Il mio incontro con Dante

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Non ho intenzione di entrare nella storia letteraria, filosofica, politica, morale di un “Dio dell’Olimpo Letterario Italiano“, non sono una critica letteraria.

Nella giornata dedicata a Dante Alighieri, desidero di più condividere un mio personale ricordo lontano, un ricordo al quale torno sempre volentieri perché è legato alla scoperta di un amore
Notte del 24 marzo 1300, Dante Alighieri si addormenta, sogna.
Si perde in una selva oscura era a metà della sua vita.
Un uomo di 35 anni, vicino all’esilio dalla sua Patria, alla condanna al rogo, deluso dalla politica e dalla Chiesa, in poche parole perso, un uomo alla ricerca forse di sé stesso, di una redenzione che avverrà solo con un cammino lungo e tormentoso attraverso la natura umana mimetizzata in gironi e personaggi.

Dal basso degli inferi, dei propri inferi passando per il perdono,
della purificazione e dell’espiazione,
fino al cielo del Paradiso.
Due guide lo accompagneranno nel viaggio.
Virgilio il poeta dei poeti e Beatrice il grande amore.
Ma torniamo ai miei ricordi.
Ho fatto il mio primo incontro con Dante a 12 anni, in seconda media.
Avevo una professoressa di italiano con la fissa della Divina Commedia, o Commedia semplicemente come ella preferiva chiamarla, spiegandoci che era il titolo originale che il poeta fiorentino aveva prediletto per la sua opera più longeva, quella che aveva impiegato più tempo a completare, quella che nascondeva storia e miti.
L’appellativo Divina le fu aggiunto solo nel XVI secolo.
Frequentavo una scuola sperimentale con l’orario lungo, fino alle 16.30 del pomeriggio con insegnati all’epoca giudicati alternativi, oggi diremmo all’avangardia.
La nostra insegnate ci leggeva la Commedia
come se fosse un romanzo avvincente,
un romanzo di avventure e amori,
di riscosse personali,
pietà e compassione.
Io, adolescente timida, introversa e vergognosa, improvvisamente mi ritrovavo in quei passaggi complicati ma resi facili dalla sua lettura, dalla sua interpretazione e dall’interpretazione che faceva fare a noi.
Una specie di psicodramma anni ’80.
Una volta a settimana, il martedì pomeriggio per l’esattezza, dalle 14.30 alle 16.30, noi diventavamo “la Commedia“.
All’inizio prendemmo l’iniziativa con sospetto ma dopo un paio di prove, tutto divenne più semplice. Ridevamo tanto fino alle lacrime… di gioia o commozione.
Non posso trascrivere tutti i canti della Commedia, impossibile naturalmente.
E neanche posso elencare tutti quelli che ho amato di più imparandoli a memoria.
Tuttavia, nei giorni in cui il nostro mondo sembra aver perso la retta via, dove smarriti ci ritroviamo con “buttati nei nostri inferni” mi vengono alla mente i versi finali di ogni cantica, diversi da tutti gli altri.
La struttura della Commedia, in breve, è fatta di tre cantiche suddivise in canti: 34 per l’Inferno, 34 per il Purgatorio e 33 per il Paradiso.
La metrica è quella della terzina incatenata.
Tuttavia ogni cantica si conclude con un solo verso, ed è sempre un verso di speranza, una dedica alle stelle.
Quando Dante esce dall’Inferno dopo aver visto Lucifero, dice:
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Quando purificato, lasciato Virgilio e con al fianco Beatrice, esce dal Purgatorio, dice:
Puro e disposto a salir a le stelle.
Ed infine dopo la lode alla Vergine Maria, redento e ricco d’amore, dice:
E l’amor che move il sole e l’altre stelle…

Lucia Simona Pacchierotti

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