Pazzi

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Quella dei manicomi, chiusi definitivamente dalla legge Basaglia, è una triste pagina della nostra storia! Un mondo parallelo, dove si gettavano i rifiutati, i disagiati di una società sempre più di corsa. Bastava davvero poco per entrarci e difficile uscirne, senza il marchio o la vergogna della follia. Un semplice certificato del medico di base, spalancava la porta a coercizioni, letti di contenzione, medicinali non appropriati (scaduti o ritenuti dannosi per la salute dal Ministero della sanità e ritirati dal mercato), elettrochoc, coma diabetico indotto tramite veri e propri bombardamenti di insulina, in soggetti fisicamente sani. Tutto questo spesso, finiva con la morte del paziente e anche all’occhio più distratto non appare così strano questo triste epilogo. Colpiti da una malattia dell’animo, i pazzi, non sempre erano tali. In realtà, qual è la linea di confine tra la vera follia e il malessere del vivere quotidiano? Chi non è un medico psichiatra non può rispondere a questa domanda, vero è che finivano in manicomio tutti coloro che non rispondevano ai canoni di una società che non li voleva, anzi li temeva! Per cui, negli stessi reparti, era facile incontrare “la saponificatrice” tale Leonarda Cianciulli, la quale era dedita sciogliere le sue vittime nella soda caustica per farne sapone, esperimento mai riuscito e che del sangue, ne faceva deliziosi dolcetti impastati con farina, zucchero, uova e cioccolato, lei stessa, durante il processo, ammise di averli mangiati insieme al figlio Giuseppe. Insieme a lei c’era anche la giovanissima Laura, una sedicenne, nona ed ultima figlia di una famiglia disagiata. Sulla sua testa, poggiavano nove fratelli che probabilmente pretendevano troppo da lei. La sua famiglia pensò di mettere fine alle sue ribellioni, chiudendola in un manicomio, poiché la donna che si ribellava alla legge non scritta del predominio maschile, poteva solo essere pazza (questo mi fa venire in mente la più famosa, Giovanna La Pazza, che in realtà pazza non era affatto ma chiedeva che le donne fossero trattate con rispetto ed eguaglianza. Fu il suo stesso figlio a definirla tale,  per cui la prima “diagnosi” avveniva in famiglia). Torniamo alla piccola Laura la quale subì terapie feroci, mirate a renderla calma e ubbidiente, innumerevoli furono gli elettrochoc e il coma diabetico indotto, per piegarla e renderla come la famiglia voleva che fosse. Infatti i vari trattamenti furono autorizzati proprio dai genitori. Ogni volta ne usciva domata e stanca, come una leonessa dopo un combattimento, quando poi, il suo istinto ribelle riaffiorava, le torture ricominciavano. Nella loro ignoranza, i genitori, pensavano di renderle un favore, in realtà, la giovane, uscì dal manicomio morta, a soli 21 anni. Il cuore di quella guerriera non aveva sopportato più e si era fermato. Quando un paziente lasciava questa terra, nei certificati medici, spesso si liquidava la faccenda con una diagnosi di morte per infarto, collasso, arresto cardiaco ma mai cosa aveva provocato la morte, quasi fosse stato un evento naturale ma ormai, documenti e ricerche, dimostrano che non è così.
Carmelo, entrò in manicomio all’età di 24 anni, soffriva di depressione, causata dalle privazioni e la miseria del secondo conflitto mondiale. Il suo animo sensibile non aveva superato la paura e la fame, subite in quel frangente. A 36 anni ne uscì morto. La notizia della sua morte, giunse dopo tre giorni, il referto parlò di infarto, la cosa strana è che avrebbero potuto comunicarlo tempestivamente con un telegramma, ma quando i parenti si recarono in manicomio, a recuperare la povera salma, la trovarono distesa su di un marmo, completamente nuda e in avanzato stato di decomposizione. Forse in quel caso, i responsabili della sua incolumità, cercavano una risposta convincente da dare alla famiglia per giustificare il decesso di un uomo dal fisico giovane e sano. Forse fu ucciso con un fendente, forse strangolato e chi lo sa?
E degli “scemi di guerra” avete mai sentito parlare? Si trattava di poveri giovani soldati che restavano in stato di choc a causa dei bombardamenti, in trincea. Con poca considerazione, si portavano in manicomio, dove subivano elettrochoc continui, perché serviva carne da macello da rinviare al fronte. Anche se ancora in stato catatonico, i medici ne decretavano la guarigione rimandandoli a combattere. Non erano soldati, ma solo dei muti fantocci, destinati a soccombere alla prima occasione.
E poi Antonia, bruciata viva sul suo letto di contenzione, dopo che per ore aveva chiesto un bicchiere d’acqua inutilmente. Era legata da giorni, su un materasso inadeguato che bruciò come un cerino. Il suo caso, aprì a diverse interrogazioni parlamentari, processi e indagini che alla fine, sciolsero da ogni accusa, i medici e infermieri, ritenuti in prima responsabili della sua morte. La terribile fine della povera donna, portò l’allora ministro Basaglia, a chiudere i manicomi che sempre più finivano nell’occhio del ciclone. La legge è datata 13 maggio 1978, una vittoria, si potrebbe dire ma ancora oggi c’è molto da fare. Una società civile è quella che non abbandona i deboli, anche se purtroppo, la vita corre in fretta , occorre fermarsi a pensare, liberarsi dalla veste dell’indifferenza. In altri casi, le famiglie che intendono occuparsi di chi sta male, restano da sole, basti pensare che l’Italia si trova solo al ventesimo posto in quanto a spese per la cura della malattia mentale e quasi tutto il peso ricade sulle famiglie.

IN FOTO

L’ospedale psichiatrico Materdomini, al confine tra Nocera Superiore e Roccapiemonte (Salerno), prima di essere convertito in casa-famiglia dal direttore Pasquale Palumbo, in una immagine di repertorio. Quaranta anni fa si chiudeva definitivamente l’era dei manicomi in Italia. Una ‘rivoluzione’ resa possibile dalla legge 180 del 13 maggio 1978, che porta anche il nome dello psichiatra che la promosse, Franco Basaglia.

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