Recensione: “Spiriti e creature del Giappone”

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Recensione

Spiriti e creature del Giappone, Edito da “L’ippocampo”

Un viaggio fantastico guidato dalla narrazione di Lafcadio Hearn e le illustrazioni di Benjamin Lacombe e surreale che trasporterà il lettore in un luogo dalle tradizioni di un folclore poco noto al mondo occidentale ovvero la tradizione giapponese. Il Giappone se ben ricco di molteplici tradizioni contaminate dalla Cina e India (Buddhismo) emerge con la sua imponente filosofia, la dedizione per le divinità, le preghiere rivolte ai Buddha per la salvezza futura e la sua interconnessione con l’essere e la natura. Un mondo incantato ricco di creature non umane, centrate sul rapporto uomo natura, ritenuta sacra ed elemento imprescindibile per il Giappone, correlato al concetto di metamorfosi. Un concetto intrigante e misterioso quello della metamorfosi, connessa alla trasformazione del sé, anima-corpo, un rapporto spirituale ultraterreno, al di là di ogni limite, oltre la realtà sensibile e la conoscenza. Un ciclo della vita intesa come trasformazione di un essere con conseguente mutamento radicale; in alcune opere letterarie è trattata come trasformazione soprannaturale di un essere o di un oggetto in una diversa natura, quasi una creazione fantastica o magica: la metamorfosi può rappresentare un cambiamento di stato, un’evoluzione, un ritorno alle origini, una via di fuga o una salvezza. Quindi incontro e separazione, incontro uomo elemento fantastico che scatena una metamorfosi ed un ritorno a sé e nella natura circostante: questo il filo conduttore scelto per le tre fiabe che seguiranno.

LA STORIA DI AOYAGI

Il giovane Samurai Tomotada è travolto da una violenta tormenta anche il cavallo procede a difficoltà, quando inaspettatamente su di una collina ricca di salici scorge una piccola casa. Una volta giunto bussa e al suo cospetto si presenta una vecchina che lo invita a entrare, il giovane sistemato il cavallo a riparo varca l’uscio e ai suoi occhi si palesa un fuoco intorno a cui si scaldano un anziano e una giovane fanciulla. L’anziano invita il giovane samurai a sostare per la notte visto il meteo avverso e Tomotada, già ammaliato dall’indicibile bellezza della fanciulla accetta senza esitare. I due cominciano a dialogare e manifestarsi il loro reciproco interesse tramite poesia, dialogo che nega quanto affermato precedentemente dai genitori: la fanciulla non è per niente ignorante e stupida. Tomotada non vuole perdere quest’occasionale incontro offertogli dagli dei e chiede la fanciulla in sposa, ma inaspettatamente i due anziani rifiutano per la differenza sociale offrendo la figlia solo come umile serva. L’insistenza del samurai è nulla così decide comunque di partire portando con sé Aoyagi, ora solo con il consenso del suo signore potrà convolare a nozze. Superate difficoltà iniziali il nobile acconsente al matrimonio del samurai e la fanciulla. Dopo cinque anni di felice matrimonio Aoyagi è colpita da un dolore acuto e comunica all’amato che è giunto il momento di lasciarsi e confessa di non essere umana ma “l’anima di un albero, il cuore di un albero è il mio cuore- la linfa del salice è la mia vita e in questo momento qualcuno abbatte il mio albero”. Dopo la perdita dell’amata Tomotada prende i voti buddhista e dopo un lungo peregrinare giunge alla collina che decretò l’incontro dell’amata: della casa nessuna traccia solo la presenza di tre ceppi di salice.

L’apparente protagonista del racconto può essere visto in Tomotada, il giovane Samurai che rappresenta la nobiltà guerriera, addestrato al dovere e alla fedeltà assoluta, alla giustizia, al coraggio, alla compassione, alla sincerità, onore, dovere e lealtà. Il nome Samurai deriva dal verbo “saburau” che significa servire e nello specifico colui che serve la nobiltà. Mentre il vero protagonista è il salice che nella sua simbologia rappresenta rinascita e purezza, la pianta in sé permette di germogliare a nuova vita, a vedere le avversità come opportunità, divenendo protagonisti del proprio cammino e tutto ciò è incarnato nella splendida Aoyagi, che rappresenta anche e in particolare la correlazione tra spirito natura uomo.

