Intervista a Mario Blaconà giornalista, critico e presentatore cinematografico con esperienza pluriennale presso testate come Filmidee e FilmTv.
Blaconà Collabora attualmente con il Centro Culturale San Fedele di Milano ed è regista di cortometraggi di finzione e documentari. Il suo corto CHI DI VOI NON É NATO QUI descrive Il Satellite, uno dei quartieri più multiculturali di Pioltello, un paesino alle porte di Milano.
Tante culture, abitudini e modi di pensare si mescolano, non senza intrecci. Infatti il Satellite è caratterizzato da dinamiche molto complesse, come raccontato da coloro che le hanno vissute in prima persona. I più giovani però nutrono grandi speranze nel futuro. Il corto è giunto in Semifinale allo Young Film Market (mercato europeo per il cinema giovane e indipendente).
Buongiorno Mario e prima di tutto grazie per aver accettato l’intervista.
Lei lavora come programmatore e critico cinematografico.
Consapevolmente è nata mentre frequentavo l’università. Parlando con molti miei amici mi accorsi che per un motivo o per un altro il cinema era la cosa che mi entusiasmava più di tutte, non tanto per la sua capacità di intrattenere, quanto perché era il mezzo attraverso il quale riuscivo a riflettere meglio sulla realtà. Da lì ho cominciato a frequentare corsi e a leggere più libri che potevo per rendermi più consapevole in merito. Poi ho cominciato a occuparmi da volontario di un piccolo cineforum vicino casa e da lì è iniziato tutto.
Non sono mai stato un grande fan dei social network, molti gruppi di cinema propongono un’idea di cinema fin troppo massimalista, non permettendo approfondimenti necessari su un’arte complessa come questa. Il cinema è difficile, stratificato, ridurlo a qualche foto di star su facebook l’ho sempre trovato un po’ svilente. Poi certamente ci sono delle eccezioni, ma nella maggior parte dei casi preferisco leggere un buon articolo sui magazine che seguo, oppure leggere dei saggi in merito, piuttosto che scorrere sui social.
Sono molteplici, il cinema documentario di Vittorio De Seta forse è in cima alla lista, ma anche la nouvelle vague francese, il cinema d’impegno civile di Francesco Rosi ed Elio Petri, Chantal Akerman, i capolavori di Pier Paolo Pasolini, il cinema novo brasiliano, il cinema giapponese di Yasujirō Ozu, il dogma 95 di Von Trier. Per Chi di voi non è nato qui mi sono parzialmente ispirato al cinema del reale di Nicolas Philibert.
Molto importante. Il cinema è stato un compagno di giochi fondamentale mentre ero bambino. Mio zio aveva una collezione infinita di vhs a casa dei miei nonni, ogni volta che andavo a trovarli ne guardavo a palate. Ricordo che durante i mondiali del ’94 mentre tutti gli amici e parenti erano in sala a vedere la partita io rimanevo in camera a vedere Indiana Jones e l’ultima crociata, e a ogni turno in cui giocava l’Italia io guardavo sempre quel film. I primi segnali del mio disturbo ossessivo compulsivo per i film, che dura tutt’ora.
Purtroppo no, abbiamo provato a farne un lungometraggio documentario ma non ce l’abbiamo fatta, però è stata comunque un’esperienza importantissima, e poi in futuro chissà.
Come attività principale proponiamo i film più interessanti della stagione passata. Dopo la proiezione c’è sempre il dibattito con il pubblico, che è un po’ il punto più identificativo di un cineforum che funziona, poi tangenzialmente organizziamo rassegne tematiche o proiezioni singole dove quando riusciamo invitiamo i registi o gli attori. A Milano per esempio abbiamo ospitato Marco Bellocchio, Silvio Soldini, Edgar Reitz, Arianna Scommegna e molti altri. Cerchiamo di coinvolgere ragazzi giovani il più possibile, onde evitare che l’esperienza della condivisione rimanga relegata alle vecchie generazioni. E’ una battaglia, perché i ragazzi oggi tendono a evitare la condivisione cinematografica, ma non smettiamo mai di combatterla.
