“A tu per tu con…” l’altra metà del cielo

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il Medioevo, l’altra metà del cielo e Francesco Danieletto

Il Medioevo è l’uomo, il Medioevo è il predominio maschile, le donne invece sono idee, idoli, immagini alla ricerca di una efficacia reale e non virtuale per tentare  un’esistenza il più possibile non in sudditanza e nemmeno in totale dipendenza dalla famiglia di origine o dalla famiglia del marito.

Una figura completamente astratta, un’invisibile messa a risiedere nella periferia più estrema della società senza alcun diritto e alcuna prebenda, una sconosciuta che la “cultura dello scarto” perpetrata dall’uomo rendeva un corpo senz’anima.

Un corpo senz’anima che aveva margini risicatissimi di scegliersi il proprio angolo di vita: matrimonio e famiglia o cella del monastero.

Ne parliamo oggi con Francesco Danieletto, scrittore e poeta di Dolo, nonché autore di alcune riflessioni su “Emancipazione della donna nel medioevo tra immaginario e realtà” che ha voluto affidare a ScrepMagazine.

“Parlare dell’altra metà del cielo, come viene spesso chiamata con molta enfasi, in un’ epoca come l’attuale, non è cosa semplice.

Il femminismo in anni di lotte e rivendicazioni ha spezzato tabù, rivendicato e sancito la parità uomo-donna, dall’ambiente domestico, vecchio habitat naturale, a quello pubblico, permettendo all’universo femminile di ottenere tutta una serie di diritti sia sociali che civili.

Se paragoniamo l’epoca attuale con il Medioevo, in cui la normalità femminile veniva codificata in una società strutturata in maniera patriarcale oltre che prettamente maschilista, il rapporto della donna nei confronti della religione in primis, dell’uomo e del lavoro era di totale sottomissione.

Sappiamo che il Medioevo, che ha prodotto dispute teologiche e religiose non indifferenti, aveva una sua letteratura, una sua arte e un lavoro certosino volto a conservare l’antico sapere, anche se l’uomo, costantemente animato da un forte fanatismo religioso, molto apprezzato oltretutto, interpretava la realtà religiosa con la caccia alle streghe, vissuta come passatempo quotidiano o quasi.

Tuttavia è verosimile pensare alla donna medievale lontana da decisioni sia pubbliche che economiche, anche se non totalmente sottomessa alla famiglia.

Pur essendo svilita religiosamente, il Nuovo Testamento le offre una rivalutazione cristiana impensata, tanto che si possono contare, nell’ambito femminile, regine, monache, badesse di conventi che amministravano terreni e sovrastavano addirittura i preti di paese nella loro funzione.

Addirittura talune esercitavano la professione di medico (nell’undicesimo secolo la Scuola Medica Salernitana, la più antica e celebre istituzione medica del mondo occidentale, ammetteva anche le donne; una di esse, Trotula de Ruggero, divenne addirittura la più famosa delle ”Mulieres Salernitanae”).

Rimane tuttavia l’idea cardine di uno status sociale che non contempla un ruolo specifico nel quale poter godere del rispetto che le era dovuto.

Era identificata semplicemente in un ruolo esclusivamente sessuale: “O vergine, o donna sposata, o vedova”.

Tutto questo porta a una antica diatriba secondo la quale la donna, nata insieme all’uomo o da una sua costola, a seconda dell’interpretazione religiosa del tempo, è un’invenzione cui spetta unicamente la riproduzione, l’azione principale della vita, quella più naturale di tutte: tutto il resto semplicemente non esiste, esula dalla sua sfera sociale.

Nello stesso tempo diventa portatrice di sventura e morte con riferimento al giardino dell’Eden, quando, traviata dal serpente, coglie la mela considerata frutto della conoscenza, trascinando Adamo nella disubbidienza a Dio.

Di conseguenza la rivalsa dell’uomo nei suoi confronti apostrofandola quale causa di tutte le sventure terrene.

Ecco quindi che la donna nel Cristianesimo viene identificata come la seduttrice, la tentatrice, colei che trascina con l’inganno l’uomo al peccato e lo fa cadere nella polvere.

Tuttavia questa visione della Chiesa non è, come sembra, totalmente negativa nei suoi confronti: tra gli stessi padri custodi della inflessibile teologia cristiana non c’è una visione armonica.

