“a tu per tu con…” Maria Angela Iozzino e il suo viaggio nella scrittura

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Il mio “a tu per tu con…” di oggi è con la scrittrice Maria Angela Iozzino, attualmente docente di lettere classiche presso un istituto superiore della provincia di Napoli.

Da sempre affascinata dalla letteratura e dalla poesia, Maria Angela Iozzino ha pubblicato nel 2021 la silloge poetica “I colori del pavone”, nel 2022 una intrigante biografia “La vera storia di un capitano” e nel gennaio scorso una raccolta di cinque racconti dal titolo “Le libellule e il mare”, con cui è candidata al Premio Campiello 2023. Ha ricevuto un diploma d’onore con il romanzo “La strada dell’innocenza”, in procinto di pubblicazione. 

Incontrato Maria Angela nei pressi della Chiesa di San Salvatore di Casola di Napoli,  comune di nascita del padre, che la storia ricorderà per sempre per aver avuto tra i suoi figli lo zio della scrittrice,  l’agente della polizia di stato, Raffaele Iozzino, componente della scorta di Aldo Moro ucciso nell’attentato di via Fani del 16 marzo del 1978 e oggi medaglia d’oro al servizio civile.

Il Comune di Casola di Napoli, posizionato sui Monti Lattari all’imbocco della Penisola Sorrentina e strettamente collegato con la città di Gragnano, costituisce un’area di transizione tra l’Agro Nocerino-Sarnese e la catena dei Monti Lattari  sul simile di una conca che ad ovest volge verso il mare, a sud è racchiusa dal Monte Muto e a nord dalle alture dei Genesi e di Monticelli.

La zona centrale del suo territorio è attraversata dal Torrente Casola.

Casola di Napoli ha un’estensione di circa 2 kmq e una popolazione di 3.857 abitanti. Il suo territorio è caratterizzato da elevati valori sia paesaggistici-ambientali che produttivi da sfruttare.

Infatti le sue caratteristiche fisico-geografiche sono il sale che potrebbe favorire la tutela e la valorizzazione delle risorse presenti sul territorio per uno sviluppo sostenibile, economico e culturale del territorio casolese e dei comuni contermini.

Casola di Napoli, prima del R.D. del 4 gennaio 1863, era semplicemente Casola: la leggenda dice che anticamente si chiamasse CASAE SOLIS per via di un tempio dedicato al sole, ma in realtà il toponimo deriva dal latino tardo CASULA “casetta”.

Gli insediamenti più antichi del territorio casolese risalgono al III e IV secolo d.C., mentre la nascita dell’attuale abitato viene ricondotta alla battaglia tra il generale bizantino Narsete e il re ostrogoto Teia, avvenuta ai piedi dei monti Lattari.

Il borgo di Casola fu a lungo un caseggiato del comune di Lettere, di cui seguì gli eventi come la grave peste del 1656 che decimò la sua popolazione, protagonista, nel 1849, di sollevazioni contro i Borboni.

Molto interessanti le testimonianze storiche superstiti, fra cui una necropoli del III-IV secolo d.C., dove è stato ritrovato un disco di terracotta raffigurante Medusa e somigliante ad effigi di monete repubblicane e a pitture romane.

Intorno all’anno Mille, dai boschi di Casola si prelevò il legno di castagno per la realizzazione delle navi per le galere amalfitane.

Il territorio subì prima la dominazione normanna e poi quella angioina nel corso della quale fu realizzata la strada che collega il paese a Lettere, la Via degli Angioini. Casola per lungo tempo è stata legata al limitrofo paese di Lettere, fino al Settecento, periodo in cui ci fu un forte boom demografico.

Nel 1805 il paese fu colpito da un forte sisma.

Durante il periodo borbonico Casola non visse un periodo florido e dopo l’Unità d’Italia fu devastata dalle incursioni dei briganti.

L’economia casolese si basa prevalentemente sull’agricoltura e sulla produzione di castagne e noci di qualità indiscussa.

