“Che ce voi fà?”

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È tempo di considerevoli bilanci personali, di decise “sommosse sovversive” del pensiero.

Che vaghi liberamente, che lo faccia almeno lui.

Lui che imbrigliato non è nell’insostenibile morsa di una sorta di ascetismo forzato e non desiderato, di una ragnatela insidiosa, infida e soffocante, che imprigiona tutti quanti ed in maniera inesorabile in un’angusta e desolante cella di massa.

Imparare l’arte saggia della resilienza è un’impresa tutt’altro che semplice in particolar modo per chi, ad un animo caratterizzato da un’inguaribile vulnerabilità, conferisce l’oneroso ruolo di “alter ego sensibile”.

Ho silenziosamente combattutto molteplici battaglie personali, le più complesse, quelle di difficile risoluzione.

Ma dover fare gli asperrimi conti con la solitudine imposta da un nemico senza volto è una storia che non mi era mai stata prospettata.

Nessuno di noi era davvero pronto all’accettazione dell’isolamento forzato.

Nessuno!

Ho la sensazione che questo insulso frammento di 2020 sia l’espressione di un lunghissimo istante di transizione, uno spregevole momento di congiunzione tra l’improvviso materializzarsi delle tanto temute e detestate agonie e gli anelatissimi orizzonti di tregua.

E nel corso di questa impietosa esperienza da galeotta innocente , in perfetta sintonia con le mie naturali ed irrinunciabili inclinazioni, ho scelto con entusiasmo di continuare a scrivere moltissimo.

L’ho deliberatamente fatto perché ho sempre avuto l’inconfutabile certezza che, insudiciare con disinvoltura gli adorati quattro fogli di carta immacolata, fosse un atto di stupenda dedizione dovuto a me stessa, uno dei pochissimi aspetti di vitale importanza per la mia intima sopravvivenza.

La penna, infatti, sin dagli albori della mia giovinezza, non ha mai tradito una fiducia ben riposta e giammai lo farà.

E nel corso di queste interminabili giornate tutte uguali a se stesse, trascorse in uno stato di clausura alquanto deprimente, mi capita di spiegare con fiducia le mie ampie ali al vento, che sono imbastite saldamente con dei fili di fantasia del color degli smeraldi.

Volo verso la mia amatissima Roma, poiché non riuscirei a destinare altre mete a questa volontà spasmodica di evasione dagli snervanti spazi limitati.

Sarei partita per la Capitale in data 9 aprile, come sempre, come tutti gli anni.

Avrei trascorso la santa Pasqua proprio lì, con la mia famiglia, in quella città che mi stacca un pezzetto di cuore per volta e che poi, con la sua spudorata naturalezza, mi chiede di tornare il più presto possibile tra le sue braccia, al fine di rieffettuare l’assemblaggio di tutti quei cocci irrorati d’amore che ha trattenuto con sé per dei mesi interi.

Mi dispiace, amore mio, questa volta dovrò attendere ancora un po’ per rivederti.

Forse avevo inconsciamente preventivato il triste fatto che, prima o poi, sarebbe capitato di rimanere lontane per una quantità di tempo considerevolmente maggiore.

Per questo motivo ho fatto della mia cucina una sorta di “museo della città eterna”, affiggendo alle bianche pareti numerose immagini di ogni tipo: stampe, fotografie, locandine di vecchi film, particolari che non fanno altro che proiettarmi costantemente nei pressi di quei posti che mi hanno resa felice.

E così, tutte le volte in cui mi accoccolo sul piccolo divano di quella stessa cucina, ammiro con pacato sentimento di soddisfazione gli incantevoli volti della Loren e di Claudia Cardinale, ritratte rispettivamente vicino Fontana di Trevi e del Colosseo.

Poi scorgo Mastroianni che s’accosta alla Ekberg, Gregory Peck che fa un giro in Vespa con la raffinatissima Audrey Hepburn e la magnificenza del Pantheon che si erge a signore incontrastato, innanzi all’imponenza dell’obelisco e della meravigliosa fontana.

Esattamente nel corso della giornata di ieri, la becera nostalgia ha preso il sopravvento con accanita ferocia.

Roma mia, ho un disperato bisogno di rivederti!

” Ah ciumache’, e che ce voi fa’? Siete tutti n’a stessa barca. Non è che mo’ se po’ uscì de casa e fa’ tutti quanti come ve pare a voi. Eh no! Qua se rischia che state a sentivve male ner giro de niente. Nun v’azzardate a mette er naso de fori d’a tana, perché poi so’ guai seri pe’ davero. Io ormai so’ morto, che me frega? Ma voi ve dovete rintana’, ve dovete preserva’, ve dovete quatela’. Insomma, nun ve dovete move, ce semo capiti? “

Ah, quasi dimenticavo. Io in cucina c’ho pure un quadretto che ritrae l’immenso Albertone nazionale: giovane, elegantissimo, sorridente.

