrimonio dell’adorata figlia svuotò nuovamente e ancor più profondamente casa Pirandello e la partenza degli sposi, nel 1922, alla volta del Cile, dove Aguirre era stato richiamato, contribuì a svuotare l’animo di Pirandello. Da questo è facile intuire, al netto del romanzo rosa che molti commentatori anche influenti vi hanno intessuto attorno, che il rapporto che di lì a qualche anno Pirandello instaurerà con Marta Abba, sua prim’attrice e musa, sia stato un rapporto tra Maestro e allieva prediletta o, se si vuole, un rapporto paterno, dal momento che la Abba, per una questione anagrafica, era più giovane di Lietta di tre anni, di Pirandello, figlia avrebbe, effettivamente, potuto esserlo.
Tra le sue tante opere mi soffermo sul “Treno ha fischiato”, una storia in cui il personaggio Belluca, in qualche modo, rispecchia un po’ tutti noi delle nostre insicurezze: quella paura di vivere che ci spinge a non ascoltare i nostri desideri, il nostro cuore. Statici innanzi alla vita che inesorabile passa proprio come l’ultimo treno alla Stazione. Una tua riflessione.
Mi complimento per la scelta. Questa è una delle novelle più belle e profonde in cui il protagonista si lascia vivere, possiamo dire, conducendo una non vita che egli crede vita quando, come accade in molte novelle e anche romanzi (si pensi a “Uno, nessuno e centomila”) succede quel qualcosa che spariglia le carte. In questo caso, il fattore che mette in crisi tutto per il protagonista è l’udire, nel silenzio di una notte nella quale, insolitamente il protagonista fatica a prender sonno, in lontananza, il fischio di un treno. Un accadimento minimo e banale, si è portati a pensare ma la banalità è un concetto quantomai soggettivo, specie in Luigi Pirandello. Infatti, questo fatterello di tutti i giorni, un treno che fischia, porta il protagonista della novella a rendersi conto che il mondo non si esaurisce tra le quattro pareti dell’ufficio in cui lavora, né tra quelle di casa, ma vive al di fuori. Scoperta, questa, che lo condurrà a non accettare più, a non farsi bastare più, lo stato delle cose come lo aveva accettato fino a quel momento, spinto dalle necessità che la vita gli aveva imposto. L’aver udito il treno fischiare porterà questo Bartleby di casa nostra (pur con tutti i distinguo) a “preferire” di non accettar più la vita limitata che s’era fatto andar bene, obtorto collo, fino a quel momento. Questa reazione porterà Belluca, questo il cognome del protagonista, a finire all’ospizio dei matti.
Tra tutte le sue novelle qual è quella che hai fatto più fatica a comprendere?
Ce ne sono diverse che ho dovuto rileggere più volte per coglierne il significato ma dovendo sceglierne una tra queste direi “Ciaula scopre la luna”, una novella che affronta il drammatico tema dei “carusi”, ossia dei bambini condannati a vivere e a lavorare nell’inferno delle miniere di zolfo.
Al di là della genialità di questo grande personaggio, cosa nel tuo intimo ti lega fortemente a Pirandello.
Forse il fatto di sentirlo attualissimo nelle sue tematiche, il fatto che smascheri, è proprio il caso di dirlo, le persone nel loro non essere ciò che sono in realtà e il fatto di sentirlo vicino in quanto ha vissuto una vita che, al di là dei successi, gli ha presentato anche parecchie volte un conto doloroso.
Se potessi parlarci cosa gli chiederesti?
Vorrei che mi raccontasse com’è stato lavorare con un altro “mostro sacro” del teatro, stavolta recitato, come Eduardo De Filippo.
Quale tra i libri di Pirandello consiglieresti ad un lettore che si approccia per la prima volta alle sue opere?
Personalmente il primo suo romanzo che ho letto è stato “Uno, nessuno e centomila” ma, forse, a una persona che si approcci per la prima volta a Pirandello consiglierei di iniziare dalle novelle, se ne trovano in commercio anche a raccolte più ridotte (anche nel prezzo, il che non guasta) rispetto ai volumi delle “Novelle per un anno” pubblicate nei Meridiani Mondadori.
“Il genio di Girgenti”, come lo definisci nel tuo Saggio, prendeva ispirazione da altri autori? O era un rivoluzionario della letteratura di quei tempi?
Definisci prendere ispirazione. Battute a parte credo che anche Pirandello, come tutti gli autori, abbia subito l’influenza di altri grandi autori e pensatori, quali il filosofo francese Henri- Louis Bergson e gli autori romantici tedeschi, per fare un paio di esempi.
Se dovessi definire Pirandello con una sola parola quale sarebbe e perché?
Ammaliante, basti pensare a quanti autori si sono occupati di lui, due nomi fra tutti, tra l’altro suoi conterranei come il già citato Andrea Camilleri e Leonardo Sciascia, il quale, oltre ad aver dedicato a Luigi Pirandello un gran numero di opere, inserisce accenni a Pirandello in più di un romanzo, uno per tutti “Una storia semplice” nel quale il “console o ambasciatore non so dove” che viene poi trovato “suicidato” nella propria masseria era tornato in Sicilia spinto dalla voglia di mettersi alla ricerca di vecchie lettere scritte da Garibaldi e, guarda un po’, proprio da Pirandello che aveva frequentato il liceo assieme a suo nonno.
Ringraziando Riccardo Mainetti per questo viaggio nella vita e nelle opere di Pirandello. Consiglio agli amici e lettori di leggere il Saggio “Io e Pirandello” di Riccardo Mainetti , che trovate a questo LINK
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