La sontuosa parrocchiale di San Salvatore, edificata nel XVI secolo, rappresenta la principale struttura architettonica del comprensorio casolese.

Mentre gli anni Sessanta sono stati caratterizzati da un lieve esodo della popolazione, i decenni successivi hanno fatto registrare un’inversione di tendenza e un sensibile aumento del numero dei residenti.

Ed ecco che, mentre, come in una sorta di flashback, mi rileggo le notizie su Casola di Napoli, mi raggiunge Maria Angela Iozzino.

Una stretta di mani, un caffè e ci si immerge nella programmata intervista da pubblicare su ScrepMagazine al mio ritorno a casa.

Fiore –  Il tuo amore per la poesia e la letteratura è scaturito dalla passione per la lettura?

Iozzino – In realtà, no. Sono sempre stata appassionata di poesia e di letteratura. Credo di aver ereditato questa passione da mio padre. La lettura ha sicuramente amplificato questa mia propensione, incisa nel DNA.

Fiore – Quando hai iniziato a scrivere?

Iozzino – Ho iniziato a scrivere quando frequentavo il ginnasio, esattamente in quinta ginnasiale. Quell’anno la docente di matematica si ammalò e fu sostituita da un giovane supplente verso il quale non provavo una grande simpatia. Ci sottopose ad un compito in classe (interdetto al liceo classico!) al quale presi un’insufficienza. Per me, abituata a voti altissimi in tutte le discipline (beh, in matematica un po’ di meno) fu una tragedia. Così gli dedicai una poesia e quello fu il mio primo componimento in versi.  Lui, però, non lo seppe; non gliela declamai perché assomigliava ad una pasquinata.

Fiore – Il perché del tuo scrivere…

Iozzino – Non c’è un perché. La poesia, come la prosa, bussa alla porta del mio cuore e a me non resta altro che aprirle la porta, ascoltare quello che ha da dirmi e poi… scrivo.

Fiore – Dove scrivi?

Iozzino – Il mio angolo preferito è la mia scrivania, che rappresenta un rifugio, un lembo di pace, di distacco dal mondo e dalle cose. È come un compagno di viaggio di cui non riesco a fare a meno ( e viceversa). Quando la sera vado a dormire, non vedo l’ora che albeggi per prepararmi un buon   caffè e dedicarmi un po’ alla scrittura ed  alla lettura prima di andare a lavoro.

Fiore – Parlami del tuo stile…

Iozzino – Il mio è uno stile fluido. Lo stile poetico è piuttosto cristallino. Non ricorro spesso (per scelta) a termini aulici perché ritengo, un po’ alla maniera di Umberto Saba, che la poesia debba essere “onesta”, capace, cioè, di arrivare al lettore nella sua interezza. La poesia ha bisogno di essere amata e, per raggiungere tale scopo, necessita prima di essere  compresa. Lo stile prosastico non si discosta molto da quello poetico; a volte mi capita di intrecciare le due tipologie di scrittura e di realizzare prosimetri. Potrei definire il mio stile (anche se non sempre):“poesia-prosastica” o “prosa poetica”.

Fiore – Quale valore ha per te la scrittura?

Iozzino – La scrittura è uno strumento prezioso che la natura ci ha dato per comunicare.    Il suo scopo fondamentale, secondo me, è quello pedagogico. La scrittura deve trasmettere valori. Scrivendo, inoltre, si sconfigge la morte e si oltrepassa il tempo. Le parole possono diventare vita, possono restituire la vita.

Fiore – Quanto per te la scrittura può essere utile per razionalizzare e, in un certo senso, per superare  i momenti peggiori e dolorosi dell’esistenza?

Iozzino – La scrittura può essere molto utile per superare i momenti più dolorosi dell’esistenza. La mia prima silloge poetica “I colori del pavone” nasce proprio da uno degli episodi più dolorosi della mia vita: la morte di mio padre. La scrittura ha rappresentato per me un mezzo per esternare i miei sentimenti. Del resto diversi scrittori e poeti, come Petrarca, Carducci, Pascoli, Kafka, hanno creato dei capolavori proprio partendo dal proprio dolore. Anche in ambito medico la scrittura viene utilizzata per liberare  le emozioni le quali, se non esternate, potrebbero implodere o esplodere.

