Questa… è la mia Estate
Parlare dell’Estate è come parlare di una persona, descriverla è come descrivere una donna con i suoi inconfondibili aggettivi femminili.
Bella, espansiva, affettuosa, calda, innamorata, fantasiosa.
Se fossi pittore e dovessi dipingerla?
Uscirei dai canoni tradizionali della pittura, rovescerei sulla tela, ancora vergine e bianca, tutti i colori della mia tavolozza e li impasterei con le mani in un gioco folle d’amore con un’orgia di colori e un baccanale di tinte in una immensa passione di luci e di lussuria cromatica.
È la mia Donna…
È la mia Estate che, con le sue braccia calde e arroventate, avvolge il mio collo e mi stende a terra vicino a lei, su un campo di grano, incendiato dal sole, in un pomeriggio di un luglio rovente.
E ancor di più scopro che l’Estate è femmina, e lo sa essere nel modo più caro e più nobile.
Un insieme di Giunone e di Venere con parecchio di Elettra (Lamborghini?) e un pizzico di una ninfa giovanetta.
Cos’altro?
Immagina di incontrare su uno dei marciapiedi dei nostri paesi, in carne ed ossa, una di quelle formose allegorie dell’Estate che tanti di noi hanno avuto modo di osservare, per esempio, su qualche quadro di salotto o sulle brochure delle agenzie turistiche.
Non ti tremerebbe la terra sotto i piedi?
Non ti sentiresti prigioniero di vampate di emozioni?
Eppure sei di fronte, solo e semplicemente, ad una allegoria estetica, tra l’altro assolutamente anche un po’ retorica, sia pure con le forme di una ragazzona ben piazzata, dai fianchi floridi, abbondanti e dai lineamenti tonici che non lasciano via di scampo all’attenzione.
E non solo a te. E forse a nessuno.
A me no!
Ascoltami…
Il fascino dell’Estate non è lì, non è nella sua giunonicità.
Il suo fascino è nella consapevolezza della sua precarietà, è nella sua non troppo nascosta malinconia.
Precarietà e malinconia perché sa di dover morire.
Ecco perché l’Estate per me da sempre somiglia ad Elettra.
Bellissima e sfortunata, amata da Zeus e destinata ad essere da questi abbandonata per poi morire.
Tanto più bella quanto più aumentano i brividi per sì meravigliosa e immensa bellezza.
Tanto più cara quanto più i suoi grandi occhi fissano, talvolta solo per un attimo, il lontano luccichio istantaneo di un autunno che lascia percepire i primi vagiti del freddo.
Ed eccola…
Corre di nuovo, ride nella splendente e accecante canicola di luglio, fra gli odori e le fragranze della frutta matura, sulla terra coltivata e ricca di fecondità, sino ad aggrovigliarsi sulla bionda e bollente sabbia della spiaggia.
Gioca con le onde, immersa nello sciabordio delle sue carezze ai ciottoli.
Un gioco effimero nella brevità della sua vita perché il destino con la mia Estate non è stato benevolo.
Ha il tempo delle altre stagioni ma, per l’amore che tutti, o quasi tutti, le portiamo, sembra che passi troppo presto.
Gioca…
E mentre gioca si volge indietro, si guarda alle spalle e, dietro l’altopiano della Murgia, verso il Castello vede vicino, grande, impressionante e cresciuto nel silenzio più assoluto, il fantasma dell’equinozio.
Respira, la sua voce riempie il cielo di fiamme roventi, sale sempre più verso l’azzurro del cielo, sempre più in alto per riprendersi e consegnare gli ultimi bagliori della sua felicità e della sua infelicità per la tragedia imminente.
Reclina la testa, abbassa lo sguardo, e, come un’amante generosa, consegna l’ultimo dono: un lampo di bellezza, di calore e d’amore.
Lascia il suo cuore in un ultimo caldo bacio…
E muore!
Vincenzo Fiore