È un anziano compagno di viaggio che siede all’interno del nostro stesso vagone.
Ha preso posto dal lato del finestrino, ammira il panorama al di là del vetro, si compiace per ogni immagine che gli passa accanto fugacemente.
Ama la bellezza ma non teme il disfacimento delle cose, non è restio al cambiamento ed è naturalmente predisposto all’idea di un mutamento nefasto.
Bisognerebbe solamente augurarsi che, nel bel mezzo di questo lungo viaggio senza una ben precisa meta, egli non decida di congedarsi alla prima fermata allettante.
Saremmo destinati all’immobilismo.
Resteremmo da soli per tutto il resto del percorso, inchiodati alla medesima postazione del medesimo vagone, un vagone che ha per nome “esistenza”.
È accaduto parecchie volte, succede di frequente e d’istinto ci si sporge prontamente dal finestrino.
Lo si vede allontanarsi lentamente, accompagnato da un irrinunciabile fardello ingombrante, ed anche se non sembrerebbe possibile lui aspetta solo un nostro cenno, attende che gli si palesi innanzi una ragione per tornare indietro.
E così lo abbiamo invocato a gran voce, pregandolo di risalire.
Beato chi, dopo averlo chiamato a squarciagola, lo ha visto voltarsi con disinvoltura e sorridere.
In mancanza della complicità del coraggio non ci sarebbe concessione relativa alle capacità d’amare, di ribellione, di reazione agli eventi infausti, di prosecuzione per le strade della vita nonostante l’incombenza della morte, questa morte tiranna ed imparziale che ci priva, talvolta, persino degli affetti irrinunciabili.
Che il buon Dio possa aver cura di non lasciare mai che il coraggio di vivere abbandoni nessun uomo su quel treno, un treno proiettato verso tutto…e verso niente…
Maria Cristina Adragna
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