Bella senz’anima

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Lei, molto probabilmente, non aveva contezza alcuna di che significato detenessero i termini abnegazione, sacrificio, amore incondizionato, affiatamento, cieco affidamento.

O forse avvertiva un sentimento di saturazione imperante che non le consentiva di proseguire, oltre un determinato lasso temporale, all’interno del salvifico vortice di una relazione stabilmente ancorata alla gioia di vivere insieme, che le faceva avvertire un senso di stanchezza insopportabile nei confronti del povero malcapitato di turno, che rendeva la sua insofferenza marcata e tristemente lampante.

È possibile, persino, che fosse una narcisista non soggetta al sentimento empatico, tanto da riuscire a fendere con cinismo gli stati d’animo più sinceri e disinteressati, imprigionandoli in una pericolosissima morsa di precari stenti emozionali.

La personalità costituisce una delle componenti umane maggiormente astruse e di difficile interpretazione.

Fatto sta che una donna molto affascinante e sicuramente dotata di notevole avvenenza pare non avesse la benché minima consapevolezza di quanto dolore potesse scaturire dalle azioni poste in essere con semplicistica disattenzione.

Un’esagerata dose di negligenza pagata a carissimo prezzo da chi riponeva in lei fiducia e necessità d’appartenenza, un atteggiamento alquanto puerile e menefreghista che imprigionava l’altro in un coacervo di sensazioni infestate dall’insoddisfazione.

Lei era così: “Bella senz’anima”.

O, quanto meno, è in tal maniera che lui si arroga il diritto di definire il soggetto delle sue frustrazioni.

“Bella senz’anima” è un brano struggente, colmo di commozione, disperato, condotto al successo e magistralmente proposto da Riccardo Cocciante, datato 1974.

Per certi aspetti ricorda moltissimo “Era già tutto previsto” (capolavoro musicale che personalmente adoro e che invito ad ascoltare), altra composizione strappalacrime che sancisce la fine di una storia che era già stata designata mediante un’accezione negativa sin dagli albori del suo esordio.

L’esasperato malcontento si fa strada lungo un mesto divenire e finisce per sfociare in un’esondazione catastrofica ed irreparabile, che è stata provocata dalle asperrime e sgradevolissime assunzioni di coscienza da parte di un uomo ferito a morte.

Siamo pienamente consapevoli delle ineccepibili doti interpretative e straordinariamente sofferte dell’artista, tant’è che nella suddetta performance si sfiora l’apoteosi di un dolore che non lascia spazio alcuno ad omesse dichiarazioni di delusione profonda.

Forse, nel caso di specie, ci troviamo innanzi alla disperazione di qualcuno che per la prima volta concede libertà di sfogo ai troppi aspetti intrisi di insostenibile negatività e sino a quel momento tacitati per grande amore ed infinita dipendenza.

Ma adesso scalpita nei labirintici meandri della necessità di discorrere chiaramente con questa sorta di “mantide religiosa” che sta per usurpare ciò che di salvabile rimane della sua esistenza e che non è ancora riuscita, fortunatamente, a farlo fuori in maniera definitiva.

“Vivere insieme a te è stato inutile.
Tutto senza allegria, senza una lacrima.
Niente da aggiungere, né da dividere.
Nella tua trappola ci son caduto anch’io.
Avanti il prossimo! Gli lascio il posto mio!”

Prima che sia troppo tardi e che si continui a degenerare all’interno di giorni inconsistenti e senza una benché minima progettazione per un futuro accettabile, egli decide di esprimere con chiarezza le proprie facoltà intenzionali.

Questa volta è ben deciso ad allontanarsi definitivamente dallo sconcerto, volendo lasciare alle sue spalle gran parte di quella vessazione emotiva che è stata dal medesimo subita nel corso degli anni.

Ma cercate di non interpretare mai le espressioni di forte rabbia rimanendo nei pressi della zona superficiale che delimita le espressioni.

In quel che Cocciante afferma c’è una dose di sofferenza fortemente impregnata di acerrimo dolore, più di quanto sarebbe accaduto se avesse sommessamente taciuto ad oltranza.

Immaginare la propria donna tra le braccia di un altro individuo non offre la possibilità di ragionare lucidamente.

È un pensiero che logorerebbe chiunque, a prescindere da un magone che attanaglia le martoriate e sofferenti valvole cardiache.

Tuttavia egli persiste, vomitandole addosso rimproveri mortificanti che non lasciano spazio all’immaginazione mitigante.

“E quando a letto lui ti chiederà di più glielo concederai, perché tu fai cosi!
Come sai fingere, se ti fa comodo!”

Ci troviamo di fronte ad un soggetto letteralmente distrutto dall’apatia scaturente da un legame oramai inesistente, un uomo che, evidentemente, non si è mai sentito amato a dovere da chi rappresentava il fulcro del suo intimo cosmo sensibile.

