Al tempo del Covid, chiusi in casa, già da metà novembre ci si può dedicare al Natale.
Così appaiono qua e là timidi addobbi magari più sfavillanti per esorcizzare la pandemia.
Da piccola si doveva arrivare ai primi di dicembre per iniziare a pensare al Natale.
Il primo giorno dell’ultimo mese dell’anno mia nonna mi regalava un calendario: il calendario dell’Avvento fatto a mano con della stoffa colorata.
Mio nonno si impegnava a prepararle un telaio a forma di casa e lei cuciva la stoffa seguendo il perimetro, inserendo della lana rossa sul tetto.
La casa aveva tante finestrelle verdi.
Ad ogni finestrella una tasca,
piccola quanto bastava per inserirci un fogliettino con una frase,
uno cioccolatino, un confetto…
Il 13 dicembre per Santa Lucia mi prendeva per mano, mi portava a spasso tra le bancarelle di dolciumi nel quartiere dove si festeggiava la Santa…che bello che era e quanto certi ricordi pesano adesso che non si può più!
A Siena da che ho ricordi, il mercato di Santa Lucia è in Pian de’ Mantellini, nella contrada della Pantera e poi andavamo in chiesa per la benedizione degli occhi. Compravamo i brigidini, delle candele, l’albero di Natale che iniziavamo a decorare subito al nostro rientro a casa.
Dal giorno di Santa Lucia al 25 dicembre
il tempo correva veloce.
Ricordo che lei aspettava Natale
eccitata come me che avevo sei o sette anni.
La famiglia si sarebbe riunita: tutti e tre i suoi figli con rispettivi consorti e noi nipoti, in verità non molti nipoti solo io e mio cugino. Guai a saltare il pranzo il pranzo di Natale, avrebbe preso l’assenza di qualcuno come un’offesa personale, le sarebbe durata fino a Pasqua e quel pranzo, apparecchiato nella sala grande con la tovaglia bianca, inamidata, ricamata a punto croce con rose rosse, aveva varie portate.
La mia famiglia è toscana da generazioni e mio nonno, come suo padre prima di lui era cacciatore.
Sulla tavola di Natale non potevano mancare una lepre in umido e l’arrosto di uccellini.
Tuttavia io aspettavo il dolce.
Non mi piacevano allora e non mi piacciono neanche adesso il Panettone o il Pandoro.
Io aspettavo i Ricciarelli.
All’epoca questi dolcetti tipicamente senesi si mangiavano solo a Natale oggi li trovi tutto l’anno. Mi dispiace un po’ – anche se lo capisco – che si trovino tutto l’anno nelle pasticcerie cittadine.
I Ricciarelli davano al Natale qualcosa di speciale, ai miei occhi lo rendevano unico.
Ne prendevo a piccoli pezzetti, li mettevo in bocca e lasciavo che retrogusto amarognolo delle mandorle insieme a quello di arancia, mi riempisse il palato di qualcosa di magico.
Mia nonna mi aveva spiegato che i Ricciarelli sono un dolce antico a Siena, già nel Medioevo si usavano dei dolcetti quadrati fatti di pasta di mandorle ma che la ricetta dei ricciarelli venne perfezionata solo dal XV secolo.
Mi spiegò che inizialmente erano gli speziali, detentori di un potere quasi assoluto sulle spezie e gli aromi, a sfornare i dolcetti. Mi diceva che lo zucchero era considerato una spezia preziosa e che per questo era assai costosa, la chiamavano “sale bianco” o “sale arabo” perché in Europa venne importato per la prima volta dagli Arabi che lo reperivano in Oriente.
Mi raccontò che all’inizio solo i signori se lo potevano permettere e che la povera gente usava il miele selvatico per addolcire le pietanze o preparare l’agrodolce.
Mi raccontò che Cristoforo Colombo quando andò in America portò con sé delle piante di Canna da Zucchero per fare delle piantagioni in quelle terre lontane, che dall’America egli ritornò con il caffè e la cioccolata.
Si mi diceva proprio così «Cristoforo è ritornato con il caffè e la cioccolata. Riempì le sue navi di caffè e cioccolata» ed io mi immaginavo che nelle stive delle navi ci fossero enormi sacchi pieni di quadretti di cioccolata.
Io l’ascoltavo incantata e la guardavo estrarre i ricciarelli dalla loro confezione dorata, posizionarli sull’alzatina di porcellana e metterli in bella vista sulla ‘credenza’ in attesa di essere consumati e accompagnati da un vino liquoroso e dolce il Vin Santo.
Ricetta dei Ricciarelli di Siena
Mandorle dolci 300 gr
Mandorle amare 15 gr
Zucchero bianco semolato 300 gr
Scorza d’arancio dolce candito 25 gr
Zucchero bianco 70 gr
Zucchero a velo 15 gr
Albumi di 3 uova
Zucchero a velo 15 gr
Lavare e tritare le mandorle, macinarle insieme ad un po’ di zucchero fino a farle diventare polvere. Aggiungere lo zucchero e l’arancia candita anch’essa resa polvere. Lavorare fino a formare una pasta liscia ed emogenea. Prendere un po’ di zucchero (50 gr circa) e farlo sciogliere in 20 gr di acqua calda. Portare ad ebollizione per formare uno sciroppo denso al quale va unita la pasta di mandorle preparata in precedenza e lasciare riposare il composto per l’intera giornata o nottata a seconda se lo si è preparato di sera o di mattina. Montare a neve gli albumi con l’aggiunta dello zucchero a velo e unire lentamente al composto, in questo modo tutto si amalgama rendendo l’impasto duttile e morbido. Dividerlo in cilindri, appiattirli un po’ e tagliarli a losanghe di 5/6 cm di lunghezza, cospargerli di zucchero a velo, posizionare i quadrotti sulla teglia del forno precedentemente ricoperta di una cialda d’uovo che non li farà attaccare ed infornare a 150° per ca. 15 minuti. Una volta cotti lasciarli raffreddare.
Buon appetito