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GIACOMO BALLA (parte seconda)
“La madre”
Pastello e tempera cm 119×93
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma.
Questo intenso ritratto è stato eseguito da Balla nel 1901.
Il pittore dedicò alla propria madre alcune delle sue opere più famose, sia nel periodo “figurativo”, sia in quello “divisionista” e “futurista”.
Un amore intenso che emerge palese da ognuna delle tele, nato forse nel momento in cui, venuto a mancare il padre, fu proprio grazie ai sacrifici e alla caparbietà della madre che Balla riuscì a compiere il proprio percorso artistico.
Un legame fortissimo che l’artista poi rivolse alla propria famiglia: alla moglie Elisa e alle figlie Luce ed Elica.
Ritornando al dipinto, è stranamente inconsueto il taglio ravvicinato scelto da Balla, infatti il volto della madre è inquadrato così da vicino come un pittore non avrebbe mai fatto.
Una simile scelta è probabilmente frutto delle continue sperimentazioni iniziali che lo accompagneranno, anche in seguito, per tutta la sua vita.
“LA MADRE”
“La madre” di Giacomo Balla è un ritratto reale e un’ affascinante interpretazione della figura materna.
Un momento di intimità nella sua quotidianità, quanto prezioso nella tenerezza che traspare dal volto della protagonista.
Un periodo di vita di una donna nella vecchiaia, dove la bellezza è sfiorita, ma non lo sguardo, che racconta.
Il pittore da il colore ai capelli con tonalità argentee e il viso con sapienti contrappunti tonali.
Oltre agli “affetti” più cari, protagonista assoluta di questa pittura è la luce, plasmata dalle sapienti mani di Balla per delinearne la figura, lasciando in ombra tutto il resto della scena.
Possiamo ben immaginare il sorriso che solcava il volto dell’artista nell’intero frangente della sua realizzazione.
PER FINIRE:
Neppure la fotografia avrebbe reso con tanta intensità e introspezione il ritratto dell’anziana madre ripresa in primo piano.
Ma l’eclettico pittore è ancora lontano dal “Futurismo” e la sua esecuzione rimanda alla scuola piemontese di Pelizza da Volpedo e Previati, alla fine dell’ Ottocento.
Bruno Vergani
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