“La grande bellezza”: da Sorrentino all’effettivo declino

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” La grande bellezza” è un film realizzato nel 2013, diretto magistralmente dal regista campano Paolo Sorrentino.

La sceneggiatura è stata curata al meglio dallo stesso, in stretta collaborazione con Umberto Contarello.

Il film fu presentato al festival di Cannes, nel 2013.

In quella occasione vinse il premio Oscar come miglior film straniero.

Successivamente si aggiudica il golden globe di BAFTA nell’analoga categoria, quattro European film Awards, nove David di Donatello e cinque nastri d’argento.

“La grande bellezza” presenta, al cospetto degli intenti indagatori dello spettatore, un poliedrico e sfaccettato scenario che si spalanca sulla città di Roma.

L’estate imperversa con la sua incontrastata indole svogliata e Jep Gambardella, affascinante giornalista sessantacinquenne, dedito da sempre ad ozio e mondanità, si aggira pensoso per le vie della capitale.

Il suo animo subisce le ripercussioni degli effetti di una vita dominata da sregolatezze e da precarietà relazionali.

S’avvale quasi esclusivamente della compagnia di una ristretta cerchia di buoni amici, ciascuno dei quali si ritrova a fare, alla sua stessa stregua, i conti sistematici con le devastazioni di un’esistenza effimera.

Roma, maestosa dea muta, assiste inerme alle umane vicende dei protagonisti, tutt’altro che gratificanti e degne di lode.

Le abitudini di vita licenziose e moralmente discutibili vengono spesso confuse con una ben precisa modalità di gestione delle proprie azioni, improntata sul dilagante sentimento di libertà.

Ma i duri scontri quotidiani con l’amara e misera realtà inducono il Gambardella, quasi inconsapevolmente, ad inoltrarsi nei meandri della ricerca di un senso più profondo.

È come se la sorte benevola, ad un certo punto,
arricchisse il suo percorso con incontri significativi, affatto casuali: la scoperta del decesso del suo primo amore, in seguito all’inaspettasta visita del coniuge di quest’ultima, il rapporto disinteressato con Ramona, giovane figlia ammalata di un suo vecchio amico, il pacato alterco con un alto ed influente prelato, le immagini purissime di un gruppo di suore all’interno del giardino degli aranci, sull’Aventino.

Tutte esperienze desuete, molto distanti dal suo personale modo, di gran lunga differente, di far fronte ad una quotidianità dominata dall’anarchia.

È così che, Jep Gambardella, avverte l’impellente esigenza di cercare ” La grande bellezza”.

La troverà nella maturata decisione di tornare a scrivere un romanzo, il secondo di tutta una vita, dopo aver volutamente rinunciato, per interminabili anni improduttivi,
a convertire su carta bianca i complessi codici della sua interiorità più profonda.

Il film di Sorrentino mostra una Roma mozzafiato, lasciva e pudica allo stesso tempo,
irriverente, sobria, misteriosa, soggetta ad un peggioramento radicale, espressione di una società incapace di essere fautrice di riscatti positivi.

Una Roma, malgrado tutto, inevitabilmente coinvolgente e sconvolgente.

Non ho mai fatto mistero dell’amore immane che mi lega alla città eterna.

Tutte le volte in cui faccio ritorno tra le sue braccia, ho la sensazione di ricominciare veramente a respirare.

Ciò accade da parecchio, nonostante lo stato di spiacevole declino nel quale versa da qualche tempo.

Mi è stato chiesto molto spesso come mai, seppur in tante zone sia palese un assetto degradante, io continui a ripresentarmi in almeno due occasioni all’anno.

La mia risposta è sempre la stessa:

” se chi amate alla follia, in seguito ad una malattia invalidante, dovesse momentaneamente smarrire gran parte della sua avvenenza, voi, l’ amereste di meno?

Questa è Roma 

Giace la Dea muta
sul frastuono dell’incanto. 
Angeli su un ponte,
quiete sulle sponde,
marmo reso vivo,
echi di infinito.

Pini lacerati
dagli squarci dei tramonti,
sassi levigati,
tuniche aleggianti ,
tempo prigioniero,
strascichi d’Impero.

Suoni percepiti
da chi ha
gli orecchi altrove,
secoli assemblati,
anime latenti,
albe e santità,
cieli senza età.

Roma è spudorata
come fosse una puttana,
terra di chiunque
lasci l’anima da parte,
solo per chi ha cuore
lei diventa puritana,
nuda e delicata,
pietra fatta ad arte.

Maria Cristina Adragna

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Maria Cristina Adragna
Siciliana, nasco a Palermo e risiedo ad Alcamo. Nel 2002 conseguo la Maturità Classica e nel 2007 mi laureo in Psicologia presso l'Università di Palermo. Lavoro per diverso tempo presso centri per minori a rischio in qualità di componente dell'equipe psicopedagogica e sperimento l'insegnamento presso istituti di formazione per operatori di comunità. Da sempre mi dedico alla scrittura, imprescindibile esigenza di tutta una vita. Nel 2018 pubblico la mia prima raccolta di liriche dal titolo "Aliti inversi" e nel 2019 offro un contributo all'interno del volume "Donna sacra di Sicilia", con una poesia dal titolo "La Baronessa di Carini" e un articolo, scritti interamente in lingua siciliana. Amo anche la recitazione. Mi piace definire la poesia come "summa imprescindibile ed inscindibile di vissuti significativi e di emozioni graffianti, scaturente da un processo di attenta ricerca e di introspezione". Sono Socia di Accademia Edizioni ed Eventi e Blogger di SCREPmagazine.

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