La lezione di Guernica vive ancora oggi

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No alla guerra

La Guernica di Gioacchino Di Caro sul muro della villa comunale di Canicattì

Il mistero di un nome, un nome che da bambino, ancora crudo e spoglio di notizie geografiche, avevo appena cinque anni, raggiunge le mie orecchie per una domanda posta a mio nonno Vito:

“Nonno, ma dove stiamo andando? Dove mi stai portando?”

“A Canicattì”!

E io zitto… e penso:

“Boh, cosa vorrà significare questa parola. Sarà un nome comune o un nome proprio?”

“Ecco, siamo arrivati a canicattì ”, mi fa mio nonno.

Mistero sempre più fitto… siamo in aperta campagna, parecchio distante da casa.

Ricordo benissimo… raccoglievamo cicorielle selvatiche.

Altro pensiero… forse il nome proprio delle cicorielle è “Canicattì”?

Non glielo chiesi per una sorta di timidezza e di rispetto nei suoi confronti!

Mio nonno Vito, il papà di mia madre, era un gigante, di bontà e di fisico…

Se ne andò in cielo alla mia tenera età di sei anni… e quel “canicattì” sempre nella mia testa.

Un chiodo fisso!

Sino a scoprire, nel corso degli anni, che “canicattì” per parecchio tempo è  stato sinonimo di “luogo lontano”, “quasi irraggiungibile”.

Un luogo comune che affonda la sua radice storica nella costruzione della ferrovia che, nel 1876, inizia a Milano e termina in un paese “molto lontano”, quasi da mettere in dubbio la sua stessa esistenza, Canicattì, in provincia di Agrigento.

Ed ora, segno del destino, eccomi in un rapporto di grande amicizia con Gioacchino Di Caro, grafico e pittore di successo, nato e residente a Canicattì, una florida cittadina dell’entroterra agrigentino di ben più di trentacinquemila abitanti, grazie a mio nonno Vito, che mi fece conoscere per la prima volta Canicattì, e alla rete di Facebook.

Senza mio nonno, senza la mia curiosità e senza la rete web non sarei entrato in contatto con Gioacchino, con il suo mondo, con la sua arte, con il suo animo sensibile, fonte di umanità ed eleganza.

E avrei perso tanto, tantissimo.

E non avrei saputo della sua capacità di esternare emozioni, di coltivare la passione della pittura e della sua forte e personale fisionomia artistica, che, come afferma Aldo Cammalleri, ha uno stile che lo identifica con grande univocità sia tecnica che tematica e che dà origine al bello e ci fa innamorare delle sue opere e della sua arte.

Così come difficilmente sarei venuto a conoscenza della sua ultima opera partorita in un momento molto problematico per il pianeta Terra, visto l’attuale conflitto in Ucraina: Guernica.

La riproduzione di “Guernica”, una delle opere più conosciute di Pablo Picasso e realizzata nel 1937, suona come un urlo di pace lanciato dal suo pennello.

Aver dipinto “Guernica”, con le stesse caratteristiche e le stesse misure della stessa esposta a Madrid, in un angolo della città di Canicattì molto emblematico e significativo, la villa comunale, è stato dovuto alla volontà di Gioacchino Di Caro di far giungere il messaggio di pace all’intera comunità di Canicattì e oltre, in sintonia con il sindaco Vincenzo Corbo.

Infatti non pochi sono i turisti che in questo periodo si stanno fermando a Canicattì per osservare questo manifesto universale contro la forza bruta delle guerre.

Di tutto questo bisogna dire grazie al nostro artista che, con la sua profonda sensibilità, ha mostrato le tristi immagini della guerra, come invito pressante a rifuggire dalle guerre e a costruire sempre e comunque la Pace.

Il murales di Gioacchino Di Caro è il risultato di un impegno personale, di una chiara sua presa di posizione.

In tutto questo risuonano le parole di Pablo Picasso: «Davanti a un conflitto che mette in gioco i più alti valori dell’umanità e della civiltà, l’artista che vive e opera con valori spirituali non può e non deve restare indifferente».

