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l’animo della gente
Non 500, ma ben 9.448 “ci sono” alla chiamata della Protezione Civile per supportare, aiutare e dare collaborazione professionale agli infermieri delle zone d’Italia dove c’è il maggior numero di contagi e morti per COVID19.
9448 gli infermieri esperti di terapia intensiva e pneumologia…un piccolo ma grande esercito.
«Lo sono – ha dichiarato Barbara Mangiacavalli, Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) – per la loro naturale formazione e anche perché gran parte di loro è pronta proprio per COVID-19: come ha testimoniato l’Istituto Superiore di Sanità, il settore infermieristico-ostetrico è quello che per la stragrande maggioranza ha partecipato da subito al corso di aggiornamento sul coronavirus organizzato proprio dell’Istituto Superiore di Sanità per formarsi su come affrontarlo, come sconfiggerlo con scienza e coscienza».
«Non abbiamo mai avuto dubbi come Federazione sulla preparazione, la volontà di vicinanza e di non lasciare mai soli colleghi e cittadini – ha continuato ancora Mangiacavalli – e questa ne è la prova. Le domande avrebbero sicuramente potuto essere anche di più, ma gli infermieri sono pochi e quasi tutti sono già impegnati nelle loro Regioni nella lotta al virus, o direttamente in prima linea o anche assistendo comunque chi sta male e ha bisogno di loro, perché anche le altre malattie non si fermano. I posti sono solo 500 e loro lo hanno sempre saputo, ma la voglia di esserci, di dare supporto a chi ha bisogno è più forte della consapevolezza che non tutti potranno essere li. Ora ci auguriamo anche che questi 500, così come tutti gli altri già in prima linea, possano avere le necessarie tutele (dispositivi di protezione individuale, tamponi ecc.) per non dover mai cedere al virus e perché anche la loro salute sia tutelata».
«Tra gli infermieri – ha precisato – c’è il maggior numero di operatori sanitari positivi a COVID: circa 4mila. Tra gli infermieri c’è chi muore di COVID per assistere ed essere vicino ai pazienti, ma lo fa comunque senza il minimo tentennamento. Tra gli infermieri il principio è uno solo: prendersi cura, perché il loro obiettivo assoluto è la salute di tutti. E lo hanno dimostrato nei fatti, chiunque lo ha visto e lo può vedere ogni giorno, ogni ora, purtroppo in un’emergenza a cui nessuno di noi avrebbe voluto mai, invece, assistere. Grazie a loro e alla loro volontà, grazie da parte della Federazione, ma ritengo questo sia un grazie che tutto il Paese e il Ministro della Salute Speranza, rivolge a tutti loro in questo momento. E da quando la Protezione Civile selezionerà chi di loro potrà andare ‘al fronte’ della pandemia, i nostri esperti in maxi emergenze saranno li, uniti alla Task Force di cui ora fanno parte i 300 medici scelti con lo stesso criterio, per formare davvero una prima linea d’assalto senza precedenti contro il virus».
9948 ci sono, simbolo del grande cuore del nostro Paese, alla faccia di chi, Olanda, Austria e “la burattinaia” Germania, sinora ha risposto “picche” alle richieste di aiuto dell’Italia anche a nome di tutti i Paesi così duramente toccati…ma questo è un altro discorso di cui avremo modo di parlare.
E, quasi certo che in futuro i tulipani saranno i fiori meno (se non per nulla) comprati da noi italiani, diamo ora la parola ai nostri amici, a quanti ci seguono ed hanno voluto lasciare la propria testimonianza, il proprio sentire sulle nostre pagine…
A loro il ringraziamento di ScrepMagazine…
Giampiero Bellardi di Roma, 70anni, giornalista
La peggior solitudine -ha detto Francis Bacon- è essere privi di amici.
Io sono fortunato perché ne ho tanti, sparsi per l’Italia, ma tutti più o meno vicini grazie al cellulare, a Whatsapp, agli sms e alle video-chiamate.
