Trecce e treccine

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In questi giorni di vacanza, mentre mi trovo in spiaggia, quasi quotidianamente mi capita di incontrare bellissime donne di colore, africane, giunoniche presenze che si fermano sotto gli ombrelloni offrendosi per realizzare quelle treccine particolari che vanno tanto di moda durante il periodo estivo. Sono soprattutto le adolescenti a subire il fascino di questa singolare acconciatura che consiste in un intreccio di capelli a distanza ravvicinata dal cuoio capelluto. Esistono tre tipi di treccine africane: African braids, lunghe e sottili, le dreadlocks, quelle rasta e giamaicane, infine le treccine che partono dalla radice e formano dei disegni sulla nuca.
Per noi donne occidentali questo tipo di acconciatura rappresenta soltanto una moda che però ci porta lontano e ci dà modo di scoprire antiche credenze e tradizioni che ci riguardano più da vicino.
Sembra che per tenere a distanza la tristezza dalla nostra vita, in tempi lontani esistesse un modo assolutamente non dispendioso che non comportava difficoltà di nessun genere. Quando la malinconia iniziava ad essere insopportabile, era sufficiente mettersi davanti ad uno specchio ed intrecciare i capelli, in una o più trecce. Cosí facendo, la tristezza trovava le sue catene in quanto veniva imprigionata tra i capelli e non poteva fuggire per colonizzare altre parti del corpo. Tutto ciò perché, se la tristezza riusciva a raggiungere gli occhi, allora era facile abbandonarsi al pianto, se trovava asilo sulla bocca, ci poteva essere una possibilità che venissero dette cose non vere; se, infine, le mani incontravano la tristezza, allora la donna avrebbe perso tutto il suo garbo in cucina, poiché ogni pietanza realizzata avrebbe avuto un pessimo sapore. Si diceva che la tristezza avesse grande affinità con tutto ciò che è amaro. I capelli, poi, andavano liberati dalle trecce, solo quando il vento avrebbe soffiato da Nord. Sarebbe interessante sapere come si fa a capire la direzione del vento.
Per le donne africane le treccine, che consistono in una vera e propria acconciatura, hanno un significato ben preciso perché, non solo identificano una specifica comunità, ma indicano l’età, la posizione sociale, lo stato civile e anche un riferimento religioso. Bisogna anche in questo caso andare indietro nel tempo durante la tratta degli schiavi nell’Atlantico. Alcuni schiavi venivano costretti a radersi i capelli mentre altri li intrecciavano disegnando sul cuoio capelluto diversi disegni geometrici. Ma c’è dell’altro. Pare, infatti, che questi disegni fossero vere e proprie mappe realizzate per sfuggire al lavoro nelle piantagioni, con sentieri e vie di fuga per superare tutti i possibili ostacoli. Cosí gli uomini, osservandole, erano capaci di capire quale fosse la via migliore per ottenere la libertà. Ma addirittura sembra che si potesse anche trattare di messaggi di libertà nel tentativo disperato di fuggire dalle tenute e dalle case dei loro padroni. Infatti se l’intreccio avveniva nella parte superiore ed era stretto al cuoio capelluto, si voleva far capire l’intenzione di fuggire. Tra i capelli si trovava il modo di nascondere semi e pepite d’oro per sopravvivere durante il periodo della fuga.
Ho sempre amato le trecce, infatti da bambina era la mia acconciatura preferita soprattutto d’estate perché mi faceva sentire ordinata. Ma a pensarci bene, le donne anziane un tempo erano solite intrecciare i capelli in due lunghe trecce per poi fermarle sulla nuca con sottili ferretti. Chissà forse era questo il modo migliore per tenersi lontane dalle tristezze della vita.

Piera Messinese

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