DONNA A KABUL
Scrivo dei tuoi mali,
dell’asfissia esistenziale,
dell’intelletto mortificato
e di una rosa dal gambo reciso.
Scrivo dell’alma inasprita,
dell’empietà coercitiva e malsana,
dell’esondante timor della vita
e di un fendente che insidia l’aorta.
Scrivo di un mondo negato,
di proibizioni perentorie ed insulse,
dei tanti patiboli allestiti per strada
e della polvere ingerita in silenzio.
Quest’esodo del pensiero
è l’unica via per la tua libertà,
inventiva ed alienazione,
sogni ingombranti per menti vivaci.
Ho visto occhi scuri
invocare gli orecchi,
vociare con foga al di là di quel velo
ed una ribelle col cuore ad oriente
condanna lo scempio che soffoca il bene.
Un tempo, il mio Cristo
elargì una carezza
sul capo ferito di una ragazza
e tutti gettarono
in terra quei sassi…
ma nulla insegnò
a chi frusta una donna.
Mia dolce ninfea,
costretta nell’ombra,
vessata dall’orrido
e dall’afflizione,
seppur la speranza
vacilli ed affoghi,
sii giglio che adorna
le dune di sabbia.
Maria Cristina Adragna
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