La morte di Re Ferrante d’Aragona

143450

I rossi capelli di Ferrante rilucevano al sole. Il vento soffiava forte dal mare, l’aria era fredda nonostante ci fosse il sole ad illuminare la baia di Napoli. Il re era cosciente del fatto che ormai aveva perduto la partita con la vita. Quasi tutti i baroni del regno lo odiavano. Lo sentiva quell’odio, gli pesava sulle spalle come un macigno. Camminando sulla sabbia lucente, si rese conto che stranamente la spiaggia era deserta. Non c’era nessuno intorno a lui. Nessuna imbarcazione e neanche i pescatori. Niente di niente. Solo il mare, l’unica forza a cui non aveva osato opporsi. E da lontano la linea d’orizzonte oltre la quale, il nulla!
‘’Devo abdicare!’’ Pensava tra sé:
‘’A questo punto credo che sia l’unica soluzione. Mio figlio Alfonso saprà certamente ingraziarsi la fedeltà dei baroni del regno. Però arrendermi adesso… accettare la mia sconfitta… Questo non mi piace. Non farei altro che confermare che ho sbagliato tutto, che non meritavo di portare sul capo la corona di re di Napoli. Io ho fatto imprigionare mio cognato e da trent’anni tengo rinchiuso mio nipote ma se io lo liberassi adesso, sarebbe come consegnargli una spada da infilare nel mio cuore. Si vendicherebbe sicuramente. No no… la corona del regno resterà sul mio capo fino alla mia morte.’’
Continuava a camminare lentamente seguito dall’impronta dei suoi passi. Decise di tornare al castello ma si fermò d’improvviso. Quei dolori inspiegabili al ventre gli davano il tormento. Gli bloccavano il passo e il respiro. Sembrava che quasi gli strappassero la vita. Pian piano quel dolore lancinante gli diede tregua ma senza passare del tutto. Ansimando giunse al suo cavallo, gli salì in groppa e il dolore prese a torturarlo di nuovo ma il cavallo lo avrebbe riportato al castello.
‘’Mi farò preparare qualcosa di sostanzioso da mangiare. Forse questi dolori sono causati dalla fame. Mangiare della carne mi aiuterà!’’
Era ancora giorno ma su dal cielo, il sole cominciava a scendere per poi cadere in mare e spegnersi. Ferrante ancora affaticato dal malore, entrò nel castello. Il cavallo procedeva lentamente. Il re teneva strette le briglie con le poche forze rimaste. Lo stalliere lo vide arrivare, gli corse incontro e vide che il re era pallido da fare paura.
‘’Cosa avete Sire? State male?’’
Il re guardò l’uomo con disprezzo. Nessuno doveva sapere che stava male:
‘’Non dire idiozie! Aiutami a scendere da cavallo e corri nelle cucine e ordina al cuoco di prepararmi del cibo. Sono molto affamato!’’
‘’Subito Sire’’ rispose lo stalliere spaventato e corse via.
Quando il re si trovò davanti tutto il cibo che aveva chiesto si rese conto che non aveva fame. Non ne aveva affatto! Possibile? Eppure si sentiva debole, molto debole. Cosa stava accadendo? La nausea lo soffocava. Tentava di avvicinare i bocconi ma si fermavano a metà strada, la sua bocca non ne voleva sapere. Quello che gli arrivava non era il solito profumo invitante ma un odore nauseabondo. Era un moto che nessun rigurgito poteva raffreddare e correva e saliva e si moltiplicava…
Non riusciva proprio a mangiare e da seduto, non si era accorto che i suoi calzoni erano intrisi di sangue ma quando, a fatica, si alzò, se ne rese conto.
‘’Ma questo è sangue! Come ho fatto a ferirmi?’’
Non trovò nessuna ferita. C’era solo quel sangue che aveva imbrattato la sedia, i suoi abiti e ora anche le sue mani .
‘’Che scherzo è mai questo? Chi ha osato?’’
S’incamminò barcollando fuori dalla stanza da pranzo per dirigersi verso la sua camera da letto. Impaurito, arrabbiato, pallido e sporco di sangue appiccicoso. Lo stesso sangue che gli correva giù per le gambe in tanti rigoli irregolari, che cadendo sul pavimento, lasciava alle sue spalle grosse gocce rosse. Esattamente com’era stata la sua vita, una scia di sangue rosso vivo. Rosso sangue! Entrò nella sua stanza sempre più indebolito. Il suo letto sembrava così distante, finalmente lo raggiunse, vi cadde sopra e si addormentò. Durante il sonno gli incubi lo tormentarono. Sulle nuvole cavalcavano cavalli dalle narici infuocate. Le spade di strani cavalieri neri s’infilzavano tra le sue viscere. Anche il re era a cavallo e come gli altri cavalcava sospeso per aria. D’improvviso il cavallo, perso l’equilibrio, cadde al suolo. Ferrante si svegliò sobbalzando. La fronte madida di sudore e da solo, senza nessuno che stesse con lui a consolarlo. Nessuno che potesse spiegargli cosa stava succedendo. Raccoglieva solo l’odio e la disperazione che aveva disseminato durante la sua miserabile vita. Tentò di risollevarsi. Per pochi attimi stette in piedi. Le sue gambe imbrattate di sangue barcollarono, le ginocchia si piegarono in due. Sul pavimento ancora le gocce di sangue. Era giorno o era sopraggiunta la notte? Quanto aveva dormito? Non poteva certo rendersene conto. Era disperato. Di quella disperazione che precipitava giù dai tetti inavvertita e voleva schiacciarlo al suolo. Disperato e solo. Non vedeva più, intorno a lui era tutto nero. Un freddo pungente gli attanagliava le membra stanche. Lo aveva afferrato per le caviglie e lo tirava giù. Il sovrano sanguinario non aveva la forza per opporsi a questi eventi. Stava forse morendo? È forse così che arriva la morte? Solo la sua mente era ancora viva finché ad un tratto non finì tutto. Come un cero consumato, si spense. Il cuore smise di pulsare. Cadde a terra. Morto! Re ferrante era morto, caduto con la faccia sul suo stesso sangue! L’anima sua malvagia si era arresa! Era forse quella la sua punizione? Morire in primavera quando tutto è luce e fiori colorati?
Rimase così per tutta la notte, con la faccia per terra!
Il mattino seguente, non vedendolo uscire dalla sua stanza, il suo segretario entrò e lo trovò supino sul pavimento:
‘’Sire, cosa vi è successo? Vi siete fatto male? Vi aiuto a rialzarvi!’’ Senza aspettare risposta il segretario Petrucci, lo afferrò per un braccio nel tentativo di sollevarlo ma avvertì il gelo di un corpo ormai rigido, senza vita da diverse ore. Spaventato lasciò la presa e uscì dalla stanza urlando: ‘’ il re è morto! È morto re Ferrante!’’
Come accade in questi casi il tempo corre trascinato dagli eventi. Il re fu posto su di un catafalco nell’attesa di condurlo all’imbalsamazione. Nessuno piangeva la sua morte. Nessuno si disperava! Né sua moglie e neanche i suoi figli. Adesso era immobile, col viso ancora contratto in una smorfia di dolore, senza più potere e nessuna autorità.
Aveva reso l’anima a Dio, se mai ci fosse stata un’anima da donare al Signore!

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here