Mamma, non voglio un grembiulino giallo…

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Siamo ahimè, arrivati al monocolore come simbolo del pensiero unico.
Se nella moda gli abiti monocolore ci piacciono, perché allungano la figura ed esprimono grande raffinatezza, quando si parla di bambini e di idee pedagogiche che sono applicate nelle scuole, ci piace molto meno o per nulla.

A Buggiano che è un comune in provincia di Pistoia, da settembre ci sarà una significativa rivoluzione.

Si dirà addio ai grembiuli azzurri e rosa, e si darà il benvenuto ai grembiuli di colore giallo.

Lo ha deciso Alessandro Paone, il dirigente dell’Istituto Comprensivo Salutati-Cavalcanti, firmando una circolare, affinché non ci siano più distinzioni tra alunni maschi e femmine.
A partire dal nuovo anno scolastico dunque si opterà per l’utilizzo di un unico colore anche per: “Creare uniformità con la scuola primaria dello stesso istituto, che già da anni ha optato per un unico colore”.

Una scelta volta a creare un sentimento di comunità introducendo il concetto di parità di genere.

A tre anni?

Chissà perché fino a qualche anno fa, le cose si chiamavano con il loro nome, senza destare scalpori e ripercussioni.

Gli oggetti, le azioni, le varie funzioni, tutto si spiegava senza tante parole, tutto era tangibile e alla portata di tutti.

Col passare degli anni ecco arrivata anche in Italia la globalizzazione, la trasparenza, il background, il retroterra, il politicamente corretto…

Davanti a ciò che succede tra i banchi di scuola, ricordo con nostalgia la mia, lì dove entrai il primo giorno un po’ timorosa.

E invece accadde subito che mi affezionai alla maestra di nome Anna, all’epoca era una sola per classe, e alle mie compagne.

E sì, le classi delle elementari, negli anni 70, erano tutte femminili o maschili.

Se ci ripenso, ricordo che sia lei, la maestra Anna, che i miei genitori, e ancor di più i miei nonni, mi consigliavano come studiare, mi dicevano come impegnarmi, come rispettare le persone più grandi di me, e mi insegnavano a voler bene alle mie compagne, tanto che alcune sono mie amiche ancora adesso.

E di tutto ciò che ho imparato, sono rimasti proprio quei valori che la famiglia e la maestra mi hanno insegnato.

Non si parlava ancora di interculturale, ma la maestra mi ha invogliato a leggere tanti libri, non si usavano certo i computer negli anni ’70, ma sapevamo scrivere una lettera a un amico, ad un parente lontano o solo a tenere un diario personale.

Ricordo che quando entravamo in classe per prima cosa si pregava, senza nessun timore o vergogna.

Ora i crocifissi sono banditi e così le recite di Natale o Pasqua.

E ancora a quei tempi non c’erano bambini stranieri in classe, e se tornando a casa dicevo di essere stata sgridata dall’insegnante, mio padre non correva subito alla redazione di un giornale a denunciare l’atto ma neanche spediva un esposto in Procura, se mai rincarava la dose. E poi non mi faceva vedere Carosello e la TV.

Il direttore per noi era un mito, quando veniva in classe non solo ci alzavamo in piedi ma eravamo emozionati, come se stessimo vedendo il direttore megagalattico dei film di Fantozzi.

Le bidelle si chiamavano “bidelle”, non ausiliarie o collaboratrici, e la scuola era sempre pulita, nonostante non fossero un’impresa di pulizia.

Non si offendevano o si rivolgevano ai sindacati perché dovevano pulire i pavimenti ogni sacrosanto giorno.

E cosa importantissima noi indossavamo i grembiuli, il mio era nero ma ricordo un anno in cui lo ebbi bianco, perché cambiare vestiti tutti i giorni era un lusso per molti.

È anche vero che le magliette non erano griffate come quelle usate oggi, ma alcuni non avevano molti cambi a disposizione.

Si apprendeva la grammatica e si studiavano le poesie a memoria, poi negli anni successivi, gli psicologi hanno stabilito che si trattava di insostenibili vessazioni, e nemmeno questo si fa più come allora.

Ho sentito tempo fa in un TG quel che diceva una pedagogista moderna: “basta insegnare solo a leggere, scrivere e far di conto! Ora la scuola deve aprirsi alle nuove realtà”.

Può darsi che abbia ragione, resta da intendersi appunto sul significato delle sue parole.

Da quando nella scuola è entrato di tutto, senza filtri, senza controlli, mi pare che le cose si siano a poco a poco rovesciate.

Ecco che il direttore non dirige piu, “coordina”, gli insegnanti sono sempre in riunione e in sciopero e i bidelli fanno venire i sindacati per controllare i loro carichi di lavoro ed ecco la famosa frase “questo mi tocca fare, questo non mi tocca” .

Anche per gli studenti dev’essere cambiato qualcosa.

Più che aprir bocca, basta che aprano i loro zaini ed ecco apparire tante merende, giornalini, telefonini, mp3, videogiochi e pochi libri che di solito sono troppo pesanti.

Trovo invece che una parola continui a circolare con insistenza, nelle scuole con crescente interesse, una parola di cui tutti si impossessano per scelta e convinta adesione: “diritti”.

Troppi diritti che portano spesso a molti rovesci.

Come vietare l’uso dei grembiulini colorati in modo diverso. 

Angela Amendola

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

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