“a tu per tu con…” Gaetano Ninni

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“Le fàtte e fattariìdde de Chitàne” di Gaetano Ninni

Chitàne, Chitàne… cosa mi tocca fare per intervistarti!

Mi tocca lasciare Mariotto dove temporaneamente mi trovo, appena rientrato dal Veneto, e raggiungerti a Bari per ambientare l’intervista nella giusta location di Bari vecchia, anche per non contribuire con le colonne di ScrepMagazine alla scomparsa della “baresità” e non essere rimproverato da te e dall’amministratrice del gruppo Facebook “Sei di Bari vecchia se…”, Enza Stella Traversa!

Ma chi è Chitàne?

Chitàne ovvero Gaetano Ninni nasce a Bari nella Corte dei Bianchi Dottula in Bari vecchia il 16 luglio 1955 e vive a Palo del Colle.

Chitàne è autore de “Le fàtte e fattariìdde de Chitàne” ovvero “i fatti e i fatterelli di Gaetano” per i non baresi ed edito nel maggio scorso da Booksprintedizioni.

Fiore – Raccontami, caro Gaetano, della tua vita…

Ninni – Nella mia vita ho fatto tantissime cose: da bambino facevo  il distributore di giornali per Bari vecchia, mentre nel periodo universitario ho condotto presso una radio locale un programma musicale dal titolo “Doppio Binario”.

Inoltre ho preso parte come fonico a vari spettacoli teatrali presso il Teatro Abeliano.

Fiore – … e poi è arrivato il lavoro!

Ninni – Sì, alle Poste!

Fiore – E hai continuato nel post-lavoro a coltivare i tuoi hobby…

Ninni – Sì, mi sono dedicato ad organizzare il tempo libero dei miei colleghi che mi vollero per diverse stagioni estive a dirigere il lido delle Poste di Bari a Palese.

Fiore – … cosa facevi?

Ninni – Organizzavo eventi, viaggi, spettacoli…

Fiore – … per poi trascorrere gli ultimi vent’anni di postelegrafonico come Direttore presso gli uffici postali di Bari Business, di Corato Impresa, di Barletta Centro, di Palombaio!

Ninni – Sì!

Fiore – E ora ti godi la pensione e hai ripreso a pieno ritmo la passione che hai coltivato da sempre, lo scrivere in dialetto barese…

Ninni – Sì, e ho pure rivisitato testi e cantato, accompagnandomi con la chitarra ritmica, canzoni popolari del folklore barese e pugliese. Tra l’altro mi diverto a fare serenate su richiesta, specialmente prematrimoniali e piccoli spettacoli teatrali dedicati.

Il tutto all’insegna del puro divertimento.

Fiore – Perché scrivi in dialetto?

Ninni – Scrivo in dialetto perché ritengo sia importante per chi, come me, ha a cuore la madre lingua. Il racconto delle tradizioni, gli usi, i costumi raccontati in dialetto assumono una particolare atmosfera, e non solo.

La sua lettura, per altro non facile, e il continuo esercizio nel farlo sono il modo più naturale per districarsi tra i mille termini, accenti, aforismi, assonanze, cadenze, suoni dolci e gutturali di una grammatica che risente e mette in evidenza le tante culture che hanno attraversato la nostra Bari.

Tutto questo fa del dialetto barese una lingua vera e propria.

Da parte mia, faccio il possibile per essere letto con una certa facilità anche da parte dei meno avvezzi.

Fiore – Concordo con te! Infatti ritengo che il dialetto barese è un labirinto e un intreccio di lingue che ha le proprie fondamenta negli usi e costumi, nelle culture e tradizioni dei vari popoli che hanno influito sulla città di Bari: dai Peucezi ai Romani, dai Longobardi ai Saraceni, dai Bizantini ai Normanni, dagli Svevi con Federico II agli Angioini, dagli Aragonesi ai Borboni, ai Francesi  sotto il cui dominio Bari subisce le più importanti modifiche diventando una città di grande prestigio. Infatti grazie al generale francese Gioacchino Murat, divenuto poi re, Bari oggi gode dell’attuale borgo extramurale, detto Quartiere Murattiano.

Ninni – Aggiungo, per completare il tuo dire, che la dominazione dei Saraceni, seppur molto breve nella storia ultra millenaria di Bari, ha lasciato importanti tracce nell’architettura, nella cucina, nelle arti e nella lingua e soprattutto nel dialetto.

Fiore – Senza troppo spoilerare il tuo “Le fàtte e fattariìdde de Chitàne” per non togliere ai nostri lettori il “priscio” ovvero il gusto  della scoperta, vuoi raccontare il perché della tua fatica?

Ninni – Quando sono entrato a far parte del gruppo Facebook, Sei di Bari Vecchia se…, ho iniziato a postare racconti in dialetto barese di fatti realmente vissuti da me.

Vedendone l’apprezzamento, ho continuato fino ad arrivare a scriverne più di un centinaio.  