La finzione emotiva espressa in positivo, manifestata in un rapporto di coppia apparentemente consolidato, è quanto di più meschino possa verificarsi.

Avrà subìto per anni interminabili, per decenni, ma l’impellenza di apporre la parola fine alla sua storia priva di stimoli considerevolmente importanti non è di certo una condizione che può essere rimandata o addirittura accantonata.

Non ha più voglia di fare del sesso, ha voglia di fare finalmente l’amore.

Quell’amore che ti bacia sugli occhi matidi di pianto e gonfi per la stanchezza, che ti accarezza costantemente membra ed anima con affetto profondo e commovente, quell’amore che può rivelarsi, a tratti, oltremodo passionale e dai connotati peccaminosi, ma che ti lascia dentro tutto il sapore della veridicità del sentimento autentico.

Con disprezzo la invita a spogliarsi, facendole intendere che un ultimo rapporto sessuale non avrebbe mutato la natura di tutto quello che sarebbe avvenuto in un secondo momento.

Lui ha ormai deciso.

Urla, sbraita, soffre come se fosse stato un cane preso a colpi di manganello dal suo amato ed insostituibile padrone, ma ha indubbiamente scelto per sé!

“Tu mi rimpiangerai, bella senz’anima!”

È probabile che lo abbia rimpianto veramente.

In fondo, cosa c’è di più gratificante e lezioso dell’essere amati con un’intensità quasi virulenta?

Ma Cocciante dimentica un aspetto che affonda le proprie radici nell’ A-B-C dei rapporti amorosi: o si è in due o non si è neppure in compagnia di se stessi.

E lei, con lampante evidenza, sarebbe probabilmente rimasta ad oltranza per una questione di mera comodità ma non sarebbe mai stata, ad ogni modo, nelle condizioni di offrirgli tutto ciò che lui avrebbe da sempre e per sempre desiderato: soprattutto rispetto!

È una colpa non amare più?

No, non lo è.

È una colpa indossare maschere imbellettate con lustrini cangianti che hanno la capacità di fuorviare l’ingenua percezione di chi all’amore si è abbandonato con sacra fiducia, di chi all’amore continua a credere davvero, a chi all’amore affida ogni sfumatura senziente, nonostante il gelo scaturente dal preponderante senso di delusione.

È una colpa mentire, è una colpa annientare, è una colpa fingere di essere quel che non si è e che non si diverrà giammai.

Chissà come ebbe realmente fine questa storia, se in fin dei conti ha sempre ragione Venditti, quando afferma che “certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.”

Magari, dopo un’opportuna concessione bonaria, sarà pure riuscita a ritornare presso la sua dimora di sempre purché, ad ogni modo, sia stata nelle condizioni di operare un processo di riconciliazione con la sua gelida anima smarrita chissà quando, chissà poi perché, chissà come, chissà dove…

“BELLA SENZ’ANIMA”

E adesso siediti
Su quella seggiola
Stavolta ascoltami
Senza interrompere
È tanto tempo che
Volevo dirtelo
Vivere insieme a te
È stato inutile
Tutto senz’allegria
Senza una lacrima
Niente da aggiungere
Né da dividere
Nella tua trappola
Ci son caduto anch’io
Avanti il prossimo
Gli lascio il posto mio
Povero diavolo
Che pena mi fa
E quando a letto lui
Ti chiederà di più
Glielo concederai
Perché tu fai così
Come sai fingere
Se ti fa comodo
E adesso so chi sei
E non ci soffro più
E se verrai di là
Te lo dimostrerò
E questa volta tu
Te lo ricorderai
E adesso spogliati
Come sai fare tu
Ma non illuderti
Io non ci casco più
Tu mi rimpiangerai
Bella senz’anima!

                                                             Maria Cristina Adragna

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Maria Cristina Adragna
Siciliana, nasco a Palermo e risiedo ad Alcamo. Nel 2002 conseguo la Maturità Classica e nel 2007 mi laureo in Psicologia presso l'Università di Palermo. Lavoro per diverso tempo presso centri per minori a rischio in qualità di componente dell'equipe psicopedagogica e sperimento l'insegnamento presso istituti di formazione per operatori di comunità. Da sempre mi dedico alla scrittura, imprescindibile esigenza di tutta una vita. Nel 2018 pubblico la mia prima raccolta di liriche dal titolo "Aliti inversi" e nel 2019 offro un contributo all'interno del volume "Donna sacra di Sicilia", con una poesia dal titolo "La Baronessa di Carini" e un articolo, scritti interamente in lingua siciliana. Amo anche la recitazione. Mi piace definire la poesia come "summa imprescindibile ed inscindibile di vissuti significativi e di emozioni graffianti, scaturente da un processo di attenta ricerca e di introspezione". Sono Socia di Accademia Edizioni ed Eventi e Blogger di SCREPmagazine.

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