IL SOGNO DI AKINOSUKÉ

Akinosuké è solito riposare ai piedi di un grande e antico cedro presente nel suo giardino. Un pomeriggio in compagnia dei suoi amici, tra chiacchere e vino si addormenta suo malgrado sotto il cedro ed è subito rapito da uno strano sogno: “un insolito corteo gli si avvicina e al suo cospetto si palesa un uomo che lo invita a seguirlo dal suo re a palazzo. Dopo una fausta accoglienza gli viene comunicato che il re lo ha scelto come genero e si celebrano così subito le nozze; dopo di che il re convoca nuovamente Akinosuké per comunicargli che dovrà governare un’isola, con una popolazione mite e leale ma non con leggi conformi al regno, suo compito migliorarne le condizioni sociali. Dopo tre anni l’obiettivo è raggiunto e la vita procede in armonia e con i figli, sino a quando l’amata muore. Dopo questo evento Akinosukè è convocato dal re: può tornare al suo posto e abbandonare l’isola. Al suo risveglio si ritrova sotto il cedro e difronte i due amici, a cui racconta il sogno dei suoi ventitré anni trascorsi sull’isola; ma anche i due amici hanno visto qualcosa di sbalorditivo da raccontare: una farfallina gialla è volata sul suo viso e poi si è posata sul terreno, a ridosso dell’albero e poi è sparita, in seguito sono apparse le formiche del formicaio situato sotto il cedro. I tre incuriositisi cominciano a scavare ai piedi del cedro per dare un’occhiata: una perfetta colonia di formiche, strutturata come una città in miniatura; un brulichio di formiche attorno a una formica gigante con le ali gialle. Akinosuké riconosce nelle formiche il re sognato, il palazzo e la principessa amata.

In questa seconda fiaba sono elementi fondamentali il cedro e le formiche. Il cedro in Giappone è considerato sacro per la sua longevità e si trova spesso piantato vicino ai templi: è associato all’immortalità e serenità, in effetti il protagonista ci si appisola spesso. Le formiche nonostante la loro piccola dimensione sono esseri forti e determinati che lavorano per il bene dell’intera comunità instancabili. E poi la farfalla gialla emblema sublime della metamorfosi, della trasformazione di sé: la riflessione è quella di essere longevi come il cedro, forti come le formiche per il bene comune e pronti alla rigenerazione di sé come una farfalla.

“UNA LEGGENDA DI FUGEN BOSATSU”

C’era una volta un prete che pregava sera e mattina sperando di vedere Fugen Bosatsu come presenza viva e nella forma descritta dal testo sacro Sutra del Loto della buona legge. Il prete una sera si addormenta e sogna di entrare nella casa di una cortigiana, dove sono già riuniti molti giovani incantati dalla bellezza della donna. Intenta a cantare un’antica canzone giapponese lui continua a osservarla sino a quando non assume le sembianze di Fugen Bosatsu. Poi la cantante si allontana dal banchetto lasciando nella sala la tristezza subentrata alla gioia.

In questo terzo racconto un viaggio illusorio concesso dal sognare esprime un messaggio forte: i buddha possono apparire ovunque e in qualunque sembianza dove sia utile guidare gli uomini sul sentiero della verità, senza limitazioni e pregiudizi di sorta. Il messaggio centrale del Sutra del Loto è che la felicità esiste sempre perché imprescindibile dalla vita stessa dell’universo, desiderio intrinseco anche dell’essere umano.

Il nostro viaggio in oriente ora si conclude, il lombrico è farfalla e il fiore di loto danza sull’acqua per aprirsi al cielo mentre intorno tutto scorre e tutto si trasforma.

Simona Trunzo

 

 

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