Leonardo Sciascia

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Di Leonardo Sciascia, pensavamo di sapere tutto ma evidentemente ci sbagliavamo. Trasformista fino alla fine, nel suo vagabondare tra le case editrici del suolo nazionale, lo scrittore siciliano, ci ha lasciato in eredità un bagaglio da non dimenticare ma da riscoprire ogni giorno, perchè sempre attuale.

Eppure, gli scritti utili a comprendere l’uomo e l’autore, circa millequattrocento, sono andati dispersi. Sciascia nacque l’8 gennaio 1921 a Roccalmuto (Agrigento), in un periodo durante il quale “una lite per confini fa presto a passare dal perito catastale al perito balistico!”

C’era la mafia e le campagne erano un brulicare di doppiette per via dei cacciatori. Sciascia stesso si vantava della sua mira eccezionale: “Con un fuciletto ad aria compressa, a dieci metri colpivo la capocchia di uno spillo!”

C’era il piombo, e poi c’era l’inchiostro e lo zolfo e lo zolfo divenne oro. Il suo esordio avvenne nel 1956, con “Le parrocchie di Rugolpietra”, diventando dal comune insegnante che era, il grande Sciascia.

Le parrocchie contenevano tanti temi, svolti poi nei suoi libri, tanto da poter affermare che tutti i suoi scritti, in realtà sono un libro solo. Grande estimatore di Pirandello, che lui stesso definì: il più grande scrittore italiano del novecento.

La sua inquietudine lo portò a cambiare spesso casa editrice, come accennato all’inizio, pubblicò con Laterza, Einaudi, Sellerio, Adelphi e nell’84, firmò un contratto con Bompiani.
Nel salotto di Elvira Sellerio, trascorreva interi pomeriggi ma, il suo animo solitario lo spinse verso Adelphi. Il salotto Sellerio era diventato confusionario, gente che andava e veniva e i telefoni che squillavano in continuazione e questo ambiente non gli era più congeniale.

La parentesi politica lo coadiuvò nel suo allontanamento e nel frattempo si parlò anche di una fuga al nord e di un incontro con Enzo Biagi. Il giornalista fu accolto con spaghetti artigianali, salsicce, formaggio di capra e i sicilianissimi fichi d’India. Il 22 luglio dell’86 scrisse a Roberto Galasso, il patron di Adelphi, inviandogli la sua “Divagazione sul 1913”.

È il libro che apre la “meditazione sulla morte” e a quattro mesi dalla ricezione, Adelphi, lo distribuì in tutte le librerie. “1912+1”, fa da apripista ad altre riflessioni, seguirà “Il cavaliere e la morte” , un contenitori da cui escono intrighi, traffici d’armi, delitti e poteri corrotti.
Sciascia, uomo fra gli uomini, incrociò spesso le strade della storia italiana e nel ’78, il suo “L’Affaire Moro”, pubblicato da Sellerio, fu un best seller.

Le incomprensioni tra Sciascia e il pool antimafia di Palermo, risalgono al 1982. Fu proprio quest’anno che di notte e in gran segreto, fu convocato nel bunker dell’ufficio istruzione di Palermo. Durante alcune intercettazioni, relative al falso rapimento di Michele Sindona del 1979, era venuto fuori il nome dello scrittore.

Sciascia, faccia a faccia con Falcone, non nascose la sua indignazione per quella convocazione e ruvidamente disse: ”Come si può anche solo pensare che io abbia a che fare con tali personaggi?”

Anche Falcone uscì da quell’incontro molto risentito.
Sciascia, citando una poesia di Gioacchino Belli, sosteneva che il poeta vive “in allegoria, in metafora, il dissociarsi e il pentirsi, oggi di brigatisti, camorristi e mafiosi.”

Era questa, una chiara frecciata contro i giudici di Palermo, scoccata nel 1986. Celebri le polemiche mai sopite, che seguirono dopo l’articolo del 1987, sui professori dell’antimafia. Nel biennio 86/87 redisse un testamento, dove chiese espressamente che i suoi libri, svincolati dai diritti delle precedenti case editrici, venissero radunati dalla casa Adelphi.

Giunto alla fine della strada, non certo letteraria ma quella concreta, dovette fare i conti con un mieloma micromolecolare, un tumore al midollo che finì per aggredirgli anche i reni. Il fiume d’inchiostro, smise di scorrere il 20 novembre 1989 a Palermo.

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