Diamo una occhiata al passato?

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Usciremo dalla crisi provocata dal Covid?

Diamo una occhiata al passato…

Era il mese di settembre del 1939 quando, a causa della invasione della Polonia da parte delle truppe naziste, si scatenava la seconda Guerra Mondiale, poi conclusa con la vittoria degli Alleati nel 1945.

Era il mese di dicembre del 2019 quando, almeno ufficialmente, iniziava la pandemia da Covid-19… e “questa guerra non è ancora finita”.

Dopo il 1945, i successivi 10 anni furono terribili e segnati dalla cosiddetta “seconda ricostruzione post-bellica”.

Con l’avvento dello Stato democratico, tutte le energie residue furono infatti rivolte alla rinascita materiale, in un clima civile ed economico caratterizzato da rinnovata vitalità e grande impegno dando il via alla ricostruzione del patrimonio immobiliare distrutto o danneggiato dalla guerra.

Ieri, 27 dicembre 2020, ad un anno circa dallo “scoppio della pandemia”, è stato il “Vax Day” per l’Italia ed in tutta, o quasi, la UE, una sorta di assalto finale al nemico per vincerlo definitivamente in un 2021 che ancora appare “anno di guerra”.

Tra il 1958 e il 1963, l’Italia conobbe un periodo di cambiamenti economici e sociali senza pari nella sua Storia. Nel giro di pochi anni il Paese uscito dalle rovine della guerra, divenne una tra le maggiori potenze industriali del pianeta: gli italiani in questo periodo sperimentarono grandi cambiamenti nel loro stile di vita, le città modificarono il loro aspetto trasformandosi in affollate metropoli, mentre il sistema delle comunicazioni e dei trasporti venne rivoluzionato.

Un Paese legato prevalentemente alla cultura contadina e all’agricoltura, conobbe l’urgente necessità di entrare nella modernità industriale al fine di soddisfare la crescente domanda del mercato interno: un processo che per intensità e rapidità, e per l’essere in parte inaspettato, ha preso il nome di “Miracolo Economico Italiano”.

Traguardando lo stesso arco di tempo, nei 5 anni compresi tra il 2021 e il 2026, l’Italia e non solo è chiamata ad un “Nuovo Miracolo Economico” o forse meglio sarebbe dire al “Miracolo della Nuova Economia”.

Nel dopoguerra il primo consistente aiuto alla ripresa economica italiana venne dall’estero e precisamente dagli americani col Piano Marshall: l’inserimento dell’Italia nel blocco capitalista dei paesi occidentali a guida USA, consentì l’inizio dell’intervento statunitense finalizzato a favorire la ripresa dell’intera economia europea.

L’European Recovery Program, meglio noto come “Piano Marshall” dal nome del suo ideatore, venne varato nel giugno del 1947 e nel corso del triennio successivo, fino al 1951, riversò 13 miliardi di dollari, più aiuti materiali d’ogni genere, sulle economie europee e su quella italiana.

Un altro consistente incentivo alla crescita economica italiana venne dal parallelo avvio del processo di integrazione europea: nel 1951 nasceva la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), con il compito di coordinare la produzione e i prezzi dei settori ritenuti strategici per la produzione industriale.

Il successo della CECA incoraggiò i paesi fondatori a proseguire su questa strada: nel 1957 veniva fondata la Comunità Economica Europea (CEE), con il compito di creare un mercato comune mediante l’abbassamento delle tariffe doganali e il principio della libera circolazione di capitali e forza lavoro.

Era il 10 dicembre del 2020 quando, dopo estenuanti trattative e veti, l’Unione Europea varava definitivamente, i Recovery Fund, strumento nato da una vecchia proposta francese rielaborata con lo scopo di emettere i Recovery Bond, con garanzie nel bilancio UE.

Il finanziamento del fondo avverrà attraverso la raccolta di liquidità data dall’emissione dei Recovery Bond; i soldi saranno reperiti grazie all’emissione di debito garantito dall’UE e arriveranno a breve, nel primo trimestre del 2021.

Ora i singoli Governi dovranno elaborare dettagliati piani di spesa nazionali, per stabilire progetti di riforme e investimenti da concretizzare con i miliardi UE e in tal senso l’Italia sta definendo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nel quale sono suddivise le risorse in diversi ambiti.

Complessivamente, il Recovery Fund consiste in un piano da 750 miliardi di euro, che, come accennato, saranno reperiti attraverso l’emissione di debito garantito dall’Unione Europea.

I fondi sono articolati in sovvenzioni e prestiti, nella maniera che segue:

390 miliardi di euro di sovvenzioni,

360 miliardi di euro di prestiti.

Il tutto condividendo il rischio ma solo guardando al futuro, senza una vera mutualizzazione del debito passato. Si tratta quindi sempre e comunque di titoli di debito, ma con questa “leggera ma sostanziale” differenza.

Nell’immediato dopoguerra, la politica economica venne guidata dall’economista liberale Luigi Einaudi, secondo Presidente della Repubblica dopo Enrico De Nicola, che riuscì a far recuperare potere d’acquisto alla Lira riportando la fiducia degli investitori, anche attraverso l’adozione di misure energiche.