Così soffro di meno per la solitudine a cui siamo costretti.
Il regalo più bello in questi giorni bui è venuto proprio da una coppia di cari e vecchi amici.
Lui è costretto a sottoporsi due volte a settimana alla dialisi, una terapia che lo prostra notevolmente.
Un giorno mi chiama la moglie e mi dice:
“Per andare in auto in ospedale dobbiamo passare proprio da casa vostra.
Che ne dite se ci fermiamo qualche secondo e ci salutiamo, voi dalla finestra e noi dalla macchina?”
Detto fatto.
Succede così due volte a settimana: un sorriso, un saluto, a volte ci scambiamo persino qualche parola, approfittando dell’assenza di traffico.
Veder sorridere il nostro amico è un’emozione, unica, intensa, che mi ha fatto ricordare quel che ha scritto Robert Louis Stevenson: “Un amico è un regalo che fai a te stesso!”
Raffaella Cassatella di Barletta, 43 anni, infermiera
Attualmente ci sono 14 malati di covid19, la situazione è molto critica, non si lavora.
La gente inizia a soffrire la fame per la mancanza del lavoro e per il non aiuto da parte delle istituzioni.
Ho 43 anni se può interessare Sono stata chiamata a Brescia.
Ho conseguito il titolo di infermiera da pochi mesi. Dovrei andare a lavorare a Brescia.
Mai avrei immaginato che un giorno questa mia qualifica mi sarebbe servita per una emergenza come quella che stiamo vivendo.
Spero solo di tornare a casa un giorno, quando tutto sarà finito per poter riabbracciare i miei cari.
Maria Carmela Miccichè di Scicli, 57 anni, autrice del suo tempo
Abbiamo tutti l’obbligo della memoria: riportare, domani, immagini e gesti che rimarranno unici nella storia.
Non mi riferisco al fatto di conservare foto, selfie, file, abbiamo l’obbligo di conservare le emozioni, la paura, la speranza, il timore, la fede, la ricerca di un’unità di fronte a un virus che non conosce confini, non riconosce i personaggi famosi, i potenti.
Un invisibile virus davanti al quale tutti gli uomini sono uguali, senza differenze di stato sociale, lingua, religione, luogo di appartenenza.
Abbiamo l’obbligo della memoria di un venerdì sera, di un uomo, uno dei potenti, solo; di una preghiera corale, mondiale, una preghiera di dolore immane e di speranza; di un cielo di pioggia su una città vuota, con il suono di sirene di ambulanze e di campane; di una benedizione ai quattro angoli del mondo per chi crede, per chi spera, per chi guarda il cielo è gli dà un nome.
Un uomo, non più giovane, zoppicante, cammina sotto una fitta pioggia chiedendo pietà al cielo mentre tutto il mondo segue il suo cammino e trattiene il respiro.
Viene giù il cielo davanti a un Cristo di legno.
Siamo sulla stessa barca e piove e i morti sfilano nei mezzi militari.
Siamo sulla stessa barca e facciamo fatica a cercare un cielo sereno, un pensiero bello, un sorriso coraggioso… ma quell’uomo da solo, camminava lento, zoppicando, con un cielo che bagnava anche il Cristo di legno… ha benedetto anche me.
Fuori dalla mia finestra, dopo la pioggia, il sole si scioglieva nel mare mentre le nuvole arrossivano di tramonto.
Siamo sulla stessa barca si chiama mondo e ho voglia di un cielo sereno.
Ho l’obbligo di avere memoria di tutto questo.
Emilia Mastrorilli di Molfetta, 60 anni
Ciao Vincenzo, tutto bene e reclusi come tutti.
