Sguardi: la mostra fotografica della “ladra gentildonna”  

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La fragilità dell’uomo è stata da sempre un argomento essenziale nelle diverse culture, quanto meno da quando ci sono le sue prime tracce scritte.

L’Occidente, per esempio, ha trovato nella “ragione” la strada per andare oltre le sensazioni della fragilità umana tanto da portare Blaise Pascal a scrivere in Pensieri: “L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e la superiorità che l’universo ha su di lui; mentre l’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero. In esso dobbiamo cercare la ragione di elevarci, e non nello spazio e nella durata, che non potremmo riempire. Lavoriamo, quindi, a ben pensare: ecco il principio della morale.”

Fragilità come debolezza?

Fragilità come peccato o espressione della presenza di Dio?

San Paolo afferma: “Quando sono debole è allora che sono forte”

Fragilità come mancata efficienza?

Fragilità come pessimismo?

A leggere Leopardi sì, quando racconta la storia del pastore errante, che si interroga di fronte all’immensità della luna e del cielo sulla mortalità dell’uomo.

Ma nella filosofia del dopoguerra con la crescita dell’attenzione ai temi della fragilità umana, la stessa non è più interpretata in modo negativo ma come un momento in cui noi, creature indifese, facciamo esperienze di vario tipo.

Sono proprio questi momenti, come ricorda il filosofo francese Emmanuel Lévinas quando si sofferma sull’incontro con il volto dell’altro, che ci mettono di fronte, in maniera cruciale, alla percezione reale della nostra identità personale.

Ecco sono state queste le riflessioni scaturite mentre visitavo a Domusnovas presso Casa Pirinu in corso Repubblica la mostra Fotografica di Arianna Di Romano, “Sguardi” , organizzata dall’Associazione Francesco Lamieri in collaborazione con il Comune e inaugurata alla presenza dell’autrice, il 18 Agosto scorso e conclusasi  il 28.

Una mostra, dopo lo straordinario successo di Carbonia, in cui, attraverso i vari “sguardi”, la fragilità assume una nuova luce ed evidenzia che non sempre porta con sé inadeguatezza e inabilità ma anche delicatezza.

Fragile nei sessantadue scatti di Arianna Di Romano non è solo ciò che è debole, malato, poco efficiente, ma è anche ciò che è “delicato”.

Infatti, se è vero quello che ha affermato Massimo Pacifico che: “rari sono i sorrisi sui volti dei soggetti ritratti da Arianna mentre abbondano  la rassegnazione, le rughe, le screpolature, la sorpresa per essere stati considerati”, è altrettanto vero, per usare un’espressione del professore Vittorino  Andreoli che : ”la fragilità rifà l’uomo”, che i soggetti ritratti con i loro “sguardi” fanno prendere coscienza all’attuale società dei propri limiti, dei propri difetti, delle proprie miserie e della necessità di avviare il proprio viaggio comportamentale sotto la guida della più importante delle virtù umane, “l’umiltà” anche perché “la fragilità è un valore umano e non sono affatto le dimostrazioni di forza a farci crescere, ma le nostre mille fragilità: tracce sincere della nostra umanità, che di volta in volta ci aiutano nell’affrontare le difficoltà, nel rispondere alle esigenze degli altri con partecipazione.”

Ecco perché Arianna ha ritratto gli ultimi, i dimenticati, le povere donne, i bambini, le giovani dei Paesi dell’Asia Meridionale, dei campi Rom di Carbonia e dei campi profughi in Serbia e Bosnia, non dimenticando la quotidianità della vita vissuta dai carcerati dietro le sbarre del carcere di Caltagirone.

Una esplorazione, quella della macchina fotografica di Arianna Di Romano, che ci mette di fronte a un segmento di società abbandonata, sedendosi accanto ad essa e portando a noi la sua voce, il suo sguardo e la complessità di quella vita.

Un miracolo, insomma, grazie alla “ladra di sguardi o “ladra di anime” come la chiamano in Malesia, che ha ritratto nei suoi viaggi in giro per il mondo centinaia di persone emarginate.

«Potendo scegliere un soprannome preferireiladra gentildonna” – mi riprende Arianna Di Romano –. Perché? Ecco il perché… io non rubo sguardi e immagini per collezionarli, ma per dare voce alle persone e alle loro storie, rendere giustizia, dignità, visibilità e renderle eterne negli spazi vuoti della memoria».

In effetti gli “sguardi” della fantastica mostra di Domusnovas, Comune di nascita  della “ladra gentildonna”, che oggi vive a Gangi, incantevole borgo medievale della Città Metropolitana di Palermo,  sono la rappresentazione più pura e autentica della sua sensibilità che coinvolge e  trasporta l’osservatore nel mondo dove sono stati immortalati e fissati a futura memoria.

Una rappresentazione che riporta con le sue fotografie intense e drammatiche agli scatti di Dorothea Lange, la celebre fotografa statunitense che ha documentato la Grande Depressione, e che colpisce anche chi è distante anni luce dal mondo dell’arte e della fotografia e fa esprimere ringraziamenti di vero cuore dal pubblico intervenuto alla gentile e altruista protagonista della mostra, all’Associazione Francesco Lamieri, curatrice impeccabile dell’evento nelle persone di Ivano Murru e Giuliana, e all’Assessore Davide Aru, alla Consigliera Arianna Porcu e alla Sindaca Isabella Mascia per aver creduto fortemente nel progetto.

“Curare una mostra fotografica è un’esperienza entusiasmante” mi dice l’ottimo Mauro Liggi, curatore della mostra, incrociandolo.

“Se poi le immagini – aggiunge – sono la meraviglia di SGUARDI di Arianna Di Romano allo stupore si aggiunge la responsabilità di essere all’altezza”.

“E lei – gli dico – è stato in maniera molto egregia all’altezza”.

“Grazie per il suo giudizio, egregio dottor Fiore, ma mi consenta di ringraziare anche Arianna per l’opportunità arricchente nel conoscere una fotografa splendida e una donna fantastica”.  

Io con i miei “sguardi” – mi aggiunge Arianna Di Romano salutandola per rientrare a Roma – racconto e riporto quello che vedo, vivo le sensazioni che provano le persone che ritraggo, mi identifico in loro perché ritengo che anche le condizioni disagiate e disperate fissate dall’obiettivo possono regalare un sorriso o una speranza a chi vive i disagi di molte nostre periferie.”

Vincenzo Fiore

Clicca il link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

“a tu per tu con…” Annalinda De Toffol, la fanciulla senza età

 

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Vincenzo Fiore
Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

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