Fiore – Al di là delle letture mi sembra che le tue fonti di ispirazione siano reali e autobiografiche con una forte tendenza all’immaginazione… mi sbaglio? In ogni caso c’è per te reciprocità fra letteratura e vita?… e quanta?

Iozzino – Ogni opera di qualsiasi autore nasconde inevitabilmente, a parer mio, tratti autobiografici, ma i miei scritti vanno ben oltre la mia vita, come la mia immaginazione…

Fiore – Quale messaggio vuoi lanciare attraverso le tue opere?

Iozzino – Sono tanti i messaggi che voglio lanciare attraverso le mie opere. Innanzitutto credere in se stessi, anche quando si attraversa la bufera; non scoraggiarsi di fronte alle avversità della vita e trovare sempre e comunque la forza di ricostruirsi, anche dopo esperienze dolorose e drammatiche. Trovare il coraggio di rinascere  dalle proprie ceneri, proprio come fa l’araba fenice; prefiggersi degli obiettivi ed adoperarsi per raggiungerli, insomma realizzare i propri sogni..

Fiore – Quali consigli daresti a un ragazzo per diventare scrittore?

Iozzino – Non credo che ci siano particolari direttive da dare a qualcuno per diventare scrittore. Sicuramente leggere molto aiuta, ma la passione per la scrittura non te la può insegnare nessuno. È un dono innato. Gli direi semplicemente di essere se stesso.

“Operari sequitur esse”, sosteneva Schopenhauer, l’azione è consequenziale all’essere.

Ognuno deve esprimersi a modo suo, seguendo il proprio stile, la propria originalità.

Fiore – Dei tuoi scritti qual è il tuo preferito?

Iozzino – I miei scritti sono come dei figli per me. Una madre non può fare differenze. Li amo tutti.

Fiore – Come nasce la tua silloge “I colori del pavone” che non ho avuto il piacere di leggere se non in alcune poesie pubblicate nel libro “La vera storia di un capitano”?

Iozzino – Come ho detto prima, molte poesie sono legate all’esperienza della perdita di mio padre, ma la raccolta era già in fase embrionale. Avevo cominciato a scriverla alcuni anni prima, spinta dal desiderio di imprimere su carta le sensazioni e le emozioni  provate in determinati momenti della mia vita, quasi  a voler “sublimare il subliminale”. Questa silloge racchiude componimenti in cui luci ed ombre si mescolano mirabilmente, offrendo al lettore paesaggi lirici ad effetto chiaroscuro.

Fiore – In sintesi per i lettori di ScrepMagazine il messaggio de “I colori del pavone”…

Iozzino –  Saper apprezzare la bellezza del creato, su cui spesso proiettiamo i nostri stati d’animo; comprendere che gli affetti importanti, che ci hanno accompagnato nel viaggio della nostra vita, continueranno a farlo anche se quelle persone amate non ci sono più. Ciò  che di loro resta infatti ( come di ognuno di noi) sono i valori che ci hanno trasmesso e quelli non potranno mai morire. Noi abbiamo il dovere di offrire alla società ciò che di bello abbiamo dentro perché, come ci insegna  Dostoevskij, “solo la bellezza salverà il mondo”.

Fiore – Anche per te, per avviare il discorso su “La vera storia di un capitano”, che ho letto tutto d’un fiato, “l’unico amante, l’unico confidente che non tradisce, né abbandona è il libro”, come sostiene Barbara Alberti? O come meglio dice Emily Dickinson: “Non esiste un vascello come un libro per portarci in terre lontane né corsieri come una pagina di poesia che s’impenna”?

Iozzino – “ … Questa traversata può farla anche il povero senza oppressione di   pedaggio, tanto è frugale il carro dell’anima” (E.   Dickinson).    