Quelli pubblicati difatti nel mio “Le fàtte e fattariìdde de Chitàne” sono  all’incirca  la   metà, tant’è che sto pensando di completarne la pubblicazione nella seconda edizione.

I fatti naturalmente hanno come proscenio Bari vecchia e si svolgono tra gli usi, costumi e abitudini visti da un adolescente quale ero io nel periodo vissuto con la mia famiglia nella corte dei Bianchi Dottula all’ombra della Cattedrale, luogo preferito da noi ragazzini per i giochi di strada, location di diversi miei racconti.

Fiore – Quindi 118 pagine di 43 racconti che si aprono con Angeue de la Bòn’a Nòve ovvero Angelo della buona novella e si chiudono con un omaggio a Piripiìcchie… ovvero Piripicchio, il grande artista pugliese nato a Barletta il 5 luglio 1907 e mancato l’1 agosto 1980, che il professor Michele Mirabella così descrive: «Piripicchio era un attore povero, recitava per strada come i grandi giullari di razza fine di un tempo. E del giullare aveva il talento a forti tinte, la faccia mobilissima, la voce intonata e stentorea. E il volto, il volto che, in certi casi, casi miracolosi, è un paesaggio, in Piripicchio era una parapettata di teatro eterno con quinte, fondali, spezzati ed arlecchine».

Ninni – Posso risponderti in lingua barese?

Fiore – Assolutamente sì!

Ninni – Già, Piripìcchie, che a Bare vecchie ù chiamàmme Charlot. Ière n’artìste de stràte. Aggeràve tòtt-à Bare che ‘nguèdde nù vestìte còme a nù frac che nù gelè da sòtte, le scarpe nù pìcche chiù gròsse e ù cappiìdde a bombètte. Faccia tònne, capìdde gnòre, nù pàre de mestazziìdde, pùre chìdde gnòre alla Charlot e nu bastòne fìne… fìne ca facève aggerà ca na màne. “Era un bel giorno di maggio, il sole coceva coceva, il fringuello cantava cantava: Firulì…firulì…firulà, fresckàve Piripìcchie”.           

Già, Piripicchio, che a Bari vecchia lo chiamavamo Charlot.. Era un artista di strada. Andava in giro per tutta Bari con indosso un vestito, un improbabile frac con un gilè sotto la giacca, le scarpe volutamente un po’ più grandi e il cappello a bombetta. Viso tondo, capelli neri, un paio di baffetti pure quelli neri alla Charlot e un bastone sottile che girava con una mano sola. “Era un bel giorno di maggio, il sole coceva coceva, il   fringuello cantava cantava: Firulì… firulì… firulà, fischiettava Piripicchio.

Fiore – … e poi le ultime pagine occupate dalle 10 filastrocche della nonna!

Ninni – Già! Infatti le nonne per tenerci tranquilli ci tenevano da piccoli sulle ginocchia e ci dedicavano nenie o filastrocche un po’ ereditate dai loro avi. Le filastrocche o nenie erano un po’ inventate, un po’ create al momento e scandivano il ritmo a seconda dello stato d’animo che volevano trasmettere.

Le cantilene, per esempio, servivano per farci addormentare, le marcette per tenerci allegri.

Fiore – Quale delle dieci filastrocche dedicheresti ai lettori di ScrepMagazine immaginandoli piccoli e irrequieti?

Ninni – A lòre ce dedechèsceche la :”Filastòcche de le cambàne” percè Nonònne còme sendève de senà le chèdde de la Cattedràle, partève in automàteche…”Dìn… dìn, ù cambaniìdde, la Madònne cù pennìdde e la sèggia chiène de rose, addò s’assìte Sanda Rose. Sanda Ròse lu giardìne se mètte a cògghie ù pedresìne e Gesù ca lu chiandò, quànd-a gùste se pegghiò, se pegghiò l’ànem-a mì, Pader Nòste e Ave Marì.

Fin qui si cantilenava come una vera e propria nenia poi si cambiava ritmo incalzando con quello della marcetta: “ Pader nòste grànne grànne, Gesù è muèrte a trendatre iànne, trendatre iànne e trendatre mìse, Gesù è muèrte in Paravìse. E drète a Sanda Chiàre, se sènde nù remmòre, ce iè, ce non iè, è Gesù che le gedè (giudei)… ecc. ecc.

E’ la più antica che io ricordi.

Nonònne decève ca la candàve la nonna so. Fa u cùnde ca ièdde iève du 1889, la nònne avèv-a ièsse du settecìnde.

A loro dedico la “Filastrocca delle campane”.

Sì, perché mia nonna come sentiva il suono di quelle della Cattedrale partiva in automatico…”Din… din, il campanello, la Madonna con il pennello e la sedia piena di rose, dove siede Santa Rosa.

