Schiavitù, ieri e oggi

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<< Dunque quale sia la natura dello schiavo e quali le sue capacità, è chiaro da queste considerazioni: un essere che per natura non appartiene a se stesso ma ad un altro, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà: e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato all’azione e separato>> Aristotele, Politica, I, 4-5

Aristotele, dunque, ritiene che la schiavitù abbia un fondamento naturale. Questa convinzione deriva dall’aver osservato che in natura ci sono molti casi in cui troviamo uno che comanda e uno che è comandato. Inoltre, lo schiavo, secondo il filosofo, si distingue dall’uomo libero perché la funzione dell’uomo libero è politica e il suo corpo è dotato di eleganza, la funzione dello schiavo è quella di essere strumento che produce servizi fisici e perciò il suo corpo è robusto e forte. Anche quando le differenze fisiche non fossero tali, lo schiavo resterebbe ugualmente schiavo, perché, pur essendo uomo, è dotato di ragione in misura minima.

In Grecia, nel IV secolo a. C., era molto diffuso il lavoro servile e la concezione di Aristotele fu probabilmente influenzata dal contesto in cui viveva e in cui permanevano certamente idee discriminatorie, la più importante quella tra uomo e donna.

Un problema si pose quando nelle guerre tra le città greche, si fecero prigionieri tra i nemici e qualcuno riteneva che potessero essere ridotti in schiavitù. Aristotele sostenne che schiavo è chi presenta determinate caratteristiche: non pieno possesso della ragione, incapacità di esercitare attività se non fisiche. L’uomo greco è per natura adatto al comando quindi non può essere ridotto in schiavitù; la condizione di schiavo deve essere riservata ai popoli barbari.

Discriminazione, schiavitù, razzismo. Vi prego! Non andate nei musei a distruggere la testa di Aristotele, ribadisco che, nonostante questo, Aristotele è un grande filosofo. E poi, scrisse queste cose molti secoli fa, la cosa da distruggere è la schiavitù in tempi moderni.

Sono passati due millenni dai tempi di Aristotele e molto è stato fatto, molto tardi e ancora non basta.

E’ solo nel Seicento che iniziano a sollevarsi voci di condanna morale della schiavitù, voci che non ebbero grande ascolto perché in quel momento storico ci fu la drammatica formazione degli imperi coloniali che fondavano la loro ricchezza sulle estrazioni minerarie e sulla coltivazione della terra, ciò provocò il mantenimento della schiavitù e il disumano ma redditizio commercio degli schiavi, la turpe e tristemente nota tratta degli schiavi.

La tratta degli schiavi legò in modo indissolubile schiavitù e razzismo. Nelle Americhe i nativi, gli indios, erano stati sterminati e gli schiavi erano tutti neri africani, inoltre, all’idea della schiavitù per natura di aristotelica memoria si aggiunse la missione civilizzatrice ed evangelizzatrice del cristiano nel mondo.

E’ solo con l’Illuminismo che maturò una coscienza diversa ed una nuova sensibilità per i diritti umani che portò la Francia rivoluzionaria ad abolire nel 1791 la tratta degli schiavi ma mantenendo la schiavitù che fu abolita in quello stato nel1848.

La prima nazione ad abolire la schiavitù fu l’Inghilterra, grazie all’impegno di William Wilberforce (1759- 1833), uomo politico che impegnò tutta la sua vita alla causa dell’abolizione e proprio nel 1833, tre giorni prima che Wilberforce morisse, il Parlamento londinese approvò l’abolizione della schiavitù nelle colonie inglesi. Dopo questo atto non ci furono le temute crisi economiche, anzi, l’Impero inglese continuò a prosperare per tutto il secolo.

Da questi primi risultati iniziò un processo volto ad estirpare la tratta e poi la schiavitù, come risulta da Atti e Dichiarazioni varie che furono promulgate nel corso dell’Ottocento.

L’abolizione della schiavitù non fu dovuta solo alla insistente richiesta di coloro che si battevano per i diritti umani, con l’avanzare della rivoluzione industriale diventarono necessari non più schiavi ma lavoratori salariati che producessero e consumassero, mercati in cui vendere i prodotti. Con queste trasformazioni nell’economia, la schiavitù non era più conveniente, era quasi un ostacolo, bisognava abolirla.

