L’ultimo viaggio di Luis

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“E se è tutto un sogno, che importa.

Mi piace e voglio continuare a sognare…”

Si è spento il 16 Aprile ad Oviedo, in Spagna, lo scrittore cileno Luis Sepúlveda, tra le più importanti voci del panorama letterario contemporaneo. 

Di ritorno da un festival letterario in Portogallo, aveva contratto una polmonite da covid-19, che non è riuscito a sconfiggere.

Racchiudere Luis Sepúlveda in una sola parola sarebbe riduttivo: guerrigliero, ecologista, esule politico, reporter, viaggiatore.

Eccellente narratore e abile cantastorie, originale regista e sceneggiatore, instancabile attivista; oltre alle sue idee c’era il suo continuo girovagare per il mondo: i viaggi, le battaglie politiche, i film, i romanzi e, soprattutto, le sue favole che hanno creato un caso editoriale.

Su tutte la deliziosa “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare“, un vero e proprio inno a non avere paura di chi è diverso da noi: “È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo”, dice il gatto alla gabbianella.

Ma sono tante le opere che Luis Sepúlveda ci lascia in eredità oltre alle dolcissime favole che lo hanno reso celebre.

Raggiunta la fama internazionale con il suo primo romanzoIl vecchio che leggeva romanzi d’amore” si ricordano, tra gli altri, “Il Potere dei sogni, “Il mondo alla fine del mondo”, “La frontiera scomparsa”, “La fine della storiae lo struggente “Storie ribelli” in cui lo scrittore ha ripercorso oltre 40 anni di vicende personali e corali in cui troviamo il Sepúlveda privato e politico. 

Il fulcro centrale di tutte le sue creazioni è rappresentato dalle sue passioni e ideali, quelli per cui aveva lottato, viaggiato e infine scritto: la libertà, la giustizia sociale, la lotta tra il bene e il male, la speranza, i sogni.

Ora Luis Sepúlveda deve compiere un ultimo viaggio.  

Tornerà alla terra a cui appartiene, la Patagonia… Luis era un hombre cileno e in Cile voglio riportarlo”, racconta la poetessa Carmen Yáñez che di Sepúlveda era il grande amore e irrinunciabile compagna di vita.

Quel “mondo alla fine del mondo, che lo scrittore descrive, tra le sue pagine più intense, come un luogo dall’orizzonte infinito ricco di storie estreme, di personaggi leggendari suoi compagni di strada: oltre agli uomini del luogo, i mapuche che resistono ancora ai conquistatori spagnoli, anche avventurieri, guerriglieri, vagabondi, sognatori, i perdenti della Storia a cui con i suoi libri riconsegnava la voce.

“Sono uno scrittore”, diceva Sepúlveda, “perché non so fare altro che raccontare storie. Ma sono anche un essere sociale, un individuo che rispetta sé stesso e intende occupare un piccolo posto nel labirinto della storia…Sono un cronista di tutti coloro che giorno dopo giorno vengono ignorati, privati della storia ufficiale, che è sempre quella dei vincitori”. 

Nelle acque gelide del Pacifico, nel profondo Sud del Cile, là dove finisce la terra, sua moglie Yáñez disperderà le sue ceneri.

Le stesse acque in cui la balena bianca della sua ultima favola, Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa”, ha conosciuto la solitudine degli abissi e l’avidità degli uomini bianchi. Le stesse che osservava ogni mattina Juan Belmonte, il personaggio a cui nei romanzi aveva affidato la sua memoria e il suo passato.

«Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, 

uno di questi si chiama acqua, un altro ancora si chiama vento, 

un altro ancora si chiama sole 

e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia». 

Maria Orlando 

 

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