Un’iniziativa, quella del nostro Di Caro, per dire “no” alla guerra in Ucraina e ricordare, soprattutto ai giovani, che lo scontro fratricida tra paesi vicini, come quello di Guernica nel paese iberico raccontato da Picasso, porta solo morte e distruzione.

Guernica, infatti, prende il nome dell’omonima cittadina basca, che il 26 aprile del 1937 fu bombardata e rasa al suolo dall’aviazione nazista, intervenuta a sostegno del dittatore spagnolo Francisco Franco: un’operazione che uccise centinaia di civili, tra cui donne e bambini.

Il centro del paese era, infatti, pieno di gente perché quello era un giorno di mercato.

Un massacro ingiustificato, un puro atto intimidatorio, di cinica violenza che suscitò enorme sdegno presso l’opinione pubblica mondiale.

E Gioacchino Di Caro bene ha fatto a  riprodurre Guernica perché l’opera non solo ha un carattere documentaristico, ma ha, e forse soprattutto, una valenza assolutamente simbolica: la denuncia della barbarie della guerra e della violenza che distrugge tutto, dai bambini agli adulti, dalle mamme ai padri, alle nonne, ai nonni.

“Un’opera” – mi dice Gioacchino – “che ha il merito di uscire dai confini storici nei quali fu progettata e si erge, e qui anche il motivo reale della mia riproduzione, a un vero e proprio messaggio di repulsione per i conflitti e un appello all’intelligenza e alla coscienza collettiva per evitare che l’essere umano continui ad autodistruggersi e riacquisti quel senso etico e quella bontà che possono ribaltare l’oscuro orizzonte degli eventi in Ucraina e la si smette definitivamente con il racconto quotidiano, dopo la tragedia della pandemia, del dolore e della distruzione”.

“Un sentito ringraziamento all’artista Gioacchino Di Caro – ha scritto su Facebook il sindaco Vincenzo Corbo – per questa sua opera che ricalca fedelmente il capolavoro di Pablo Picasso. La si può ammirare nella villa comunale”.

L’ispirazione per l’opera, improvvisa e all’ultimo minuto, per Picasso arrivò solo dopo il bombardamento di Guernica del 26 aprile 1937. Picasso compose il grande quadro in soli due mesi e lo fece esporre nel padiglione spagnolo dell’esposizione universale di Parigi.

“Guernica” fece poi il giro del mondo ma soprattutto servì a far conoscere la storia del conflitto che si stava consumando in quel periodo.            

ScrepMagazine ringrazia i fotografi Gioacchino Amico e Salvatore Farruggio per le foto a corredo dell’articolo.

 

Alcuni cenni dalla storia dell’opera

Pablo Picasso, Guernica, 1937. Tempera su tela, 3,51 x 7,82 m. Madrid, Centro de Arte Reina Sofia.

Proprio in quell’anno, nel 1937, si era aperta a Parigi, in un’atmosfera tesa e politicamente instabile, la grande Esposizione Internazionale. Picasso aveva già accettato l’incarico di realizzare un dipinto murale per il padiglione spagnolo, voluto dal governo repubblicano impegnato nella guerra civile. Quando si diffusero la notizia del bombardamento e, soprattutto, le prime drammatiche fotografie del massacro, l’artista decise di cambiare il soggetto dell’opera. Così dipinse la tela di Guernica, con un febbrile lavoro durato poche settimane, facendo precedere la versione definitiva da un centinaio di studi preparatori (dei quali solo quarantacinque si sono conservati) e da ben sei versioni consecutive.

Quando fu presentata all’Esposizione parigina, Guernica non piacque: troppo difficile e intellettualistica. Anche i dirigenti repubblicani spagnoli, che avevano commissionato il dipinto, la giudicarono «ridicola e del tutto inadeguata». Dopo Parigi, il quadro e i suoi disegni preparatori (assieme a dipinti di Matisse e Braque, 118 opere in tutto) furono oggetto di una mostra itinerante che toccò le principali capitali europee. Grazie a tale esposizione, Picasso e Guernica raggiunsero un successo straordinario.

Vincenzo Fiore

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Vincenzo Fiore
Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

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