Prima di narrare del brigante, credo che sia utile parlare anche largamente della frazione di Piscopio.
La piccola cittadina, si trova a 374 mt dal livello del mare, conta circa 3.000 abitanti e dista poco più di 2 km dal Vibo Valentia. Il centro fu abitato sin dal periodo pre-ellenico da popolazione autoctona, divisa in diversi gruppi dediti alla pastorizia.
La sua favorevole posizione geografica, l’ha resa un’importante crocevia di collegamento. Luogo in cui si transitava, si scambiava tra l’antica Hipponion (oggi Vibo Valentia) e le varie colonie dell’antica Locri.
I locresi arrivavano attraversando la “Valle del Mesima” provenendo dall’attuale Vazzano e successivamente dall’altopiano delle Serre. Per molti secoli, fu la porta principale per i viandanti diretti nell’antica Hipponion.
Questo percorso fu utilizzato anche da Ferdinando di Borbone per raggiungere Mongiana. Era un percorso di terra battuta, strategico per quanto obbligato che portava all’antica Chiesa Bizantina di S. Ruba e poi a Vibo.
Praticamente, un giro immenso. Questo fino alla metà del 1800, quando , a causa di cunicoli e grotte, divenne dominio dei briganti che vi trovavano riparo.
Il toponimo “Episkopeion” ha un significato chiaro e porta alla sua caratteristica principale: significa osservare, guardare dall’alto, vedetta. E in realtà, il sito, offre un’ampia visuale della valle del Mesima, dell’arco montano delle Serre e si poteva vedere nettamente un antico tempio ellenico, esistente prima della costruzione del Castello Normanno- Svevo.
Molti oggetti sono stati ritrovati nel territorio, di chiara origine ellenica, che confermano le origini antiche di Piscopio. In località “Piscino” è stato ritrovato da alcuni operai, un mosaico, probabilmente ciò che restava di una domus romana.
C’è da aggiungere che Piscopio è stata anche sede di ben tre sinodi vescovili: nel 1617, nel 1659 e nel 1698. Il territorio è immerso in una lussureggiante vegetazione con ulivi e alberi da frutto e sono presenti anche diversi corsi d’acqua, intorno ai quali, si sono insediati alcuni agglomerati indigeni.
Il paese fu più volte raso al suolo da vari movimenti tellurici: 1659, 1783,1905,1908 ma con costanza e coraggio, i suoi abitanti, furono sempre in grado di risollevarsi e ricostruire ciò che era andato distrutto.
Il regio decreto del 8/4/1937 soppresse l’autonomia di Piscopio come comune della Calabria Ulteriore e dopo 129 anni, fu aggregato a Vibo Valentia, divenendo di fatto, una frazione.
I luoghi di culto sono due, la chiesa di S. Nicola costruita nel 1608 e distrutta dagli ultimi due grandi terremoti e mai più edificata e la chiesa di S. Michele Arcangelo, Santo Patrono di Piscopio, la cui festa è molto sentita e partecipata anche dai comuni limitrofi.
La leggenda vuole che la parlata melodica e cadenziosa dei piscopisani, provenga dalle sirene al seguito di Persefone (Proserpina).
Andiamo a spiegare che esiste un brigantaggio pre e post unitario. I primi erano delinquenti comuni, i secondi erano legittimisti che tentarono di respingere l’esercito piemontese che invase le nostre terre.
Quello di cui brevemente vi voglio parlare, è un brigante preunitario che neanche l’esercito napoleonico, riuscì a respingere, si tratta del brigante Mercadante. Un omone, grande e grosso e molto astuto, originario di Piscopio ma che si rifugiava all’interno di grotte naturali, per sfuggire alla cattura.
Era isolato dal resto della comunità, ad eccezione del suo braccio destro a cui salvò la vita, caricandoselo in spalla, dopo che fu colpito durante un’incursione criminosa. Si unì in seguito al brigante Friddizza per portare avanti il suo progetto di rapina, nei confronti di tanti poveracci che risalivano la valle carichi di merci da rivendere nei mercati.
Ovunque andasse seminava il terrore e non era amato neanche dai suoi stessi concittadini. Si narra che i muri della sua casa, avessero delle feritoie dove poter infilare la canna del fucile e sparare in tutta sicurezza, a chi cercava di catturarlo.
Durante i lavori di ristrutturazione della sua casa, fu demolita una parete e si scoprì che c’era in essa un’intercapedine che nascondeva tre giare piene zeppe di monete d’oro del regno delle due Sicilie.
Una parte di queste, sono esposte all’interno del museo archeologico di Vibo Valentia, che ha sede all’interno del Castello Normanno-Svevo, un’altra parte è proprietà di cittadini piscopisani, quasi un senso di rivalsa per ciò che hanno dovuto subire gli antenati, suoi conterranei.
Di Piscopiu puru u diavulu sindi fujiu (da Piscopio è scappato anche il diavolo).