Oggi, quando ho visto e sentito il nostro PAPA, solo in una piazza deserta e la pioggia che cadeva, ho capito che sì siamo soli ma abbracciati da una umanità meravigliosa. E quando il PAPA ha detto” NESSUNO SI SALVA DA SOLO” il mio cuore ha sobbalzato di gioia e speranza in un futuro diverso, migliore e più umano.
È brutto dirlo ma il brutale virus ci sta insegnando ad umanizzare nuovamente e differentemente.
Ti abbraccio e spero al più presto di abbracciarti veramente.
Gianvito Mastroleo di Conversano, 85 anni, avvocato
Mi viene chiesto di scrivere qualche pensiero sulla situazione nella quale siamo drammaticamente immersi e che, più ci penso, più trovo tremendamente difficile.
E per varie ragioni.
Innanzitutto: abbiamo mai visto nulla di simile, anch’ io che di anni ne ho collezionato ormai tanti?
La risposta è no.
Pensando al “coprifuoco” dei primi giorni di questa pandemìa, via via divenuto sempre più vero e proprio “distanziamento sociale” (meglio, “fisico” direi!), ho pensato agli anni della mia fanciullezza tra il ‘41 e il ‘43 del novecento (avevo sette anni) quando dalle sei del pomeriggio scattava, appunto, il “coprifuoco” e squadre di militi fascisti che giravano per le strade per controllare che attraverso pertugi e finestre non filtrasse neanche un filo di luce. Al punto che a casa nostra, più che le già fioche lampadine, da quell’ora in poi si viveva a lume di candela e all’appena percettibile luce di un ricco braciere che serviva a riscaldare le fredde serate di inverno.
Ma di giorno si circolava, e non erano vietati gli abbracci, il segno visibile di un affetto vero e solidale, ancorché non meno angosciato.
Oggi è tutto più grave: rigorosamente a casa giorno e notte, senza poter incontrare nessuno, senza quell’abbraccio solidale ma fiducioso, neppure con gli affetti più cari; in compagnia di qualche giornale o libro e un po’ di televisione con i suoi TG nei quali più che speranza abitano doglianze e lutti che nessuno ha pianto; con l’unica compagnia che la modernità ci mette a disposizione: l’iphone o l’ipad.
E meno male!
Naturalmente riaffiorano le notizie su terribili pestilenze che si ricordano nella storia: 1300, 1500, fine del 1600, la terribile peste raccontata da Manzoni; e quelle ancora più vicine nel novecento: la Spagnola di cui tanto ho ascoltato nella mia stessa fanciullezza, e poi quelle più vicine tra la fine del novecento e i primi anni duemila.
Non so quello che si è detto o scritto di quelle; so solo che di questa terribile in corso riesco a pensare che forse in questi ultimi cinquant’anni abbiamo voluto sfidare la natura, che la natura ha accettato la sfida e temo stia dando la sua risposta; e che noi tutti ci siamo impossessati di una realtà che non riusciamo a custodire.
Una situazione, quella di oggi, che richiede risposte forti: le chiede innanzitutto alla politica.
Alla politica non solo italiana ma a quella globale.
E che la politica stenta a dare, e alla stessa dimensione globale perché presto sarà chiamata a disegnare nuovi scenari di geopolitica.
Temo, anzi lo spero, accantonando per sempre ogni istinto a far valere la propria superiorità: nel mondo, come fra Cina e America, e in Europa come fra nazioni del Nord, più ricche, e nazioni del Sud, meno ricche.
Scoprendo anche nella politica la dimensione della coesione, quella coesione che si scorge sia pure in barlumi altrove ma che deve necessariamente contagiare finalmente l’Europa: ora, o mai più!
