Linguaggio e mondo

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Sul finire dell’anno, com’è stato nell’ultimo anno appena trascorso, televisione e giornali snocciolano tabelle e statistiche per dirci come siamo. Una di queste valutazioni riguarda la lettura di libri da parte degli italiani. I dati sono sconfortanti, leggiamo poco ma la cosa si fa più grave quando sentiamo dire che, se pur leggiamo, capiamo solo in parte ciò che leggiamo poiché conosciamo sempre meno parole.

Questo dice la statistica che si sa non essere scienza esatta, tuttavia è preoccupante pensare che impoveriamo progressivamente il linguaggio che è il mezzo che ci consente di comprendere e interpretare il mondo.

Sarà per questo motivo che lo studio del linguaggio, oggetto un tempo dell’interesse dei linguisti più che dei filosofi, nel Novecento divenga tema molto analizzato dai filosofi tanto che in tale ambito si parla di “svolta linguistica

Uno dei più importanti esponenti di tale svolta è Ludwig Wittgenstein (1889 – 1951), filosofo viennese autore del Tractatus logico – philosoficus pubblicato nel 1921.

Il libro ha un’architettura molto complessa, contiene 526 osservazioni disposte secondo una successione numerica determinata. Sette sono le proposizioni principali che generano a loro volta proposizioni ulteriori. In quest’opera Wittgenstein mostra che il linguaggio è importante perché attraverso esso passa il rapporto tra noi e il mondo, è un mezzo che ci consente di cogliere la realtà.

Il mondo è costituito da fatti e oggetti che si rivelano quando il linguaggio riesce a dare loro voce attraverso le parole. I fatti e gli oggetti possono essere semplici e il linguaggio sarà semplice, i fatti possono essere complessi e il linguaggio diventerà complesso.

Un esempio:<<Socrate è ateniese>>, questa è una proposizione semplice e chiara. Se però dico: << Socrate è ateniese ed è maestro di Platone>>, enuncio una proposizione complessa che rivela più fatti.

“Il nome significa l’oggetto. L’oggetto è il suo significato”. Il linguaggio, quindi, è una raffigurazione proiettiva della realtà.

Accanto al linguaggio riferito ai fatti, abbiamo un linguaggio costituito da proposizioni logiche che possono essere applicate ad oggetti diversi, non costituiscono conoscenza ma garantiscono la conoscenza e per la loro funzione di struttura logica del linguaggio costituiscono“ l’armatura del mondo”.

Il Tractatus di Wittgenstein sembra delimitare la possibilità del linguaggio sensato alla sfera delle scienze naturali che sono costituite da fatti osservabili infatti conclude la sua opera con la tesi n. 7 che recita: <<Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere>>. La frase suscitò interpretazioni diverse chiarite solo in parte dallo stesso filosofo che dopo aver pubblicato l’opera conobbe grande fama e sollecitò vivaci dibattiti.

Qualche anno dopo, in un’altra opera dal titolo Ricerche logiche abbandona il criterio del Tractatus, in cui il linguaggio definiva rigidamente i fatti, per affermare che esistono modi diversi di usare il linguaggio e ciò deriva dalla sua grammatica, cioè dalle regole che dall’interno determinano il suo uso. Ricordo, anche per semplificare che i greci usavano un’unica parola, logos, che significa parola, pensiero, ragione.

Quanto più conosciamo le parole, tanto più ci appropriamo delle strutture logiche che compongono i discorsi; quanto più vedremo e capiremo del mondo, tanto più saremo capaci di governare le cose.

Dove andremo, allora, se conosciamo poche parole e ignoriamo le strutture logiche della lingua?

Se il congiuntivo soffre, la consecutio temporum sta proprio male, appagati dal solo presente, piatto e incolore, non pensiamo al futuro perché forse non sapremo coniugare il verbo e non arriveremo a comprendere il fatto.

Mi conforta e rafforza il mio pensiero ciò che scrive Gilbert Ryle (1900 – 1976) analista del linguaggio: <<Apprendere a servirsi di certe espressioni è come imparare ad usare monete, francobolli, chèques o bastoni da hockey, è imparare a fare con queste espressioni certe cose e non altre; e apprendere anche in quali circostanze ci si può servirsene>>.

Gabriella Colistra

3 COMMENTS

  1. Logos et verbum convertuntur.
    Non possiamo pensare (logos) senza “rivestire” un qualsiasi pensiero/idea/concetto con una parola (verbum) quanto l’intelletto formula. La logica (l’igiene della mente) detta le regole del pensiero, sia nel procedimento induttivo sia in quello deduttivo.
    La verità, per indirizzo aristotelico-tomistico, si avrà nell’adaequatio intellectus ad rem.
    Per Cartesio, invece, la verità è: adaequatio intellectus ad intellectum.
    Dalla verità oggettiva (se corrisponde in realtà), si passa alla verità psicologica (è vera per chi l’ha): dalla filosofia dell’essere si passa a quella del pensiero.
    Scetticismo, infine, è negazione di ogni criterio di verità.
    Che valore ha, quindi, la nostra conoscenza?
    Aristotele, nei Secondi Analitici, lo risolve sulla base dei principi a portata non solo logico-gnoseologico, bensì ontologico-oggettivo, costituendo essi oltre che le fondamentali esigenze del pensiero che pensa, anche le supreme determinazioni dell’essere.
    Nella Scolastica si usa il principio: in Deo idem sunt esse et intelligere, cioè se l’essere è in rapporto alla ragione assoluta di Dio che, pensando, pone e conserva l’essere, questo sarà permeabile alla nostra ragione, pur essa creata da Do a somiglianza sua.
    Kant, con il suo sistema gnoseologico, si è posto il problema criticamente, cercando in modo pregiudiziale limiti e valore della nostra conoscenza.
    L’interrogativo di Pilato: Quid est veritas? vale anche in filosofia. Il principio o criterio di verità ci permette di distinguere il vero dal falso.
    Il logos, già in Eraclito, esprime il principio cosmico per cui tutto accade ed a cui tutto è sottomesso nel suo continuo divenire.
    Filone, Plotino… hanno approfondito il concetto di logos e, nella teologia cristiana, assume significato religioso definendo, in termine latino Verbum, la seconda persona del dogma trinitario, Jesus, Gesù il Cristo/l’Unto Re messianico della tradizione giudeo-cristiana.
    La linguistica storica e, soprattutto, quella descrittiva esamina le strutture fondamentali delle varie lingue.

  2. Le faccio i complimenti per la sua disanima storica sulla lingua, elemento imprescindibile di ogni forma di comunicazione in ogni epoca.

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