La vita nelle fabbriche e l’organizzazione del lavoro nei primi anni, potrebbero far pensare ad una nuova forma di schiavitù. Fin da subito, però, lotte sindacali e politiche hanno determinato un graduale e continuo progresso nel campo dei diritti imprescindibili che nel tempo sono stati riconosciuti, almeno dai governi democratici, mentre i regimi totalitari del ‘900 non hanno esitato a servirsi della manodopera dei perseguitati politici.

Nel 1948 la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha condannato la schiavitù, eppure, come succede tante volte, principi importanti e condivisibili restano sulla carta. Non posso pensare diversamente visto che mi tornano in mente le parole di Aristotele: <<un essere che non appartiene a se stesso>>.

Non appartengono a se stesse tante donne straniere costrette a prostituirsi, sulle strade d’Europa, dopo aver pagato aguzzini che promettevano loro speranze di lavoro e di futuro. Non sono libere ma schiave di pregiudizi le spose bambine costrette in tenera età a diventare proprietà di un uomo che farà di loro ciò che gli aggrada, o i matrimoni combinati e forzati che donano solo infelicità alle donne che li subiscono.

Penso ai bambini, privati del gusto e della leggerezza dell’infanzia, costretti a lavorare per un misero salario alle dipendenze di grandi multinazionali che localizzano i loro stabilimenti là dove sanno di trovare manodopera a basso costo; ancora, al fenomeno di bambini venduti dai genitori o rapiti per essere impiegati in lavori pesanti e degradanti o per traffici di organi, infanzie negate che diventeranno esistenze complicate ed infelici.

Anche in Italia, dove le leggi ci sono, assistiamo al triste fenomeno del caporalato che sfrutta miseria e dolore di giovani immigrati, e non solo, per avere un controllo sulla vita dell’altro, per fargli sentire che da lui dipende la giornata di lavoro e la sua possibilità di esistenza. Per non dire dei raider che corrono per le città a consegnare tutto ciò che chiede il cliente sprofondato sul divano, che non ha voglia di muoversi e fare, tanto c’è l’altro che lo serve, gli porta tutto a domicilio.

Dai giornali apprendo e riporto che l’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) stima che 40 milioni di persone vivano in condizione di schiavitù. Di questi, il 25% sono minori, il 75% sono donne e bambine, tutti sono di un altro, un altro che non è amorevole, generoso, rispettoso della dignità personale; è violento, approfittatore, aguzzino.

Gli analisti del problema dicono che la pandemia ha peggiorato la situazione che, comunque non è di facile soluzione. La soluzione non è facile e neppure vicina, si potrebbe iniziare rispettando leggi che già ci sono e puntando sull’istruzione che è un processo lungo ma efficace, porta sapere e soprattutto consapevolezza di sé e del proprio essere nel mondo. La scuola forma persone, fa comprendere cosa significa questo e cos’ha di diverso l’essere ridotti a cose.

Mi tornano in mente le parole di Kant, illuminante come sempre: <<Nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito con qualcos’altro come equivalente. Ciò che non ha prezzo, e dunque non ammette alcun equivalente, ha una dignità>>. Queste sono le persone, la loro dignità non ammette equivalenze e continua: <<sta qui la dignità di una persona, di un essere razionale, che non obbedisce ad alcuna legge se non a quella che egli stesso si dà>>. Kant – Fondazione della metafisica dei costumi.

Cultura, dunque, per capire che tutti gli uomini nascono uguali e sono le occasioni di vita e il luogo in cui nascono a determinare il loro destino. Siamo di fronte a cambiamenti “epocali”, dobbiamo ripensare il mondo e capire che nel futuro non devono esserci né sfruttati né sfruttatori ma uomini liberi capaci di fare scelte consapevoli che favoriscano la realizzazione personale, indipendentemente dal lavoro svolto e dalla funzione ricoperta.

Anche chi è chiamato alla gestione pubblica ha molte responsabilità, ignoranza e incapacità non dovrebbero più essere accettate.

I have a dream that one day… diceva in un famoso discorso M. L. King, anch’io ho un sogno, ma poi, cosa sarebbe la vita senza sogni?

Gabriella Colistra

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

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