Sono d’accordo con quanto espresso da Barbara Alberti anche se il mio pensiero è più vicino a quello della scrittrice statunitense. Un libro ti porta in terre lontane, anzi lontanissime grazie all’immaginazione che non ha limiti di tempo e di spazio. A proposito della Dickinson, ricordo che quando ero studentessa, mi colpì molto   la lettura di una  sua rivelazione :”Mio padre è troppo impegnato con le difese giudiziarie per accorgersi di cosa facciamo. Mi compra molti libri ma mi prega di non leggerli perché ha paura che scuotano la mente”.  Questa frase mi fece pensare a quanto fosse diverso, invece, mio padre, il quale mi comprava tanti libri  raccomandandomi di leggerli fino in fondo. Mi sento più affine a questa poetessa anche perché  l’opera poetica della Dickinson è basata ( come la mia) su temi  afferenti  al senso della vita, alla natura, all’amore, alla morte.

Fiore – Quello che mi ha particolarmente colpito di questo tuo libro è la delicatezza e l’eleganza con cui hai trattato la figura del “capitano”, l’amore di un padre per la sua famiglia, i sentimenti che si aprono in quel fulcro che chiamiamo famiglia…

Iozzino – Sì, il capitano meritava di essere trattato con amore, lo stesso che ci  ha donato  durante tutta la sua vita. E’ stato un uomo dai grandi valori umani, un esempio, un faro non solo per la sua famiglia ristretta e parentale, ma   anche   per   la   comunità   agricolo-pastorale   strutturata   fisicamente   e socialmente su una delle colline dei Monti Lattari: Casola di Napoli.

La figura del capitano va ben oltre…

Nell’opera:  “La vera storia di un capitano”  non ho voluto soltanto   rappresentare mio padre, ma soprattutto un uomo che ha osato sfidare i tempi difficili in cui è vissuto, riuscendo a ricostruirsi dalle macerie postbelliche e lanciando a tutti, specialmente ai giovani (che lo hanno considerato, imitandolo, un eroe) un messaggio di speranza. Legato alla sacralità del lavoro ( di cui anche Virgilio esalta l’importanza nelle Georgiche) il capitano ha dovuto affrontare molte difficoltà pur di realizzare il suo sogno..

Egli diventa, così, l’emblema della società del terzo millennio che con sacrificio, buona volontà e coraggio, è riuscita a rinascere dalla devastazione della seconda guerra mondiale.

Fiore – Altra riflessione, giustamente ripresa da te nei ringraziamenti ai tuoi lettori e nella quarta di copertina del libro, è che se è vero che la Storia ufficiale viene fatta da pochi leaders, come affermava il drammaturgo tedesco Bertold Brecht, è altrettanto vero che a fare la storia vera, quella autentica e priva delle commistioni di parte, quella dei vinti e dei vincitori, sono le persone comuni che, con il loro saper fare quotidiano, con i loro sacrifici e soprattutto con la loro onestà, contribuiscono a migliorare e far progredire la società in cui vivono per lasciare un segno indelebile del loro cammino terreno. Ulteriore tua riflessione?

Iozzino – Certo. A fare la Storia siamo anche tutti noi, uomini e donne comuni che quotidianamente, attraverso i sacrifici, contribuiamo al progresso della società.

Chi costruì Tebe dalle Sette Porte? Dentro i libri ci sono i nomi dei Re.

I Re hanno trascinato quei blocchi di pietra?

Babilonia tante volte distrutta, chi altrettante la riedificò?

In quali case di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori?

Dove andarono i muratori, la sera che terminarono la Grande Muraglia?

La grande Roma è piena di archi di trionfo. Chi li costruì? Su chi trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio aveva solo palazzi per i suoi abitanti?

Anche nella favolosa Atlantide nella notte che il mare li inghiottì, affogarono

implorando aiuto dai loro schiavi.

Il giovane Alessandro conquistò l’India. Lui solo?

Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco?

Filippo di Spagna pianse, quando la sua flotta fu affondata. Nessun altro pianse?

Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi vinse oltre a lui?

Ogni pagina una vittoria.

Chi cucinò la cena della vittoria? Ogni dieci anni un grande uomo.

Chi ne pagò le spese?

Tante vicende.

Tante domande.

Bertold Brecht, Domande di un lettore operaio …

(1935).

Fiore – Continuando a parlare de “La vera storia di un capitano” vuoi descrivere in sintesi la trama senza svelare troppo?

Iozzino – “La vera storia di un capitano”  ( Albatros il Filo 2022) si può considerare un racconto di stampo neorealista che ha per  protagonista un uomo (e con lui un’intera società) che, dopo la crisi economica e sociale procurata dalla seconda guerra mondiale, è riuscito a guardare  al futuro con fiducia.

Il capitano diventa l’emblema della società del terzo millennio che con sacrificio, buona volontà e  coraggio, è riuscita a ricostruirsi dalle macerie della devastazione bellica. Il libro si può considerare anche come la storia di un viaggio interiore che porterà il capitano, attraverso una serie di vicissitudini, alla scoperta di sé stesso. Il tema del viaggio, del resto, è ricorrente anche nella Storia della letteratura, basti pensare a Dante, Petrarca, Omero, Virgilio,  Swift, Chaucer, Joyce ecc..

Tutte le vicende ruotano attorno al protagonista, un uomo dai grandi valori umani,   che   diventa   un   faro   non   solo   per   la   sua   famiglia   ristretta   e parentale, ma anche per tutta la comunità agricolo-pastorale, strutturata fisicamente e socialmente su una delle colline dei Monti Lattari: Casola di Napoli.

Il capitano ha rappresentato una speranza  per i giovani di questo piccolo borgo,   molti   dei   quali   hanno   emigrato, specialmente  nel secondo dopoguerra, in cerca di fortuna.

Legato alla sacralità del lavoro (di cui  anche Virgilio nelle Georgiche esalta l’importanza) il capitano affronterà molte difficoltà pur di realizzare il suo sogno…

“Fortuna audentes iuvat” ( Virgilio).

Fiore – Quanto il “capitano” ha amato la vita nelle sue varie sfaccettature?

Iozzino – Il capitano ha amato moltissimo la vita. Ha amato tutto di essa, anche il dolore, la sofferenza che lo hanno accompagnato nell’ultima parte della sua esistenza. Paradossalmente, ha amato anche la morte, intesa come l’altra faccia della medaglia-vita. Ha affrontato la malattia e la morte con coraggio e l’ha guardata negli occhi senza timore. Del resto era un capitano e come tale ha vissuto  per tutta la vita ed è morto dignitosamente, da vero capitano. Ha saputo donare ai suoi figli la cosa più bella: l’entusiasmo per la vita. Era un uomo solare che lavorava non solo con un forte senso del dovere, ma  anche con grande passione. Anche se non fosse stato mio padre, lo avrei ammirato ugualmente tantissimo . Incarnava pienamente  la “bellezza” della vita.

Fiore – Ti voglio dire qualcosa che ti farà molto piacere…

Iozzino – Dimmi…

Fiore – Appena giunto a Casola di Napoli ho chiesto a parecchi abitanti di varia età se conoscessero il “capitano”… tutti, nessuno escluso, mi hanno risposto: “Quell’uomo illustre si chiamava Luigi Iozzino ed era il figlio maggiore di Angelina, era un ragazzo coraggioso che osò sfidare i suoi tempi e che, con i mezzi che disponeva, affrontò il mondo” e “fu l’emblema della società del terzo millennio che con sacrificio, buona volontà e coraggio, è riuscita a ricostruirsi dalle macerie della devastazione bellica”. Una bellissima e, nello stesso tempo, pesante eredità la tua…

Iozzino – Vero. Ma io ho accolto questa eredità con amore. È la più bella eredità che un padre possa lasciare ad un figlio. Mio padre era un uomo dai più alti valori umani, ma non si è mai sentito giudice di nessuno.  Perciò mi sento tranquilla, perché se anche dovessi sbagliare in qualcosa, sono sicura che lui mi comprenderebbe. Il suo era ( ed è) un amore incondizionato. Un amore condizionato non sarebbe amore.