Se ne sta beatamente col braccio appoggiato sulla balaustra di uno dei ponti che conducono a Castel Sant’Angelo e gode di un fascino brioso ed immortale così prepotente  da mettere di buon umore persino la più logorata delle anime scocciate.

In effetti, già dagli inizi del primissimo pomeriggio, pareva desiderasse esprimere un concetto ben mirato.

Certamente, nella vita, ci si può aspettare veramente di tutto, specialmente nei momenti che presentano le caratteristiche più desuete, fuorché il fatto che i quadri ti offrano un’opportunità di interazione.

Ma va bene così.

Sono ormai abituata alle mie conversazioni surreali.

Anzi, se non avvertissi più quelle presenze bizzarre e paranormali mi sentirei troppo distante da una dimensione che sento particolarmente affine.

” Alberto, mio caro, Dio solo sa realmente quanto vorrei, in questo preciso momento, fare un salto all’interno de sto benedetto quadro per mettermi al tuo fianco. Sono anni che mi guardi dalla tua postazione fissa e che mi tieni buona compagnia con quel sorriso simpaticissimo e contagioso. Non è che per caso me poi fa’ er miracolo di farmi arrivare a Roma anche solo per un istante? “

E che ce vo’, figuramose! 

” Ah ciumache’, io posso fa de tutto oramai, nun c’è sta niente che io nun possa realizza’. So’ uno spirito puro, so’ libero come l’aria che respiri! Orsù, chiudi lesta l’occhi tua. Forza, forza ciumache’! Non solo te porto a Roma con me, ma te ce porto pure senza rischia’ niente!

E così ho avuto piena contezza del fatto che l’immaginazione è un’alleata compassionevole nei peggiori momenti di sconforto, la migliore accompagnatrice nel percorso di scoperta dei dissidi insiti nella propria anima sconfitta.

Quest’ultima è messa a dura prova dall’emergenza disperata e dall’impellente bisogno di una libertà ingiustamente negata.

In barba a questa vile entità sconosciuta ho raggiunto ben presto Alberto Sordi, compiendo un solerte ed immediato balzo con la mente.

Il Tevere pareva straripasse di rabbia.

” Ciumache’, mo’ o vedi? Nun se permette de passeggia’ nessuno nemmeno qua. A li mortacci… Roma sembra er più bel deserto ca’ ce sta ner monno. Godite st’aria imbizzarrita, ragazza mia, godite l’essenza de sta desolazione anomala, na desolazione che ce strappa er core dar petto, ma che pare che intoni pur sempre tutte le beatitudini der Paradiso intero.”

Mi è bastato quello, quello soltanto.

Un breve salto al centro di un ponte con vista sul cupolone e l’interiorizzazione dell’idillio del tramonto più bello al quale avessi mai assistito, uno di quelli che squarcia i pini esattamente a metà, uno di quelli che solo Roma è capace di offrire allo spettatore innamorato.

“Grazie Albe’, ho ricevuto un bellissimo regalo”

“De niente, ciumache’! A prossima vorta ce torni per almeno du settimane, te lo prometto. E stavorta pe’ davvero!” 

Sono in cucina, sto guardando le pareti con nostalgia.

Il COVID-19 avrebbe la pretesa di sottrarre persino la fantasia da quel quotidiano “cogitare” che movimenta l’intelletto.

Ma la nostra volontà detiene armi superiori.

La nostra volontà ci consente di proiettarci parecchio oltre.

Io mi son gustata quindici minuti della mia adorata Roma.

Voi, come me, provate a spingervi sin dove v’accompagna il desiderio.

E mi raccomando, non v’azzardate a tornare indietro per nessuna ragione, almeno fino a quando non sarete veramente saturi di libertà e pericolosamente stremati dalla gioia.

Maria Cristina Adragna 

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Maria Cristina Adragna
Siciliana, nasco a Palermo e risiedo ad Alcamo. Nel 2002 conseguo la Maturità Classica e nel 2007 mi laureo in Psicologia presso l'Università di Palermo. Lavoro per diverso tempo presso centri per minori a rischio in qualità di componente dell'equipe psicopedagogica e sperimento l'insegnamento presso istituti di formazione per operatori di comunità. Da sempre mi dedico alla scrittura, imprescindibile esigenza di tutta una vita. Nel 2018 pubblico la mia prima raccolta di liriche dal titolo "Aliti inversi" e nel 2019 offro un contributo all'interno del volume "Donna sacra di Sicilia", con una poesia dal titolo "La Baronessa di Carini" e un articolo, scritti interamente in lingua siciliana. Amo anche la recitazione. Mi piace definire la poesia come "summa imprescindibile ed inscindibile di vissuti significativi e di emozioni graffianti, scaturente da un processo di attenta ricerca e di introspezione". Sono Socia di Accademia Edizioni ed Eventi e Blogger di SCREPmagazine.

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