Le aspettative nella visione di una pellicola di Sorrentino sono sempre molto alte, la sua è una ricerca scrupolosa nella definizione dei dettagli, dalle inquadrature alla fotografia, alla scelta della colonna sonora, inclusi i momenti folcloristici, definiti sempre con stile, suscitando una certa ilarità corale. Fin dagli esordi si è impegnato con i suoi personaggi nella ricerca delle contraddizioni dell’uomo contemporaneo. Personaggi in prima battuta annoiati si rivelano in lotta con il mondo, attirati dalla ricerca del potere e dalla voglia di essere accettati e riconosciuti dalla società. Personaggi immancabilmente pervasi dal dolore e da un senso di decadimento.
Nel suo nuovo film ‘Parthenope’, Sorrentino è inciampato in quelli che fino ad ora sono stati suoi punti forza, cadendo in un eccesso di personalismo e di autoindulgenza. Notevole per la dimensione estetica, come vuole la tradizione sorrentiniana, ma troppo artefatto e sospeso, si ha la sensazione che il regista, alla ricerca di nuove vertigini professionali – dopo aver conquistato l’Oscar con “La Grande Bellezza” – abbia voluto osare e confezionare un prodotto pronto per essere candidato all’Oscar!
La pellicola è incentrata sulla protagonista femminile, Parthenope, metafora della sirena fondatrice della città di Napoli, nel suo percorso dall’adolescenza (interpretata dalla bravissima Celeste Dalla Porta) all’età matura (con una impeccabile Stefania Sandrelli).Un viaggio mentale che parte dalla seconda metà del Novecento per arrivare ai giorni nostri.
Accantona le sue grandi doti di sceneggiatore e di scrittore, e ci illustra una sequenza incessante di “situazioni” fotografiche. Ma non si tratta di fotografie ‘dinamiche’ intrise di ricchezza emotiva, ma veri e propri scatti promozionali su Napoli, Capri, sui protagonisti e le comparse presenti nel film.
La “narrazione” è sostituita da un susseguirsi di frasi ad effetto (a volte anche banali), che si traduce in un film poco decifrabile, per alcuni aspetti algido che non rende giustizia alla sua prima esperienza di regia con una protagonista femminile.
Lo sguardo di Parthenope, sempre uguale a se stesso, misterioso, contemplativo, intento ad osservare personaggi che la circondano, rende la visione un pò faticosa, considerata la durata della pellicola.
Ma il cinema in fondo deve stupire! E in questo Sorrentino centra l’obiettivo. Ma dopo lo stupore il cinema deve anche comunicare, lo deve in quanto settima arte, linguaggio espressivo globale che consente allo spettatore di connettersi con un mondo diverso dal reale e “raggiungere le stanze segrete dell’anima”.
E quello che manca a questo film è proprio quell’impulso narrativo che accompagna lo spettatore. Il film scorre lento mentre alla protagonista Parthenope, che per bellezza e intelligenza poteva avere tutto senza chiedere niente, il tempo sfugge, come la giovinezza, sempre troppo breve, senza arrivare ad un punto fermo della sua vita. Forse perchè troppo bella e intelligente? Un pò semplicistico! O per il suo accostamento alla città di Napoli dove, si recita nel film, “E’ impossibile essere felici”. Riducendo il tutto ad una frase-sentenza, magari utilizzata come posa!
Nel momento in cui il regista Sorrentino decide di addentrarsi nella mente femminile dovrebbe svestirsi della sua dichiarata pigrizia ed essere più intraprendente e coraggioso, spulciare dai suoi famosi appunti e aprirsi al suo pubblico, ritrovando ad esempio la sincerità emotiva del film “E’stata la mano di Dio”.
Così come lo fa con la sua città e i napoletani (il breve monologo di Luisa Ranieri su Napoli è stato esilarante) o nella scena spiazzante sul figlio di Silvio Orlando, nei panni del professore di antropologia di Parthenope (scena da interpretare lanciando un simposio pubblico, sarebbe divertente!). E perchè non farlo anche con Parthenope! I tanti (troppi) aforismi utilizzati non fanno altro che alimentare le tante zone grigie intorno alla figura della protagonista e alla rappresentazione della suo diventare donna.
Da estimatrice convinta del regista ho grande nostalgia dei suoi primi film e di quei momenti verità che hanno fatto del monologo di Tony Servillo ne “L’uomo in più” e nel celebre “Il Divo” uno dei registi più rilevanti dell’attuale panorama italiano.