Santa Rosa nel giardino si mette a cogliere il prezzemolo e Gesù che lo piantò ebbe tanto gusto nel vederla, prese anche l’anima mia Padre nostro e Ave Maria.

Sino a questo punto la cantilenava con il tempo lento di una vera nenia, poi cambiava ritmo e incalzava con il ritmo della marcetta, scandiva: ”Padre nostro grande, grande, Gesù è morto a trentatré anni, trentatré anni e trentatré mesi, Gesù è morto in Paradiso. E dietro la chiesa di S. Chiara, si sente un rumore, cos’è cosa non è… è Gesù con i Giudei ecc. ecc.

Questa filastrocca è la più antica che io conosco. Le sue origini, oltre a non essere sicure, si perdono nei tempi che furono. Da ricerche personali condotte tra le genti di Bari vecchia, pochissimi anziani ricordano qualche verso.

Mia nonna diceva che la cantava sua nonna.

Tenendo presente che era nata nel 1889, sua nonna era sicuramente del settecento.

Fiore – Città come Venezia, Roma o Napoli hanno avuto valenti autori come Goldoni, Trilussa e De Filippo che hanno imposto il dialetto delle proprie città come lingua insieme al modo di scriverlo! Quale scrittore barese ha tentato di fare questo? E tu ti consideri uno di loro?

Ninni – Lo scrittore che ritengo sia il capostipite e il punto di riferimento dei dialettologi baresi, secondo me è il compianto Alfredo Giovine, fondatore dell’Accademia e Archivio storico di Bari. Attività proseguita dal figlio Felice. Quando ebbi il piacere di incontrare Alfredo dissi: “Maestro ho letto parecchie sue opere” e lui di rimando: “Ecco perché sei così triste”.

Ironico fino alla fine dei suoi giorni.

Io mi rifaccio al suo stile nello scrivere il dialetto e utilizzo l’uso delle vocali soprattutto la “e”, accentata e non, che aiuta a definirne i suoni delle consonanti “c” e “g”.

Fiore –  Intuisco, quindi, che per la “lingua barese” manca ancora una grammatica e un modo univoco di scriverla. Corretto o sbagliato?

Ninni – Vero Vincenzo, il barese è una lingua dalla grammatica incerta e proprio per questo ne è aumentata la difficoltà di scriverlo per renderlo fruibile anche ai meno avvezzi.

Pensa che si potrebbe usare la simbologia prevista dall’Alfabeto Fonetico Internazionale, ma chi lo capirebbe?

Fiore – Accetti una provocazione?

Ninni – Sì!

Fiore – Il prendere vita del dialetto e nella prosa e nella poesia è segno di un bisogno di identità in questo forte imperare della globalizzazione?

Ninni – L’identità sia individuale che dei popoli, degli usi e dei costumi è la vera vittima della globalizzazione che tutto uniforma e omologa. Spegne e penalizza le diversità e mette in crisi le identità personali. Ecco perché credo che il dialetto sia lo strumento di comunicazione per riappropriarcene.

Fiore – E ora ti faccio una confessione!

Ninni – Quale?

Fiore – Ho voluto intervistarti, anche su suggerimento del comune amico, nonché direttore delle poste di Casalvieri, provincia di Frosinone, Luigi Tullio, perché mi sono ritrovato in molti racconti e filastrocche del tuo libro grazie alla parentela del dialetto di Mariotto con la “lingua barese”.

Ninni – E io ringrazio Luigi Tullio. Per quanto riguarda la parentela tra il barese e il mariottano  sicuramente ci saranno delle analogie data la vicinanza di Mariotto con Bari. A tal proposito, vista la mia non conoscenza del tuo dialetto, mi sarebbe gradito un approccio e un approfondimento al riguardo…

Fiore –  Fremi per la conclusione?

Ninni – Sì, perché voglio offrirti un ottimo caffè…

Nù cafè, còme ù pegghiàme a Bare vecchie nù cafè a cinque “C”: càzze, còme còsce cùsse cafè…!

Un caffè, come lo prendiamo a Bari vecchia, un caffè con le cinque “C”: “Cavolo, come scotta, questo caffè…!

Fiore – Caro Chitàne, ma io non desidero solo il caffè…

Ninni – Vincè e ce uè acchiànne? Vincenzo e cosa desideri?

Fiore – Desidero farmi un giro per i posti più caratteristici di Bari vecchia e godere qualche attimo della “baresità più fervida e ingegnosa” rimembrata dalla dedica che hai ricevuto da Enza Stella Traversa…

Ninni – E chèsse iè tùtte? Sciamaninne… sciàme, vìnne che mè ca te fàzze vedè la vèra Bàre vecchie, Bàre vecchie-a nòste.

E questo è tutto? Andiamo… dai andiamo… vieni che ti faccio vedere la vera Bari vecchia, la Bari vecchia nostra!

Vincenzo Fiore

Si ringrazia Antonio Facecchia per le foto.

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Vincenzo Fiore
Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

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