Lo tsunami a Napoli raccontato da Francesco Petrarca

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Francesco Petrarca si trovava a Napoli  il 25 novembre 1343, VI per trattare la liberazione di alcuni prigionieri per conto di Papa Clemente VI.

Non era la prima volta a Napoli, due anni prima, volle farsi esaminare dal Re napoletano Roberto D’Angiò prima della incoronazione a poeta in Campidoglio.

Alcuni giorni prima Petrarca annotò che il cielo di Napoli era diventato nero e che fulmini e temporali lasciavano presagire il peggio.
«Aperta la finestra che guarda verso occidente vidi la luna avanti a mezzanotte nascondersi dietro il monte di S. Martino, con la faccia piena di tenebre e di nubi».
Petrarca scrive che un vescovo in un’isola del golfo di Napoli (si trattava, probabilmente, di Guglielmo di Ischia), da giorni che predicava una terribile sciagura che si sarebbe abbattuta su Napoli.

La mattina del 25 novembre, una grande onda anomala divorò pescatori e intere imbarcazioni in un istante.

Petrarca si nascose nei locali dei frati della chiesa di San Lorenzo e insieme a lui gli uomini di fede iniziarono a pregare.
«Era pieno tutto quello spatio di persone affogate o che stavano per affogarsi: chi con la testa, chi con le braccia rotte e altri che uscivano loro le viscere, nè il grido degli uomini e delle donne che abitavano nelle case vicino al mare era meno spaventoso del fremito del mare».
Quando Petrarca verso il tramonto si mise a letto per addormentarsi, il tempo peggiorò ancora. Nel suo quinto libro delle “Epistolae familiares” descrive in maniera diretta quello che sta accadendo:
«Mi svegliò un rumore e un terremoto, il quale non solo aperse le finestre e spense il lume, ch’io soglio tenere la notte, ma commosse da i fondamenti la camera dove io stavo».

D’improvviso ci fu silenzio e il tutto sembrò essere giunto alla fine; poi un boato fortissimo proveniente dal mare diede invece inizio all’inferno.

Il priore munì i frati, e lo stesso Petrarca, di fiaccole, c’erano persone genuflette intente a pregare.
«e mentre tra le tenebre l’uno cercava l’altro nè si poteva vedere se non per beneficio di qualche lampo, cominciavamo a urtare l’un l’altro; e gettati tutti in terra non facevamo altro che con altissime voci invocar la misericordia di Dio».

Passato tutto, Petrarca di buon mattino salì sul suo cavallo e insieme ad altri frati si diresse verso il porto. Lo scenario fu terribile: il mare aveva inghiottito ogni cosa, case, persone, animali. Non c’erano più alcune case e chiese, la stessa cosa anche sulla costa di Amalfi e Minori. L’onda anomala aveva causato migliaia di morti, ma incredibilmente ci fu una zattera che restò in condizioni perfette. Quella zattera piccola ed insignificante, su cui erano sopravvissuti per miracolo, ospitava 400 galeotti. Un’ironia della sorte che non sfuggì al poeta toscano che così scrisse: «Perché sia dato comprendere che nei pericoli della morte più sicuri sono coloro che più a vile hanno la vita».
Fu così scosso da questa tragedia che al suo ritorno Petrarca giurò che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe messo piede a Napoli e in qualsiasi posto che si affacciava sul mare.

Proprio a questo evento è legata una leggenda di Napoli che riguarda Castel dell’Ovo, il cui nome si dice che derivi dal famoso “uovo” di Virgilio, che proteggerebbe la città di Napoli dalle sciagure.

La leggenda narra che proprio in quel periodo, venne accidentalmente rotto (c’è chi dice per fatalità, chi dalla regina stessa), e poco dopo sarebbe avvenuto lo spaventoso terremoto del 1343. A quel punto, fu proprio la Regina Giovanna a rimediare, facendone costruire uno nuovo e nascondendolo all’interno del castello, in un punto dove non sarebbe mai potuto essere raggiunto e quindi senza possibilità di essere rotto da nessuno.

Ad oggi è stato possibile scoprire che quel maremoto fu causato dal bradisismo del vulcano marino Marsili, poichè ha una natura esplosiva e una sua eruzione potrebbe causare uno tsunami che in circa mezzora colpirebbe le coste limitrofe.

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