Nel caso del Satellite di Pioltello parliamo in realtà di situazioni paradossalmente in espansione. Chi di voi non è nato qui mostra un po’ le potenzialità dell’Italia del futuro, in cui non esiste più un’idea di italiani bianchi caucasici a tutti i costi, ma piuttosto un congiungimento di culture ed etnie diverse, che non per questo sono meno italiane. Io credo che questo cammino sia inevitabile e,se verrà gestito come la ricchezza che è, anche promettente per un’Italia diversa e più inclusiva. Il documentario cerca proprio di mostrare questo. Certo, mostra anche le difficoltà di questo incontro, ma è tutta questione di forma mentis, quando la generazione dei nostri padri non ci sarà più forse il punto di vista di quella nuova permetterà un’integrazione vera.
Il cinema, quello vero, può è deve creare una resistenza nei ragazzi, il che vuol dire che non deve limitarsi a fornire uno spettacolo, ma un modo per concepire la realtà in modo diverso. Lo spettatore deve anche fare un po’ fatica mentre guarda un film, altrimenti non ne uscirà mai veramente arricchito. Diciamo che a questa domanda si potrebbe rispondere con le parole del grande filosofo francese Gilles Deleuze: “Cosa è l’informazione? Non è molto complicato, tutti sanno cos’è. L’informazione è un insieme di imperativi, slogan, indicazioni: parole d’ordine. Quando sei informato, ti dicono cosa dovresti credere. La controinformazione è efficace solo quando diventa un atto di resistenza. Un’opera d’arte quindi non può avere nulla a che fare con la comunicazione. Un’opera d’arte non contiene la minima informazione. Al contrario, c’è un’affinità fondamentale tra un’opera d’arte e un atto di resistenza. “
Che non credo sia vero. Il cinema italiano è uno dei più interessanti d’Europa e quindi del mondo, e affronta temi molteplici. Pensiamo solo a Martin Eden di Pietro Marcello, o a Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher, cinema d’autore di ricerca apprezzato in tutto il mondo, oppure anche il cinema del reale di Gianfranco Rosi o Roberto Minervini, per non parlare di giganti come Garrone, Sorrentino, Guadagnino. Il problema del nostro cinema oggi è che il pubblico italiano non sa cosa sia veramente, perché veniamo da anni di impigrimento dello sguardo, gli spettatori non riescono più a riconoscere il cinema come un tempo, e da qui proviene il fraintendimento rispetto al fatto che il cinema in Italia siano solo gli Ozpeteck, i Muccino o altri mestieranti manieristi che fanno lo stesso film da vent’anni.
In generale non posso che dire Pier Paolo Pasolini, per il ruolo sempre rivoluzionario che dava alle sue opere.
Non sono un fan degli attori di solito, credo che ogni attore sia più o meno bravo in relazione al regista che lo dirige, ma se dovessi fare un nome penso che direi Elio Germano.
Purtroppo le piattaforme di streaming segneranno la fine del cinema, o meglio, la sua marginalizzazione. Andare al cinema nel giro di un paio di decenni diventerà come andare a teatro. Questo anche perché il cinema sta smettendo di essere un’arte popolare, ruolo in cui viene soppiantato sempre più dalla serialità.
Ho scritto un soggetto per un lungometraggio di finzione sulla nascita delle Brigate Rosse nel famoso “Appartamento” di Reggio Emilia. Il progetto è stato selezionato all’Olbia Film Network, sono alla ricerca di una produzione che creda in questa storia.
Non ho ancora visto Nomadland, ma molti colleghi che lo hanno visto a Venezia mi hanno riferito che è un film molto patinato, che maschera la finzione da realtà, gioco molto pericoloso. In generale questa distinzione credo non debba più esserci nel cinema. Che si tratti di cinema del reale o fiction deve esserci comunque autenticità, altrimenti a cosa serve fare film?
Il corto Chi di voi non è nato qui è disponibile al seguente link
Sandra Orlando