Come conciliare e identificare la donna come fonte assoluta di peccato e nello stesso tempo darle la concezione della vita, bene altrettanto assoluto e primario?

L’uomo ci mette del suo e pecca sicuramente di superbia quando dice di essere superiore alla donna.

Siamo ben lontani da quella parità tanto auspicata ai giorni nostri e che spesso è solo di facciata, raschiata la quale si scoprono realtà molto diverse da quelle auspicate.

Comunque per la Chiesa, nel Medioevo, la donna è un’incognita di difficile soluzione, rimane nei suoi confronti un concetto problematico, una visione per cui nell’uomo è preponderante la ragione, la cultura, il potere mentre nella donna la femminilità e l’uso carnale del corpo, almeno nella giovinezza.

L’uomo produttore di cultura, la donna produttrice di piacere sono concezioni da cui sono scaturite problemi ben più importanti nel corso dei secoli tanto da essere tuttora presenti, nonostante il Medioevo sia alle nostre spalle.

Quasi una rivincita femminile sullo strapotere maschile.

Resta il fatto che il soggetto “attivo maschio” molto spesso subisce “la passività femminile” e stabilire una sia pur ipotetica vittoria tra la mulier e il vir, tra il debole e il forte, tra la carne e la ragione, resta uno dei nodi più intricati da risolvere.

Non dimentichiamo comunque che, sempre nel Medioevo, la donna ottiene una “rivalutazione” da parte della Chiesa con l’introduzione di una figura biblica, battezzata in due successivi Concili “Madre di Dio”, ovvero Maria di Nazareth, che diventa “Regina” e “Madre di Misericordia” entrando di fatto nella liturgia della Chiesa con il determinare interminabili dibattiti conciliari in merito all’ “Immacolata Concezione”.

Ma tornando al reale, come vivevano o subivano la quotidianità le donne in quel periodo?

Risentono di questa loro sottomissione oppure godono di un certo margine di manovra più o meno ampio?

Quindi se si dovesse seguire quanto affermato innanzi si potrebbe affermare che la donna vive in un perenne stato di sottomissione nei confronti dell’uomo ma come in tutte le cose c’è una variante, che in questo caso salva la donna: il matrimonio. Anche se questo dovrebbe e potrebbe far sorridere ai giorni nostri.

Da una parte vissuto come incubo perché la donna viene considerata merce di scambio tra famiglie o perché vive l’assoluta possessività dell’uomo che la pretende sua, soggiogata e costretta a soddisfare ogni suo bisogno.

Ecco che il matrimonio ha una funzione specifica e ben definita nella creazione della famiglia quale fondamento sociale, ma soprattutto come impedimento al sesso libero, diventato attuale e quasi di moda ai tempi nostri; blocca l’insorgere di malattie sessuali trasmissibili o pandemie come la gonorrea.

Il matrimonio è un’istituzione che, negli ambienti poveri, avveniva con i futuri sposi molto giovani, con l’imposizione dei genitori e relativo contratto dove si privilegiavano gli interessi reciproci e lo scambio di favori tra le due famiglie. L’accordo tra i due giovani era sicuramente necessario, ma era sulla donna che venivano esercitate maggiori pressioni da parte della famiglia affinché ci fosse una piena sottomissione.

Che tra i due ci fosse amore, infatuazione o solo simpatia non è dato sapere.

Ovvio che se due giovani erano profondamente innamorati ma mancavano i presupposti economici di gradimento tra le due famiglie, il loro amore non andava da nessuna parte: la letteratura in questo caso ci offre svariati testi di storie d’amore finite in tragedia.

A voler semplificare la cosa, si può dire con un lessico più semplice che l’amore tra i due giovani era considerato un optional, che non ci dovevano essere rancori tra le due famiglie, che il matrimonio doveva servire a codificare l’integrità morale della donna salvo non fosse già in attesa di un figlio nel cui caso diventava chiaramente riparatore onde evitare fastidiosi pettegolezzi.

Di diverso rito era il matrimonio tra aristocratici, nel cui ambiente veniva utilizzato per risolvere o consolidare questioni politiche, di lignaggio e, ovvio, economiche. Questo succedeva nel Medioevo riguardo al matrimonio, istituzione rimasta intatta fino ai giorni nostri o quantomeno fino al secolo scorso.