Nel 1955 venne poi varato il “Piano Vanoni”, un primo tentativo interno, mai fatto fino a quel momento in Italia, di programmazione economica sotto la guida dello Stato.

A rendere l’Italia una delle locomotive del processo di espansione economica europea, oltre ai fattori internazionali, contribuirono anche alcune condizioni specifiche dell’economia italiana. In particolare il basso costo dei salari e la grande disponibilità di manodopera permise alle aziende italiane di essere fortemente competitive sul mercato mondiale, potendo quindi esportare facilmente i loro prodotti.

A favorire la grande crescita fu anche un ruolo diverso dello Stato in ambito economico, che pur non arrivando a pianificare completamente la fase di sviluppo, vi contribuì in numerosi modi.

Sotto l’egida dell’intervento statale i primo settori industriali a diventare trainanti per l’economia italiana furono quello delle fonti energetiche e delle materie prime: l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) divenne il centro strategico per l’approvvigionamento del Paese, con lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi presenti in Italia e l’acquisto di combustibili dall’estero; a sua volta l’IRI – Istituto per la ricostruzione industriale – si impegnò nella creazione di una moderna industria siderurgica, rifornendo le industrie di acciaio a costi contenuti per favorire la produzione di infrastrutture e di nuovi beni di consumo su larga scala.

Fra i simboli del miracolo economico l’automobile (la FIAT diventata in quegli anni un autentico “status symbol”), la Vespa, gli elettrodomestici (con le aziende italiane Candy e la Ignis), le macchine da scrivere dell’Olivetti (azienda con un modello di fabbrica particolarmente innovativo e all’avanguardia), la televisione (nasce la RAI)…

Ma come accennato, a beneficiare della crescita economica furono prevalentemente le grandi aree industriali del Centro-Nord e in particolare il triangolo industriale del Nord-Ovest mentre le imprese esistenti nel Meridione non riuscirono a reggere la concorrenza, aumentando il divario già esistente tra le diverse aree del Paese.

Tra il 1951 e il 1961 quasi due milioni di persone abbandonarono il Mezzogiorno.

A beneficiare dei processi innescati dal boom economico furono soprattutto le realtà urbane: le grandi città italiane come Roma, Milano e Torino vissero un periodo di forte espansione, mentre le campagne subirono un inverso fenomeno di spopolamento e di abbandono delle tradizionali attività agricole.

E cosa sta succedendo al Recovery Fund anti-Covid?

L’Europa assegna 209 miliardi all’Italia proprio perché c’è il Sud e il Governo gira la maggior parte dei fondi al Nord. Secondo l’indicazione dell’Europa, al Sud avrebbe dovuto andare il 70 per cento delle risorse stanziate, ma al Sud invece andrà non più del 34 per cento. Non solo. Il rischio è che in quel 34 per cento siano compresi i fondi nazionali per la coesione e quelli ordinari europei del 2021-27, cioè quelli che ci sarebbero stati comunque.

Il 34 per cento sono 70 miliardi invece dei 140 previsti dai criteri europei (in base a popolazione, reddito, disoccupazione). E l’intento europeo – tra l’altro – era proprio quello di finirla col marchio (per tutta la UE) di un Sud Italia più vasta area continentale a più basso reddito e più alta disoccupazione… ma il 34 per cento è la percentuale della popolazione meridionale, quindi si potrà dire che, a tavolino, le proporzioni sono state rispettate.

Già nel 1965, dopo aver vissuto un periodo di crescita ininterrotta, l’economia italiana accusò una prima battuta d’arresto, e i livelli produttivi del Paese gradualmente si assestarono su ritmi di crescita più contenuti rispetto al passato. Le fine del boom economico lasciò un Paese profondamente trasformato sotto tutti i profili, certamente più ricco e moderno, ma segnato dall’esplosione di nuovi conflitti sociali e politici legati alle distorsioni di un modello di sviluppo non adeguatamente pianificato.

Già “adeguata pianificazione”, una visione a medio-lungo termine, senza rincorrere vecchi miti e le “bizze” di nuovi Governatori plebiscitari. Nei prossimi anni, a pandemia debellata, non dovranno essere ricostruiti “edifici bombardati”, strade o portare in casa degli italiani lavatrici e motorette.

Occorre accettare l’idea che non sarà più possibile rimettere in sesto tutto ciò che prima della pandemia era e funzionava, Nord compreso, come ho fatto notare ad una cara amica disperata perché l’industria che produceva imballaggi di plastica causa Covid.-19 ha chiuso licenziando la figlia…la plastica dovrà scomparire prima possibile dall’intero Universo…

Che sia MES, Recovery Fund,… la sfida del “Miracolo della Nuova Economia” è ben più grande, “SI GIOCA A SUD ed è vietato sbagliare anche perché a breve cambierà anche il Presidente della Repubblica e “a naso” sarà difficile avere un novello Einaudi al Quirinale.

Giuseppe De Nicola

Brodo di piccione

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