Vacanze, appena finita la scuola, ancora in pena per la pandemia è iniziata la corsa per prenotare una casa, un albergo, una residenza in cui trascorrere le agognate vacanze. Altri vorrebbero andare all’estero ma forse sarebbe meglio, per quest’anno fare vacanze in Italia per aiutare la nostra economia legata al turismo.
Gli uomini da molti secoli ormai hanno l’abitudine di trascorrere in un luogo diverso dalla normale abitazione i giorni che decidono di trascorrere lontani dal lavoro abituale.
Gli antichi romani, naturalmente non tutti ma quelli che se lo potevano permettere, lasciavano il logorio della vita cittadina, per trascorrere un po’ di tempo in ville nella campagna, non lontano dalle città o in località sul mare e si dedicavano a passeggiate o ai bagni termali, molto in uso in quegli anni. Molti romani avevano ville lussuose ad Ercolano, Stabia, e in zone vicine, spazzate via dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C.
Prima di questa tragedia, nelle ville della zona si trascorreva l’otium, così veniva chiamato il tempo in cui l’uomo poteva dedicarsi a cose piacevoli e distensive, avendo momentaneamente abbandonato il negotium, cioè i traffici, gli affari connessi con l’attività lavorativa. Nelle ville molti si dedicavano a questioni personali, i più colti si dedicavano alla filosofia e alla lettura di classici.
Per molti secoli la vacanza venne trascorsa in questo modo che rispondeva al bisogno di lasciare per un po’ di tempo il mondo degli affari o delle città. Ci furono anche molti periodi di guerra che impedirono viaggi e spostamenti di piacere.
Nel Settecento diventò di moda il Gran Tour, così veniva chiamato un lungo viaggio, che durava anni, che i giovani europei destinati ad importanti cariche pubbliche facevano in Europa, soffermandosi soprattutto in Italia. Il viaggio aveva un fine formativo e particolarmente formative erano considerate le bellezze italiane, naturalistiche e artistiche.
Le vacanze al mare che oggi vanno tanto di moda, in passato non si conoscevano. Il mare non era considerato luogo di piacere e di divertimento, piuttosto suscitava paura e diffidenza. Il mare era luogo di naufragi ed eventi catastrofici. Nelle opere di molti autori è definito “poco sociale”, anche W. Shakespeare intende il mare come luogo di tempeste e di naufragi.
Le cose cambiarono quando alcuni medici, in Inghilterra, pensarono che il mare avesse proprietà benefiche per alcune patologie e si iniziò a consigliare il mare come cura. Immergendosi nell’acqua, però, si notò anche la piacevolezza del contatto dell’acqua con la pelle e si iniziò a frequentare le spiagge già dai primi dell’Ottocento, pare che in Italia il primo stabilimento balneare sia stato a Viareggio nel 1823.
Tutto questo era sempre riservato a chi avesse disponibilità economica e autonomia lavorativa.
Nel periodo del fascismo in Italia, l’Opera nazionale dopo lavoro, poiché nulla era lasciato al caso, cercò di occupare anche il tempo libero degli italiani creando strutture ricreative con annesso bar, gioco delle bocce ed altro. Negli stessi anni, per adulti e bambini furono organizzati spostamenti al mare per fare elioterapia. Tutto ciò serviva per estendere il controllo sulla vita degli italiani e creare il fascista perfetto.
Nel 1823 il primo stabilimento balneare fu a Viareggio, ma poiché il duce talvolta trascorreva i rari momenti di relax nelle acque di Riccione, la riviera romagnola diventò alla moda, sempre per chi se lo potesse permettere; gli italiani iniziavano a guardare il mare con occhi diversi e sulla riviera furono costruite molte colonie per consentire soggiorni estivi. L’uomo comune faceva al massimo una gita fuori porta con colazione al sacco o andava a visitare qualche santuario, bisognava pure tenere buona la Chiesa.
Per i lavoratori in Italia fu stabilito solo nel 1927 il diritto al riposo che fu riconosciuto come obbligatorio e retribuito solo nella Costituzione del 1948, art. 36: <<Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi >>
Da allora le vacanze coincidono con le ferie e pochi anni dopo, negli anni ’50, il turismo diventò di massa.
Nel giro di qualche anno molti poterono disporre di un’automobile che conducesse la famiglia al mare; non più autobus o treni superaffollati ma macchine piene di persone e di quanto occorre per trascorrere una giornata al mare o in montagna.
Molti possono continuare a fare vacanze più lunghe in case che possiedono in zone di villeggiatura ma la maggior parte degli italiani si arrangia come può.
Dagli anni ’60 si inizia ad usare l’espressione: esodo di massa. Chi di noi non ha vissuto qualche interminabile coda sull’autostrada, senza tutti i confort che offrono oggi le autovetture?
Tuttavia si era felici, si era ormai in vacanza e questo faceva già sentire privilegiati, poi il viaggio in macchina consentiva di godere del paesaggio, della possibilità di fare una sosta prima di raggiungere la meta.
La vacanza negli anni sessanta potrebbe definirsi democratica, nella fila si vede la mitica Seicento comprata a rate e la Ferrari, in fila, sotto il sole.
La meta è sempre più spesso il mare, anche questo, secondo me, livella le differenze sociali, i corpi si scoprono, cadono molti pregiudizi nascosti sotto giacca e cravatta e cadono pudori nascosti sotto pellicce e cappotti. La sera si balla nei locali, ogni stabilimento balneare si attrezza per avere “una rotonda sul mare” e “il nostro disco che suona”.
Con il passare del tempo, le situazioni cambiano con il cambiare delle mode ma nella vacanza estiva c’è sempre un amore che nasce e muore, una canzone che diventa un tormentone e al ritorno in città è già dimenticata, c’è un’aria leggera e un desiderio di piacere e di piacersi.
Quei tempi, oggi, sembrano preistoria, il gruppo di amici non si forma più. Ognuno è solo con se stesso, con l’auricolare per non perdersi nulla, sempre connesso con tutti e separato dagli altri.
O forse i tempi passati sembrano avere un fascino particolare per noi che li abbiamo vissuti da giovani, quando il cuore e la mente erano pieni di aspettative future, quando sapevamo che per riuscire nelle cose bisognasse impegnarsi, lo facevamo e nel tempo della vacanza apprezzavamo il piacere di essere liberi e agire liberamente.
Oggi si usa molto viaggiare per mete vicine o lontane, si fa per piacere proprio o per raccontarlo, non lo so, so perché ho viaggiato molto io, mi spingeva un bisogno di conoscenza e di consapevolezza, inseguivo, per quanto potessi, la storia di anni tragici eppure felici.
Capita a volte che dopo aver tanto viaggiato, un giorno, seduti su una panca di legno a gustare un gelato, guardando da un lato la montagna da cui arriva un vento lieve che attenua il calore di una giornata a mare e dall’altro lato l’immensa distesa del mare, si pensi: la felicità è qui. E accorgersi poi di non essere troppo lontano da casa.
Siamo liberi di muoverci, facciamo la vacanza che preferiamo, dove e con chi vogliamo ma ricordiamo il saggio consiglio che Seneca dava al giovane amico Lucilio:
<<Perché ti meravigli che i viaggi non ti giovino a nulla, se nei viaggi non fai che portare te stesso? Ti spinge sempre quella causa che ti ha cacciato fuori la prima volta >>
Deponiamo, dunque, i fardelli che opprimono il nostro vivere, poi…partenza e…buone vacanze a tutti!
Gabriella Colistra
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