Infatti, se si vanno a leggere alcune pagine di storia della vita sociale di fine ‘800, primi ‘900, troviamo le cose sostanzialmente uguali, forse con un maggiore rispetto per la donna ma sempre con la sua sottomissione.

Un ulteriore passo avanti della donna all’interno del suo piccolo mondo famigliare avviene con il Concilio Lateranense del 1215, in cui il matrimonio viene regolato dalla Chiesa Cattolica e diventa a tutti gli effetti un sacramento.

In effetti sia che fosse codificato come istituzione da parte della comunità o come sacramento da parte della Chiesa, regala alla donna un ruolo di rilievo.

Diventa parte integrante della famiglia, si occupa della casa, dell’economia domestica, pronta a intervenire attivamente anche nei confronti del marito pur di salvare il focolare.

Non posso non sottolineare comunque come questa sua “emancipazione” non sia stata frutto di una sua personale lotta ma semplicemente di un editto di Santa Romana Chiesa.

Resta il fatto che, una volta sposata, entra nel vivo della gestione famigliare e,  in caso di morte del marito, tocca a lei gestire il patrimonio e assumere il pieno potere nelle decisioni importanti riguardo al restante nucleo famigliare.

Questo per quanto riguarda il matrimonio puro e semplice.

Altro discorso invece per le donne di qualsiasi estrazione sociale che sceglievano la via monastica per vocazione personale o imposta dalla famiglia per riservare tutta la disponibilità economica per una adeguata sistemazione del figlio maschio.

Queste donne godevano nella Chiesa di un enorme potere.

Alcune di esse diventate badesse erano trattate come feudatarie alla pari dei maschi governanti.

C’erano poi le Mater Monasteri che amministravano vasti territori con pieni poteri giurisdizionali, politici ed economici.

A seguire donne di potere come l’Imperatrice bizantina Zoe Porfirogenita, Margherita di Scozia, Matilde di Canossa, Ildegarda di Bingen, senza contare quelle santificate e venerate dai fedeli.

Se ne deduce comunque che questi esempi altro non erano che eccezioni.

Infatti si assiste sempre a donne umili, comuni, che cercavano di sopravvivere e dare un senso alla propria esistenza, spesso o sempre oppresse da mariti violenti, dispotici, poco predisposti a un ménage famigliare fatto di rispetto, amore e tolleranza e sempre pronti a rimarcare la sottomissione della donna nei loro confronti e dell’uomo in generale.

Sarà San Tommaso a sostenere e precisare che la donna nasce dalla costola dell’uomo ma non da un piede o dalla testa, sottolineando che non è superiore né inferiore ma uguale ad esso.

Purtroppo “lei” è costretta a fare riferimento sempre a lui, si identifica nel suo ruolo, accentua una sua personalità ma sempre e solo in relazione all’altro sesso.

Ha ottenuto con il matrimonio e con l’inserimento nella famiglia una collocazione dignitosa evitando di essere confinata lontano dalle decisioni importanti.

Se vogliamo criticare il periodo medievale in cui ha vissuto la donna, con presunzione rispetto al presente, dobbiamo dare atto che è stato, pur con tutti i suoi limiti, il primo vero e serio tentativo di emancipazione femminile.

Le battaglie più o meno furiose, che si osservano ai giorni nostri con l’alternarsi di progressi o retrocessioni da una parte all’altra, tra forzature maschiliste o remissività dell’uomo nei confronti della donna o viceversa, non sono altro che tappe di un viaggio lungo secoli.

Ma in fin dei conti, tecnologia a parte, cos’è cambiato veramente oggi?”

Insomma sul Medioevo si continua a fantasticare… ma perché?

Il medievista Raffaele Licinio avrebbe risposto, così come mi rispose nell’intervista impossibile apparsa su queste colonne il 4 febbraio scorso:

 «Perché il Medioevo non è mai esistito. Il Medioevo è una costruzione culturale; è l’unica età, nella Storia, in cui l’uomo che viveva in quel periodo non sapeva di vivere nel Medioevo.

Il Medioevo nasce quando il Medioevo finisce.

E tutte le varie età lo hanno interpretato in maniera diversa.

L’immagine che abbiamo noi è quella che ci hanno consegnato il Romanticismo e i mezzi di comunicazione, in particolare il Cinema».

… a cura di Vincenzo Fiore

 

 

 

 

 

 

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Vincenzo Fiore
Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

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