Mi ha colpito profondamente che negli USA, nonostante l’asprezza senza precedenti della campagna elettorale in corso, il Parlamento (Camera e Senato pur fortemente contrapposti) in una sola seduta e alla unanimità abbiano deciso d’investire una somma senza precedenti (2250 mld di dollari) per la ricostruzione, e che nelle ore in cui scrivo queste poche parole si manifesta attraverso la presa di posizione di Trump verso la Cina, con la quale abbandona ogni polemica e invita alla cooperazione; mentre l’Europa stenta a manifestare quella solidarietà che mai come in questo momento è semplicemente necessaria, e in Italia tutt’ora lo scontro fra maggioranza di Governo e opposizione stenta a cedere il passo alla coesione nazionale ed europea.
Che poi è quello che ha rivendicato il Presidente della Repubblica Mattarella e lo stesso Papa Bergoglio, da una piazza San Pietro rumorosamente deserta, affermando:
“Non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo”.
L’unico auspicio al quale sento d’associarmi in questo momento di grande trepidazione, non senza un sentimento profondo di solidarietà verso coloro, e sono tanti e non solo sanitari, che anche a rischio della propria incolumità personale ci consentono di sopravvivere.
E di sperare in un futuro migliore per tutti.
Federica Abbondanza, 34 anni, studente di medicina presso il Policlinico di Bari
Abbiamo assistito a qualcosa di memorabile, oggi. Possiamo dirci fortunati. Al di là di ogni credo, filosofia di vita, passione o delirio, oggi mi è arrivato il senso più pulito della parola “religione”.
Ed anche se per me è sempre stata a significare ciò che liberamente lega l’uomo a quanto egli ritiene sacro o divino, oggi l’immagine di una sola persona che commuove l’intero pianeta con la sola forza della sua umana solitudine ha dato nuova luce al senso di comunione e coralità, al senso del “religare”, unire. Eravamo tutti sotto la stessa pioggia a Roma. Che si assesti per sempre nelle nostre teste.
Fedele alla scienza, analizzo la Fede.
Donatella Marcianelli di Milano, 49 anni, insegnante scuola dell’infanzia.
Oggi mi trovo a scrivere una riflessione sul periodo che tutti stiamo vivendo.
Non è facile trasformare in parole le emozioni che si agitano dentro di me oramai da tanti, troppi giorni.
Tutto è iniziato il 23 febbraio 2020 con la chiusura in Lombardia delle scuole.
Io insegnante di scuola dell’infanzia mi sono ritrovata di colpo a passare dall’ essere in aula con tutti i miei bimbi all’ essere a casa a fare didattica a distanza!
Incredula e un po’ disorientata mi sono rimboccata le mani e ho dato sfogo alla mia creatività che, per fortuna, mi aiuta a risolvere le situazioni più complicate.
Certo la tecnologia non si improvvisa, la formazione è necessaria e la nostra scuola è molto arretrata da questo punto di vista.
Tante le richieste e le pretese, tante le difficoltà ma per fortuna la collaborazione tra famiglia e scuola non è mai mancata, anzi da subito è stata viva e partecipe.
I bambini mi mancano molto, più passano i giorni e più ne sento il bisogno, rivoglio gli abbracci improvvisi, i loro baci affettuosi, le loro risate e le loro litigate …
Rivoglio la quotidianità del mio lavoro, la relazione che niente e nessuno strumento tecnologico può sostituire.
Mi guardo dentro, ho tanto tempo per farlo ora, tempo che, nonostante tutto, scorre veloce.
Mi ritrovo a cambiare pagina del calendario così velocemente che non mi sembra possibile.
Tempo per imparare cose nuove, per riordinare le idee e i cassetti, tempo per oziare, tempo per pensare al domani…
Tempo, quel tempo, che a volte non abbiamo ‘ascoltato’ e che ci ha portato rimpianti, occasioni perdute, momenti che non torneranno più.
Il nuovo tempo come sarà?
Me lo chiedo oggi che mi sento un po’ smarrita e impaurita, oggi che ho paura di non tornare alla mia vita di sempre … che inevitabilmente sarà diversa.
Tempo per mio nipote, per la mia famiglia, per gli amici, tempo per amare, tempo per migliorare.
