Non è più novembre, non è più in corso il mese che, secondo la migliore tradizione siciliana, prevede l’acquisto della cosidetta “pupa di zaccaru.”
Ma il ricordo si è presentato questo pomeriggio.
Dunque…
Buona lettura.
Soffermandosi a riflettere attentamente, ci si accorge di quanto mistero possa celarsi nel profondo di un bambino e di quante infinite e affascinati sfumature siano arricchiti e pervasi i dolci anni dell’infanzia.
Quarant’anni. Non oserei definirmi una donna che ha tutto già compreso di questa ingarbugliata esistenza ma, certamente, la creatura ignara e vestita di nient’altro che di sogni e di ingenuità ha ormai da tempo immemore ceduto il posto ad un alter ego consapevole.
Ahimè, nulla è immutabile. Il tempo trascorre inesorabilmente, modificando persino la percezione della realtà.
Come sarebbe bello, per un istante, se ci venisse concessa l’opportunità di osservare le cose con gli occhi della fanciullezza.
Quale nuovo universo, dal sapore di antiche rimembranze,si rivelerebbe innanzi a noi?
Quali emozioni accantonate (ma custodite) saremmo ancora in grado di avvertire intatte nell’intimo di noi stessi?
Potrebbe essere sufficiente chiudere per un attimo i miei occhi, quelli intorpiditi dall’esperienza, e viaggiare semplicemente a ritroso, finchè non mi sarà possibile giungere innanzi alla soglia di quel piccolo negozio.
Ecco,ci sono.
“Accura, ‘un t’appuiari chi c’ allordi la vitrina. Mettiti chiù pagghiriccalìddu, un ti fari diri mali paroli di lu patruni. Si m’attenti e fa la brava ,ti purmettu chi trasemu e chi t’accattu chidda chi voi tu, puru si costa assà, un ci fa nenti, li morti na vota l’annu vennu, u regalu t’attocca.”
Così mi si rivolse mia nonna, in una delle tante occasioni in cui concedevamo a noi stesse l’opportunità di trascorrere del tempo prezioso insieme.
Stavo lì, al di là di un vetro, ad osservare la tanto anelata “principessa zuccarata”, la pupidda che era possibile acquistare solo una volta ogni dodici mesi.
Poi basta,non rimaneva che attendere con ansia l’avvento dell’anno successivo.
“Quali vo? Quali ti piaci? Chidda vistuta di russu ti l’accattavi l’annu scorsu, canciamu, pigghiamu chidda dà ‘n capu, chidda cu l’abitinu celesti”
Mi prometteva che avremmo scelto quella che più avrebbe rispecchiato i miei gusti personali e invece,sistematicamente,si finiva col portare a casa proprio la bambola che più piaceva a lei…e solo a lei.
Tant’è che ,ancora oggi,mi domando chi delle due fosse la vera bambina.
Non perse mai quel desiderio che la spingeva a trasmettermi l’impagabile valore delle tradizioni.
Assaggiavo soltanto un piccolo pezzo di quelle “damine dolcissime” poichè,seppur il desiderio di mangiare un pò di più si rivelasse con forza,nella mia testa echeggiavano quelle parole che sembrava volessero imporsi con fermezza: ” Un ti ni pari piccatu a rumpila? Talà ch’è bedda! Chissa ‘un è chi s’accàtta pi essiri manciata, s’accattà pitalialla e pi ricordu. Puru picchi,st’attenta, si ti ni manci troppu assà ti satanu li renti… troppu zuccaru c’è”
E allora fantasticavo, rimanevo per diversi minuti ad ammirare “a pupa rì zuccaru,facendo finta che fosse una bella principessa, momentaneamente allontanatasi dal suo regno.
Poi ,”a na vutata r’occhi”, ci spizzuliava un piruzzu, poi na manuzza, poi un pizzuddicchiu rì facci.
E mia nonna tornava a borbottare tra sè : “sta picciridda ‘un attenta a nuddu.
‘ N cuscienza, da bedda pupa!”
Quarant’anni.
Cosa saranno mai i miei quarant’anni se,ancora adesso,mi abbandono in balia di una forte emozione, mentre sosto innanzi alla vetrina di quel negozio con mio figlio?
Alter ego consapevole e plasmato dagli effetti della razionalità?
Ma no, ma quando mai.
Sugnu chiù picciridda di me nanna, picchì si me figghiu voli la pupa cu la vesta gialla iu ci ricu chi è chiu bella chidda cu la vesta russa.
Almeno ora, dopo trent’anni, riesco a portare a casa la mia preferita.
Maria Cristina Adragna