Fiore – Ed eccoci a “Le libellule e il mare” con cui ti sei candidata al Premio Campiello 2023…A te la parola…

Iozzino – “Le libellule e il mare” è una raccolta di cinque racconti. Il nome libellula deriva dal latino “libra” che significa bilancia, quindi  “equilibrio”, ma anche da “libellum”, diminutivo di “liber”, cioè libero.

Le libellule sono ritenute insetti magici per le loro ali mutevoli e per la loro abilità di sfuggire ai predatori. Nascono da larve in fondo agli stagni e poi si trasformano naturalmente. Hanno una grande forza interiore, infatti alcune specie sono transoceaniche, riescono, cioè, ad attraversare l’Oceano Indiano e a raggiungere l’Africa partendo dall’India con la sola forza delle loro ali. Il mare, invece, in questi racconti, rappresenta il grande ostacolo da superare, costituito dai pregiudizi sociali, dalle dipendenze, dalla violenza, dall’inesperienza…

Mediante una serie di metabasi, ho percorso frammenti di vite legate ad un unico leitmotiv che condurrà i protagonisti delle vicende a soluzioni risolutive. Simbolo, dunque, di rinascita spirituale, le libellule affronteranno il mare con grande coraggio..

Fiore – Quindi una raccolta di cinque racconti che, sotto forma di eleganti e silenziose libellule, con il loro aggraziato passo di volo,  lanciano nel firmamento dell’attuale società, sempre più alle prese con banalità e fanfaluche, un forte messaggio di libertà interiore, di rinascita spirituale, di amore, di speranza e di cambiamento come realizzazione del sé.

Iozzino – Sì, spesso noi tutti, specialmente i giovani, ci lasciamo prendere dalle cose banali, superficiali. Ci incateniamo ad un sistema di “valori” che non può ritenersi tale ( il denaro, la propria immagine…). 

A volte, (imitando un modus vivendi per così dire “globalizzato”, oppure restando vittime di volontà altrui) potremmo rischiare di perderci nel labirinto delle dipendenze, senza riuscire a trovare una via d’uscita. Capita anche di essere “centrifugati” da una società che non ci vuole “diversi”, ma tutti uguali.

Le mie “libellule” sono esempi di vite momentaneamente spezzate che però troveranno la forza ed il coraggio di “ricomporsi” e di librarsi nuovamente in volo…

Fiore – … e il mare nel titolo? Forse perché il mare ha il potere di far sentire bene, per il suo effetto sia calmante che energizzante e quindi va ad unirsi al messaggio di benessere della libellula?

Iozzino – No. Come ho detto prima, in questi racconti il mare rappresenta il pericolo, il grande ostacolo da superare…

Fiore – Qual è il filo rosso che unisce i tuoi libri?

Iozzino – Il leitmotiv che unisce i miei libri è il coraggio di ricostruirsi sempre e comunque!

Fiore – Nel tuo cassetto hai un segreto?

Iozzino – Mi piacerebbe scrivere un romanzo dal contenuto erotico… e tanti altri racconti.

Fiore – Grazie per il tempo dedicatomi e per le ottime noci e l’ottimo rosso frizzante offertimi… e i bocca al lupo per il Premio Campiello!

Iozzino – Grazie a te per la grande professionalità e per la sensibilità con cui ti sei approcciato a me.

Crepi il lupo per il Premio Campiello!

“a tu per tu con…” Maria Angela Iozzino e il suo viaggio nella scrittura

… a cura di Vincenzo Fiore

Clicca il link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

“a tu per tu con…” Maria Tedeschi e i suoi romanzi

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Vincenzo Fiore
Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

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