Camminando sulla battigia, all’ora del tramonto, mi raccontavi di te, con il sottofondo della musica del mare, in un’unica sinfonia, aprivi la tua anima, ti soffermasti soprattutto ad analizzare l’intervallo tra un sorriso ed un altro sorriso, tra un saluto ed un altro saluto, tra una chiacchierata tra amici e il commiato finale, quella buonanotte che segna spesso l’inizio di un’altra decadentista dimensione.
Mi dicevi che l’intervallo è rappresentato da un vuoto, un vuoto incolmabile.
La tua anima, stanca e affaticata, in quei momenti viene risucchiata come in un astronomico buco nero. Improvvisamente il domani ti sembra un muro invalicabile o un cancello abbandonato e soffocato dalla sterpaglia.
Sono attimi, mi dicevi, ma tanto significativi, tanto drammatici, tanto duri come lo sbattere di porte di acciaio.
L’intervallo cancella in te la speranza, annulla il prima e il dopo e ti fa sentire il peso del tempo, perché il tempo ha un peso.
Mi dicevi, il tempo non ha la pìetas, ti oltraggia e ti violenta attraverso coltellate di solitudine.
L’intervallo ha la ferocia della sua natura primordiale.
Mi sorridevi, ti stavi preparando, dopo i nostri saluti, all’intervallo, esistenziale martirio di una crocifissione laica, ti preparavi ad entrare nel buco nero, a nuotare tra oceani di solitudini, per poi iniziare un nuovo spettacolo, un nuovo maledetto spettacolo che purtroppo ha sempre un applauso finale.
Depths upon Depths.
Mentre tu ti allontanavi, io indugiavo ancora in riva al mare, ma non ricordo assolutamente il corso dei miei pensieri.
Depths upon Depths.
Tommaso Cozzitorto
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