“Una strana avventura” di Claudia Saba

200911

Ore 23.25.
Stazione Termini, Roma.
L’ultimo treno è passato ormai da venti minuti.
Intorno buio fitto, negozi chiusi
e qualche clochard infreddolito rannicchiato in un angolo.
Per una volta avrei desiderato un ritardo imbarazzante come spesso accade viaggiando con Trenitalia.
Ma niente.
Stasera è tutto in perfetto orario.
Un guizzo mi trapassa:
“E adesso che faccio?”
Mi avvicino ad un agente in servizio e chiedo consigli.
Non so che altro potrei fare.
Mi dice che all’una chiuderanno la stazione e sarò costretta a restare fuori.
Aggiunge poi, giusto per “tranquillizzarmi”, di stare molto attenta perché a quell’ora della notte, intorno alla stazione, c’è il farwest.
Per un attimo vacillo.
Provo a chiamare qualche amica. Niente.
Me lo aspettavo in fondo.
Quando siamo noi ad aver bisogno di qualcuno, difficilmente lo troviamo.
Chiamo qualche taxi ma nessuno è disponibile a percorsi extraurbani.
Il nulla assoluto.
Vacillo ancora.
In realtà mi ero sentita persa già nel momento in cui, all’aeroporto di Catania, annunciavano la cancellazione del mio volo previsto per le 19.
Avevo mantenuto la calma e prenotato subito con un’altra compagnia.
Partenza ore 20,10.
Ma anche questa volta qualcosa non era andata per il verso giusto.
Sul display il primo ritardo di un’ora, ben presto diventate due.
L’aereo della compagnia Ryanair partito alle 21.50, atterra a Fiumicino alle 23.
Da qui la navetta fino a Termini.
L’agente a cui chiedo consigli si mette a disposizione e mi accompagna personalmente in un hotel proprio vicino la stazione.
Lungo il tragitto non posso fare a meno di notare il contesto.
I bordi dei marciapiedi raccolgono miserie inimmaginabili.
Qualcuno dorme per terra, qualcun altro ubriaco, barcolla, altri passeggiano in attesa di clienti a cui vendere una dose.
Un ragazzo si ferma e assisto a uno scambio velocissimo, quasi impercettibile.
Mi soffermo per un attimo a pensare a quanto sia labile quel filo che ci guida, a quanto basti poco per non trovare più la nostra strada in un mondo, dove, nessuno più ci guarda e ci ascolta.
Un mondo assente.
Assenza che confonde.
La stessa che ha sfiorato anche me, quando ogni certezza sembrava essere caduta.
Mi volto.
Alla fine della strada una scritta che lampeggia la indica l’hotel.
L’agente mi accompagna fino all’ingresso e poi saluta.
Prendo la chiave della stanza, apro la porta e mi butto sul letto, sfinita.
Un letto che in quel momento voleva dire riposo dopo ore e ore trascorse nell’ansia del “cosa accadrà adesso?”
Siamo talmente abituati ad organizzare appieno le nostre giornate che appena ci troviamo davanti a un evento sconosciuto perdiamo immediatamente la nostra consueta lucidità.
Quel letto, rappresentava una pausa, un modo per riprendere contatto con la realtà e tornare nuovamente a riorganizzare il mio domani.
Spengo la luce e provo a dormire.
Niente tv, telefono, nessun contatto con il mondo virtuale.
Io, di nuovo in compagnia di me stessa.
L’estasi però, dura
solo per un attimo.
Un tonfo nella stanza accanto mi scuote.
I tonfi continuano, seguiti da gemiti, urla e mugolii di vario genere.
L’ultima goccia, la classica ciliegina sulla torta prima del tracollo.
Ero in un motel a “ore”.
Chissà cos’avrà pensato il proprietario mentre entravo scortata da un agente.
Non riesco a chiudere occhio.
Urla e gemiti continuano per ore fino a quando vedo le prime luci dell’alba filtrare tra le persiane socchiuse dietro i vetri della finestra.
Mi avvio verso la stazione.
L’incubo sta per finire.
Torno alla mia vita normale.
Al bar come ogni mattina, al cappuccino caldo, al cornetto soffice come la vita che tutti vorremmo avere.
Torno, a quelle piccole certezze che accompagnano le nostre giornate e a cui, molte volte, non facciamo più caso.
In stazione incontro l’agente che mi aveva soccorso la sera prima.
“Tutto bene?” .
“Si, tutto bene” rispondo, felice di rivederlo.
Prendiamo un caffè scambiandoci i rispettivi numeri di telefono.
Torno alla mia normalità.
Metto da parte la paura, l’ansia, il disagio di quella notte incerta e penso a quanta bellezza può esserci dietro un sorriso, nella complicità tra esseri umani che troppo spesso non troviamo più.
Alla curiosità del vivere.
Alle emozioni, sensazioni, alle
cose impreviste che possono investirci in un secondo.
Senza trovare, a volte, il coraggio di scegliere.
Una scelta che dipende da noi, da quanti rischi siamo disposti a correre per riconoscerci fino in fondo.
Conoscere se stessi è un viaggio senza fine dove il percorso non è mai scontato.
Siamo spesso viaggiatori inconsapevoli alla ricerca di una meta.
Qualcuno la cerca in un motel, lungo una strada buia o in mezzo alla gente.
Qualcun altro, stanco, smette di cercare.
Poi, quell’imprevisto che cambia tutto.
Diventiamo, allora, consapevoli di ciò che siamo, di quanto importante sia il viaggio e non la meta da raggiungere.
Perché la meta è già dentro di noi.

Claudia Saba

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

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