Quando riavrò questo tempo?
Vedo sempre più lontana la speranza di riappropriarmene, vedo la vita continuare, la natura fare il suo corso, vedo la primavera coi suoi fiori e i suoi colori, vedo i bambini ancora sorridere e mi viene un nodo in gola, vedo la gente che soffre, vedo la morte in televisione , vedo la solitudine di molti.
Mi dico: ehi sei una maratoneta, sei una combattente, devi reagire con forza perché là fuori ti aspetta la corsa più importante, il traguardo sognato, la medaglia della vita.
Apro la finestra respiro a pieni polmoni, sono viva grazie.
Il mio augurio è che tutti possano aprire la finestra sul mondo e tornare a respirare… tornare a credere che una nuova possibilità ci verrà data per migliorare questa Terra e per migliorarci come persone.
E che sia l’amore a guidarci tutti insieme nella rinascita perché sono una romantica sognatrice.
Michela Tonussi, lombarda, 44 anni
Vincenzo, ho 44 anni, risiedo in Lombardia, distante da ogni centro abitato.
Che dire, la situazione in Lombardia è convulsa, gli ospedali sono al collasso per le centinaia e centinaia di persone ricoverate giornalmente.
Mancano presidi sanitari adeguati, ed è per questo che molti medici e personale sanitario sono stati contagiati e molti deceduti.
Forse non si sono prese immediatamente drastiche misure di chiusura, avendo davanti la catastrofe cinese.
Molti, non solo in Lombardia, hanno continuato a far la loro vita, uscite al bar, feste, passeggiate con raggruppamenti e promiscuità sociale.
Ora, il Covid19 è entrato nel corpo di moltissime persone e cammina con le loro gambe e produce una grande contaminazione che diventa globale.
Spero che tutto questo dolore e disagio finisca presto, ne dubito però.
Buona serata, Vincenzo…
Rosa Di Stasio di Orta Nova, Foggia, 62 anni
È una situazione più grande di noi.
Mi prende l’angoscia ogni volta che vedo tutte quelle bare e penso ai parenti che non hanno potuto dare l’ultimo saluto ai propri cari.
Buona serata, Vincenzo
Ilaria Sabbatini di Lucca, fotografa
Vedete, a me non interessa difendere un Papa o una Chiesa che non hanno certo bisogno della mia piccola difesa.
È vero, la fotografia della preghiera era splendida, la luce suggestiva, la regia impeccabile, pure i gabbiani, le sirene e le campane erano perfetti.
Il fatto è che questo si chiama propriamente “linguaggio”.
Linguaggio fotografico, linguaggio video, linguaggio sonoro.
Il fatto che esista un linguaggio capace di arrivare alle persone non rende il messaggio meno autentico.
È per questo che la comunicazione è così importante.
Ed è per questo che è importante che sia fatta da professionisti.
Fotografi, registi, autori, tecnici, speaker, non sono mentitori.
Certo possono esserlo ma non è automatico, dipende da ciascuno di loro.
Sono persone che hanno una propria sensibilità e una capacità tecnica in grado di esprimerla.
È questo che c’è dietro la preghiera del Papa, non un fondale di cartone, ma un fondale di nuova comunicazione.
Già, la comunicazione!
Ecco il motivo per cui la Chiesa in questo particolare momento è tornata a comunicare per mezzo delle campane, con il loro “din don”, perché “il loro suono è già la preghiera della materia cosmica che attraversa gli spazi e arriva al Cielo”.
È il segno che associa credenti e non credenti perché “supera le distanze e ci fa percepire che siamo tutti contemporanei a questa vicenda del Coronavirus nella lotta e nella speranza” e come invito alla preghiera, personale o comunitaria.
È la luce che “dall’alto delle Chiese scende” per abbattere le ansie di questo tempo in un abbraccio collettivo.
… a cura di Vincenzo Fiore